La Chiesa cattolica, il sacerdozio e l’omosessualità
Articolo di Marco Veilleux tratto da Relations, n° 706, genn./feb. 2006, liberamente tradotto da Dino
Nel 2005 il Vaticano pubblicava una “Istruzione” che praticamente impedisce alle persone omosessuali di diventare preti. Questo documento, frutto di una elaborazione lunga e complesso ha creato un certo disagio perchè pur ricordando l’importanza di accogliere “con rispetto e delicatezza” le persone omosessuali, nello stesso tempo non fa altro che ripetere che l’Omosessualità è un “peccato grave”, un “atto intrinsecamente immorale”, una “tendenza oggettivamente disordinata”. E così invece di aiutare a costruire la verità nella Chiesa, esso rischia di generare ancora di più doppiezza, falsità, mutismo e dunque sempre più sofferenza. Vediamo perchè.
Questa istruzione romana sviluppa una retorica che lascia perplessi. Dopo aver ricordato che “soltanto un uomo battezzato può ricevere in modo valido l’ordinazione sacerdotale”, essa annuncia che “attraverso il sacramento dell’ordine, lo Spirito Santo rende il candidato un’immagine di Gesù Cristo […], il prete rappresenta sacramentalmente il Cristo, Capo, Pastore e Sposo della Chiesa”.
Aggiunge che questo processo di configurazione richiede che il candidato al ministero dell’ordine abbia “una maturità affettiva che lo renda capace di avere delle relazioni corrette con gli uomini e con le donne, sviluppando in lui un vero senso di paternità spirituale”.
Ora, tutta la sequela di queste argomentazioni idealiste sottintendono che questa maturità affettiva necessariamente difetta agli omosessuali, concetto che risulta odioso per i preti omosessuali che sono già stati ordinati ed esercitano il loro ministero con fedeltà e generosità.
Se, secondo Roma, le donne non sono adatte all’ordinazione a causa del loro sesso (un corpo femminile non può “rappresentare” il Cristo sposo), gli omosessuali lo sarebbero a causa di un orientamento sessuale “immaturo” che impedisce loro di “amare la Chiesa come una Sposa”!
Così potranno essere accettati soltanto i candidati che presentano delle “tendenze omosessuali transitorie” – tipiche dell’adolescenza, viene precisato -. E ciò nella misura in cui queste tendenze saranno “chiaramente superate almeno tre anni prima dell’ordinazione”. Tutto questo dimostra la scarsità di comprensione da parte della Chiesa del fenomeno dell’omosessualità.
Di fatto l’obiettivo del documento di Roma è quello “di affermare in modo chiaro che la Chiesa [ , , , ] non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro i quali [ . . . ] presentano delle tendenze omosessuali profondamente radicate”. E viene aggiunto anche che questa chiarificazione è “resa più urgente dalla situazione attuale”.
Più avanti viene indicato “che non bisogna dimenticare le conseguenze negative che possono derivare dall’ordinazione di persone [ . . . ] omosessuali”. Evidentemente qui ci si riferisce agli scandali sessuali che hanno scosso la Chiesa cattolica negli ultimi anni. I discorsi tenuti dal cardinale Cottier, teologo della Casa Pontificia, confermano questa interpretazione.
Nel corso di un colloquio che egli concesse a margine della pubblicazione dell’istruzione vaticana, precisava che con queste nuove norme “si eviteranno disastri come ce ne sono già stati”. E aggiungeva, parlando dell’attrazione sessuale verso i minori: “io credo che si tratti di una forma piuttosto diffusa di omosessualità”.
Questa commistione tra omosessualità e pedofilia, semplicemente è ingiusta e vessatoria. Come qualsiasi organizzazione che si trova alle prese con una crisi profonda, la Chiesa reagisce secondo una tipica logica istituzionale: cercare dei capri espiatori.
Additando negli omosessuali il “male” che la sta rodendo ed escludendoli, la gerarchia cattolica vuole evitare a se stessa un doloroso processo di introspezione teso a scovare le reali cause – strutturali e complesse – del flagello delle aggressioni sessuali nel clero.
Certamente, il documento romano si preoccupa di ricordare l’importanza di accogliere “con rispetto e delicatezza” le persone omosessuali. Ma nello steso tempo non fa che ripetere l’insegnamento tradizionale. E le parole si fanno allora molto dure: l’omosessualità è un “peccato grave”, un “atto intrinsecamente immorale”, una “tendenza oggettivamente disordinata”.
Ai giorni nostri un tal linguaggio appare come minimo un abuso. Soprattutto ferisce gravemente gli omosessuali e chi sta loro vicino. Se da un lato fa indignare parecchie persone che non ci vedono altro che una espressione di omofobia, soprattutto ha come conseguenza quella di ferire i credenti omosessuali che si sentono continuamente stigmatizzati e disprezzati dalle autorità ecclesiastiche.
Per fortuna alcuni tra loro, rifiutandosi di lasciarsi escludere dalla loro tradizione religiosa riescono a premunirsi contro un discorso di questo tono. Grazie all’amicizia e alla solidarietà di altri cristiani e dei loro pastori, danno vita a gruppi di condivisione e di sostegno.
Essi fanno così proprie delle chiavi di interpretazione biblica e teologica volte a sviluppare una comprensione positiva della loro condizione. Si ritrovano in luoghi che consentono loro di celebrare la loro fede nella dignità e nel rispetto (ad esempio la parrocchia San Pietro Apostolo a Montréal). E così trasformano l’ingiustizia subita in energia per l’impegno cristiano, sociale e politico.
Questa fede vissuta nelle catacombe continuerà… Ma questo nuovo documento romano avrà mostrato una volta di più l’incapacità della gerarchia cattolica nell’affrontare in modo concreto le questioni relative alla sessualità contemporanea.
Invece di costruire la verità nella Chiesa, esso rischia di generare ancora più doppiezza, falsità, mutismo e dunque più sofferenza.
Articolo originale: L’Eglise et l’homosexualité
Per approfondire:
“Sacerdoti omosessuali? La chiesa cattolica impone il “silenzio” senza far chiarezza”. Articolo di Gianni Geraci tratto da Pride, n.79 del Gennaio 2006
“Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali (sito esterno)