Serve una nuova teologia cattolica per l’accoglienza delle persone LGBT
Articolo di Claire Lesegretain tratto dal sito del quotidiano La Croix (Francia), del 13 dicembre 2013, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Non c’è quasi più nessun moralista cattolico che si appoggi su una sola antropologia biblica per trattare le relazioni omosessuali. Il mondo semitico non faceva distinzioni tra l’atto e la persona, né tra l’atto e l’intenzione, né tra l’atto subito e l’atto consensuale, mentre nella teologia morale contemporanea queste distinzioni sono primarie.
Alcuni auspicano quindi che la Chiesa affermi con maggiore chiarezza che non si può condannare l’omosessualità come tale, in nome di qualche versetto biblico. Tale formulazione potrebbe evitare ai cristiani, giovani e meno giovani, che scoprono la loro omoaffettività, di provare vergogna e senso di colpa.
Questo sarebbe di aiuto, nella società e nella Chiesa, per “passare da un magistero del disprezzo a una teologia della stima per le persone omosessuali” secondo padre Antoine Guggenheim, direttore del polo di ricerca del Collège des Bernardins di Parigi, che due anni fa ha fatto partire un seminario di riflessione su “Fede cristiana e omosessualità” per poter aprire dei sentieri di accompagnamento pastorale e spirituale delle persone omosessuali cattoliche, la cui situazione li espone a una “doppia pena: come omosessuali vengono giudicati nelle loro parrocchie come se si trattasse di una scelta di vita; come cattolici, vengono derisi negli ambienti gay” riassume padre Guggenheim.
È proprio l’accoglienza delle persone omosessuali nelle parrocchie che la Chiesa può mettere in cantiere, cominciando col ricordare che ogni battezzato e battezzata, qualunque sia il suo percorso di vita e il suo orientamento sessuale, è pienamente amato e amata da Dio.
Bisogna anche ricordare, come ripete la teologa Véronique Margron, insegnante all’Università Cattolica di Angers, nei suoi interventi pubblici, che non tutti le persone cattoliche che hanno un orientamento omosessuale riescono, anche se lo desiderano, a vivere nell’obbedienza alla dottrina della Chiesa.
“Per alcuni è possibile: sono felici nella continenza perché la vivono come un luogo di stima e di vittoria su se stessi e sanno che possono assicurarsi una dimensione affettiva nelle relazioni caste di amicizia”.
Per altri il celibato può essere difficile da vivere, tanto più che “una continenza vissuta rimuovendo il desiderio porta talvolta a comportamenti compulsivi che riducono ancora di più il sentimento di dignità e la libertà delle persone o a gravi depressioni che mettono in crisi il senso dell’esistenza” prosegue Véronique Margron.
Sarebbe allora preferibile costruire una relazione stabile e duratura con un compagno o una compagna “nella stima reciproca, alla giusta distanza, senza influenza dell’uno sull’altro”. Ci sono “vite coniugali” di cristiani omosessuali caratterizzate dal rispetto, dal pudore, dall’attenzione, dalla fedeltà…
È dunque nell’accompagnamento individuale che il cattolico e la cattolica di orientamento omosessuale sono invitati a illuminare la propria coscienza per non pensare più per opposizioni (obbedienza alla Chiesa o vita omosessuale) e discernere liberamente ciò che, per lui e per lei, è “più umanizzante”, secondo l’espressione di Véronique Margron.
La Chiesa non accetterà mai di benedire queste coppie: tuttavia alcuni sacerdoti, in via privata, accettano di pronunciare una benedizione sulle persone. La Chiesa potrebbe comunque riconoscere il valore etico dello specifico vissuto, soprattutto quando queste persone, impegnate nella Chiesa, sanno essere discrete nella loro vita privata ma senza nascondere la loro situazione ai sacerdoti e ai responsabili.
Quanto all’accesso all’Eucarestia alcuni sacerdoti, come succede per i divorziati risposati, accettano di dare la comunione alle persone che vivono una relazione omosessuale. Ma queste situazioni vengono gestite caso per caso.
Testo originale: Ce qui pourrait changer : Reconnaître la valeur éthique de telles unions