I gay cattolici dopo il “chi sono io per giudicare” del Papa
Articolo pubblicato su Le Point.fr (Francia) il 30 luglio 2013, libera traduzione di Marco Galvagno
Senza essere rivoluzionarie, le parole di papa Francesco hanno dato “un po’ di balsamo al cuore” dei gay cattolici che spesso si sono sentiti come “appestati” in seno alle loro comunità parrocchiali e si dicono ancora più “addolorati” dopo le polemiche sul matrimonio gay.
“Se una persona è gay e cerca il Signore con buona volontà chi sono io per giudicarla?”, si è chiesto Papa Francesco sull’aereo che lo riportava a Roma, dopo le Giornate Mondiali della Gioventù (GMG) di Rio.
“Dopo tutto quello che abbiamo dovuto patire per mesi; durantei dibattiti (in Francia) sul matrimonio per i gay, anche se queste parole non sono rivoluzionarie, sono piacevolmente sorpreso.
Alla fine un po di positività sugli omosessuali da parte della chiesa”, confida Sebastien Estève, cattolico praticante e gay.
Per questo trentaquattrenne di Marsiglia (Francia) c’è bisogno soprattutto che queste parole vengano trasmesse e recepite nelle singole parrocchie e nelle chiese locali, è lì che la strada da fare e ancora lunga. Confessa di avere fatto fatica a rimettersi dalla mobilitazione contro il matrimonio per i gay in Francia: “Ci sentivamo già appestati, prima e durante quel periodo è stato ancora peggio.
I cattolici più fondamentalisti si sono espressi e hanno potuto riversare per mesi il loro odio contro i gay, coperti dalle gerarchie ecclesiastiche”. “Seppur combattuto”, afferma che la sua fede non era è venuta meno, ma che per un certo periodo di tempo si è allontanato dalla chiesa.
“Spero che quello che è accaduto farà si che si ascoltino anche altre voci nella comunità cristiana”, aggiunge Sylvie di Bordeaux che afferma di essere lesbica e cattolica praticante. “Durante questo dibattito da parte cattolica si sono ascoltate solo le voci dei più fanatici, non aveva senso, era come se il messaggio d’amore di Cristo fosse venuto meno”.
Come un lebbroso
Thierry Speitel, sindaco di Sigolsheim (Francia), paese Alsaziano rinomato per il suo vino, racconta le sue traversie negli ultimi mesi. “Nei piccoli comuni tutti sanno tutto di tutti, a me è successo di essere insultato da alcune persone per colpa della religione, anche se loro, spesso, erano dei gay repressi. I tal caso i loro insulti mi ferivano ancora di più”. Ma spera che il discorso di papa Francesco possa cambiare le cose.
“E’ la prima volta che un papa dice chiaramente che non bisogna respingerci”, afferma Patrick Sanguinetti, presidente di David e Jonathan, associazione omosessuale cristiana (francese) che ricorda che “pure nel catechismo ufficiale della chiesa cattolica c’è scritto che la persona omosessuale deve essere accolta e non respinta, ma era importante che questa affermazione venisse verbalizzata”.
Non è ancora una musica celestiale, ma vi è la speranza di un cambiamento, soprattutto per un gay cinquantenne che ci confida d’aver trascorso metà della sua esistenza “a soffrire come un lebbroso”. Lacerato tra una fede radicata nel profondo e la discriminazione della chiesa cattolica nei confronti dei gay.
“Non sai quanto sia grande la sofferenza di sentirsi indegni per la chiesa cattolica perché si è gay”, aggiunge che bisogna notare la moderazione di Papa Francesco su questi temi, sopratutto rispetto a certi cristiani, cattolici o protestanti, violentemente omofobi, per i quali l’omosessualità è inaccettabile.
E’ molto “felice di questo cambiamento di toni”, che “dà speranza” anche Elisabeth Saint Guly, portavoce di David e Jonathan, associazione (francese) cristiana GLBT che conta più di 600 aderenti, che sottolinea come questo messaggio è ancor “più importante in Africa e nell’Europa dell’Est, dove molti pastori cattolici, ortodossi e protestanti, incoraggiano la discriminazione verso gli omosessuali e, nei casi peggiori, incitano addirittura alla violenza e all’omicidio”.
Testo originale: Les catholiques homosexuels se sentent un peu moins stigmatisés