La pastorale profetica con le persone Lgbt della parrocchia cattolica di Saint-Pierre-Apôtre
Articolo di Gérard Laverdure pubblicato sul sito di Culture et foi.com (Canada), libera traduzione di Innocenzo
La parrocchia (cattolica) di Saint-Pierre-Apôtre* è situata nel Centro-Sud di Montréal (Canada), nel quartiere gay. Come per altre parrocchie, da molti anni, i suoi frequentatori sono molto diminuiti. Qualche cristiano del quartiere si era già riunito per riflettere e pregare insieme circa la loro situazione di omosessuali in una chiesa cattolica. Tra la folla, e su iniziativa di Claude Saint-Laurent e dei laici presenti, si è fatta chiara ed evidente la necessità di essere più presenti nel Village e di accogliere calorosamente tutti coloro che la società e la posizione della chiesa non accettano.
Questo è in linea con il carisma degli Oblati, l’essere solidali con le persone escluse o povere. Questa missione è d’altronde all’origine del loro arrivo nel quartiere nato nel 1850. La parrocchia è piccola come un granello di sabbia e si spopolò negli anni ’70 a causa dell’espropriazione delle case da parte di Radio-Canada e l’allargamento del boulevard René-Lévesque. Progressivamente, l’assistenza domenicale è passata da una trentina di persone alle attuali 100-130 per domenica, in un contesto regionale (la Montréal metropolitana e altre) di 200-250 persone.
Per la maggior parte sono persone omosessuali, ma ci sono anche un buon numero di etero, per lo più separati o divorziati. Ci sono omosessuali che sono stati sposati, che hanno avuto dei figli, e che hanno scoperto di non essere etero. Altri, dei dintorni, hanno fatto ricorso ai servizi della parrocchia: dai giovani stranieri appena arrivati a Montréal, agli emarginati per il loro orientamento sessuale e agli ex preti. È questo che ci fa dire che Saint-Pierre-Apôtre è più un santuario che una parrocchia.
Quello che attira e trattiene è l’accoglienza particolarmente calorosa e personalizzata. È rivolta alle persone. Ci si conosce per nome, si parla e si stabiliscono davvero dei legami. È questo che va sottolineato. La qualità della liturgia conta anche per molti motivi. Essa è semplice. Ci sono diversi celebranti che si alternano ogni mese. Dei laici sono intervenuti in alcune omelie talvolta e questo ha aumentato la diversità. L’atmosfera del luogo, grazie al suo silenzio, porta all’interiorità, alla preghiera.
Per l’animazione pastorale della parrocchia Claude Saint-Laurent, il parroco, ha deciso di scindere il compito del sacerdote da quello dell’animazione. Un modo per coinvolgere ulteriormente i laici nella responsabilità pastorale: un prete moderatore e un coordinatore laico della pastorale lavorano in équipe con la collaborazione di un consiglio e i responsabili dei servizi.
L’esperienza, tra alti e bassi, continua da tre anni. Non si cambiano le abitudini di lavoro da un giorno all’altro. È solo cercando di camminare nella che si può raggiungere arrivare fino in fondo. Questa esperienza la dice lunga sulla struttura della parrocchia, sulla sua impostazione e sul suo modo di fare: è evidente che bisogna cambiare modalità ma con la buona volontà politica si può fare.
Un aneddoto è necessario: per la celebrazione del Giovedì Santo, Claude ha creato molte iniziative concernenti le strutture fisiche, come anche per gli anni precedenti; questo rompe la routine e crea l’atmosfera, è davvero geniale.
Quindi sono stati spostati i banchi della chiesa per tutta la Quaresima e il Giovedì Santo sono stati raggruppati molti tavoli a forma di pentagono. Un tavolo è stato messo su una piattaforma con un bel drappo al fine di distinguerlo dagli altri. L’eucarestia si sarebbe tenuta lì. Uno dei ragazzi che si occupava della chiesa è venuto a vederlo. Io vedevo che ne era incuriosito e disse: «È davvero la chiesa cattolica, non c’è modo di essere uguali». Io rimasi sorpreso ma trovai l’affermazione interessante.
Io e Claude ci siamo guardati con aria interrogativa. Tutto era troppo grande e pure difficile da spostare. Ci si è detti: si lascia tutto così come è, non è poi così grave…. Ma la cosa ci intrigava. Conclusione: il ragazzo ebbe il coraggio di interpellarci, non si può lasciare tutto così. È assai difficile anche in chiesa abbandonare le vecchie abitudini e le maniere ben rodate. Alla fine abbiamo messo giù il tavolo, allo stesso livello degli altri. Abbiamo alzato il drappo. Rimpiazzato la sedia del presidente con un banco… dei partecipanti. Dopo di ciò, ha sorriso e ha detto: « Bene, meglio tardi che mai…».
Questo piccolo aneddoto è una bella metafora dei cambiamenti da fare nella nostra chiesa al fine di sviluppare nuovi rapporti su base più fraterna. Infatti è proprio il modo in cui le chiese sono fisicamente concepite che implica un rapporto di «potere», di supremazia,che non favorisce certo né la fraternità e men che mai lo spirito del servizio.
Un altro aneddoto sui rapporti con l’autorità. Durante un consiglio della pastorale, nel mezzo di una discussione una persona disse: «Bene, Padre Felix, visto che lei lo sa, ci dica quindi che dobbiamo pensare di quello che ci ha detto prima.» Mi sono cadute le braccia. Altri due parrocchiana, intelligenti e autonomi nella loro via, hanno approvato la domanda. Io e Padre Felix, ci siamo guardati sorpresi ma coscienti della manovra. Allora io ho detto: «Lo Spirito Santo, non è vero che solo Padre Felix lo abbia, ne abbiamo tutti un bel po’, quantomeno per partecipare alla discussione delle nostre idee.»
