Viaggio in Algeria dove i gay vivono solo in internet
Articolo di Alicia Bourabaâ pubblicato su Regards.fr (Francia) l’11 marzo 2014, liberalmente tradotto di Marco Galvagno
Di fronte alla negazione e alla repressione gli omosessuali algerini si organizzano ai margini della società, puntando su internet per avere libertà di parola e conquistare un inizio di visibilità, nonostante le difficoltà.
“I miei genitori hanno cercato di rendermi più virile”, spiega Nabil seduto al tavolino di una terrazza di un hotel di lusso sulle colline di Algeri. “Da piccolo mio padre mi prometteva una monetina di dieci dinari e un pacchetto di caramelle se andavo a giocare a calcio con gli altri ragazzi. Andavo a mangiare la polvere per avere la mia piccola ricompensa”, spiega questo trentenne scherzoso. “E poi hanno finito per spingermi a restare in casa per non creare loro imbarazzo”.
Per molto tempo la famiglia di Nabil è rimasta senza sapere nulla poi c’è stata la “rivelazione”, lo “scontro”, la rottura. Dopo anni di bugie e giustificazioni trovate sul momento, Nabil ha confessato ai suoi genitori la propria omosessualità.
Ha dovuto andarsene da casa, farsi qualche mese “d’inferno” prima di riconciliarsi con i suoi, “un’eccezione”, insiste “in Algeria”. Spesso i gay dopo il coming out devono dire addio alla propria famiglia.
Da 7 anni Nabil conduce, con una ventina di attivisti, una lotta per il riconoscimento dei diritti LGBT in Algeria: un lavoro associativo e militante pericoloso in un paese in cui le norme sociali e religiose discriminano qualsiasi pratica sessuale avvenuta fuori dal matrimonio e in cui l’omosessualità resta un crimine per la legge punibile con tre anni di carcere.
L’omosessuale algerino non è un militante
Il movimento gay algerino è ancora recente, ma comincia ad ampliarsi e si articola in internet in due gruppi molto attivi: Abu Nawas, in rete dal 2007, che prende il nome dal poeta arabo classico che era bisessuale; e Alouen (colore in arabo) in internet dal 2011.
Due siti che sono un orecchio attento ai bisogni di gay, lesbiche e trans e la loro presenza è importante anche a livello simbolico. Tuttavia i militanti d’Alouen sono reticenti all’idea di definirsi un movimento che rappresenta la totalità dei gay algerini.
“La comunità LGBT è ristretta ad un piccolo numero di militanti che si conoscono per la maggior parte”, afferma Lamia, una commerciante di Algeri. Per parlare di comunità gay bisognerebbe che gli omosessuali algerini stessi non si coprissero la faccia per fingere di non vedere le pratiche omosessuali.
In una società colpita dalla frustrazione, in cui gli scambi amorosi sono ostacolati dall’assenza di luoghi di incontro e di spazi dedicati ai divertimenti e in cui vige il divieto del sesso extra matrimoniale e in cui il controllo sociale penetra fin sotto le lenzuola, la relazione omosessuale viene percepita ancora come una valvola di sfogo, una compensazione di cui è meglio non parlare.
“Dicono che vogliono solo “godere”, “farsi un culo”, perché non hanno altre possibilità”, spiega Lamia, “queste persone si definiscono “etero attivi”, a volte sono gay, ma non l’ammetteranno mai”.
Di fronte alle pressioni sociali e familiari e all’obbligo di sposarsi persino i gay convinti finiranno per farlo. Il gay algerino non è un militante, si adatta alla realtà per condurre la sua vita sessuale di nascosto fino a che gli obblighi sociali glielo consentono.
Lotta per la visibilità, una battaglia virtuale.
In questo contesto la mobilizzazione dei gay algerini si concentra più che altro sull’accettazione di sé, più che su cambiamenti istituzionali o giuridici. E per adattare le loro possibilità d’azione a una società conservatrice devono per forza prendere sentieri tortuosi.
Per forza la militanza si è spostata su un altro terreno, quello del web. Con l’istituzione di forum virtuali su internet o di radio la comunità gay è riuscita a sopperire provvisoriamente all’assenza di bar, caffè e luoghi d’incontro per i gay, che così possono interagire sia ad Algeri che in provincia.
“C’è solo un passo da fare per coloro che si sentono a disagio con se se stessi e che cercano risposte”, afferma un militante algerino, “basta pigiare tre lettere con la tastiera di un computer, ma per molti l’idea di autodefinirsi gay è ancora un tabù, ma è un passo da fare” .
Le azioni su internet hanno anche un altro obiettivo fare da intermediario con i mass media, che parlano ogni anno della situazione dei gay in occasione di Tenten una giornata che l’associazione Abu Nawas organizza ogni anno.
Persuasi che “la battaglia si vince a monte”, gli attivisti sanno che l’impegno virtuale in Algeria è una necessità.
“A che scopo uscire per strada con le bandiere arcobaleno per farci linciare?” dice un esponente del movimento. Zak Otsmane ne sa qualcosa dopo il suo coming out pubblico il blogger algerino non abbandona mai la sua valigia, minacciato di morte, deve cambiare casa ogni sera.
La sua foto è circolata su internet e su facebook è stata addirittura creata una pagina intenet per lanciare una fatwa contro di lui.
Di fronte alle minacce che penso su di loro, i militanti LGBT sanno che la lotta per la visibilità è un’arma a doppio taglio che bisogna maneggiare con prudenza.
“Per il momento il potere ci lascia tranquilli, ma se cominciassimo a stuzzicarli chiedendo un cambiamento delle leggi ce la farebbero pagare”, racconta inquieto Nabil, “Saprebbero utilizzare ‘il pericolo gay’ per galvanizzare le masse e a quel punto non dovremmo aver paura delle forze di sicurezza dello stato, ma della gente”.
Testo originale: En Algérie, l’éclosion du mouvement LGBT