È anche presente, molto presente, nelle nostre comunità l’attitudine di dare tutto la capacità di pensiero e di decisione alle autorità. Io conosco molti che hanno abbandonato la chiesa perché non riuscivano a tenere in piedi una piazza di persone capaci di pensare in autonomia.
Sofferenza nella chiesa
Quello che mi fa soffrire nella chiesa, sono i rapporti di potere, rapporti che sono infantili e non rispettosi delle persone. Ci si dice troppo spesso cosa pensare e fare per ogni situazione, come se non fossimo incapaci di intendere da soli.
Essere in comunione non significa essere in simbiosi osmotica. Quando mi guardo intorno e in me stesso, realizzo che noi siamo adulti nella vita familiare, nella vita di coppia, nella vita sociale, nella vita affettiva, nella vita politica, nella vita economica nella vita sessuale.
Allora perché sulle questioni di fede, di spiritualità e di vita ecclesiastica non siamo sempre più adulti e responsabili, tranne che nella fede. Non siamo pienamente membri di essa col battesimo? C’è stata, a metà degli anni ’60 ,una grande sfida, la cosiddetta crisi dell’Azione cattolica, una sfida per l’autonomia, quella delle coscienze, del pensiero, dell’azione dei gruppi verso un episcopato e un clero totalitaristi. Non a caso, ai giorni nostri, i movimenti di Azione cattolica che formano militanti di spirito evangelico, quindi critici, non sono più finanziati dall’episcopato.
Ma quando l’opportunità di esprimersi nella Chiesa gli viene data, i ragazzi prendono la parola. Un esempio. A fine estate, col dibattito che girava intorno al matrimonio gay, sul quale non si è voluto prendere posizione perché non c’erano state preventive consultazioni, è stato loro chiesto, durante un’assemblea domenicale: «Come vi sentite in questa chiesa, con i discorsi che vi si tengono?»
Una dozzina di ragazzi (gay) si sono alzati per dire come si sentivano ancora feriti e di nuovo rifiutati. C’era, manco a dirlo, tanta rabbia ma anche tanta tristezza e scoraggiamento. Dissero:« C’è la volontà di farci condannare, giudicare, e addirittura assimilare ai pedofili. Quelli che mettono le mani sulle bambine del terzo mondo sono eterosessuali al 95%. Non sono gli omosessuali che vanno là. Gli incesti, stessa cosa, nelle “brave” famiglie.» Altri dissero:« Non si capisce più come spiegare la nostra appartenenza a questa chiesa. Si è ormai a corto di argomenti per la difesa.» Ci hanno colpito al cuore.
Io torno sull’apertura alla comunità gay. Nel Village (di Montreal) c’era un parco, all’angolo tra Sainte-Catherine e Panet per commemorare le persone morte di AIDS. Ma da vedere era «duro»… delle tombe che giacevano in uno spazio freddo e spoglio. Poi quando imbruniva e faceva freddo non richiamava certo alla meditazione. Ora, nella chiesa, c’è la cappella del Sacré-Cœur, uno spazio intimo e caldo.
Per poter beneficiare di un luogo decente e per favorire la preghiera, è stata costruita nel 1966, la cappella del Sacré Coeur ed è stata dedicata, in particolar modo, alle persone morte di AIDS. C’è una piccola fontana, dei fiori, un quaderno dove si possono scrivere preghiere, riflessioni, e dove, lungo il muro, ci sono anche piccole targhe,più di un centinaio.
È davvero molto bello. È la sola chiesa cattolica nel mondo dove c’è un luogo dedicato alle persone uccise dall’AIDS.
È incredibile quanta gente vi si reca. La cappella è conosciuta in tutto il mondo, grazie alla pubblicità della Camera di commercio del Village e grazie al nostro e ad altri siti, tanto che abbiamo dalle sei alle settemila persone che ogni anno passano per Saint-Pierre-Apôtre. Una équipe di volontari sono all’accoglienza tutti i pomeriggi.
Le persone omosessuali rappresentano una categoria di popolazione che ha sofferto molto il rifiuto familiare, soprattutto dal padre, a scuola, spesso venedio ridicolizzati, insultati e picchiati anche nell’ambiente di lavoro (vedi il film “Progetto Laramie” sulla morte violenta del giovane Matthew Shepard avvenuta a Laramie in Wyoming).
Circa il 40% dei giovani ha tentato il suicidio e quelli che vi sono arrivati sono giovani alle prese con la loro omosessualità in un ambiente omofobo. Questo non è affatto comprensibile per gli adolescenti etero, che si trovano a vivere, così come la cultura dominante, in codici relazionali, rapporti amorosi, e i modelli eterosessuali. Siamo immersi in una cultura etero e spesso, troppo spesso, “machista”. Come trovare se stessi e costruirsi la propria identità omosessuale in questo contesto?
Ecco un esempio per illustrare come le persone omosessuali sono stati socialmente e moralmente ostracizzati. Padre Felix mi ha detto che un giorno ricevette la visita di due uomini, uno sulla sessantina, l’altro sulla settantina. Gli confidarono la loro angoscia più profonda, che era quella di essere convinti da sempre, che sarebbero andati dritti all’inferno perché omosessuali. E anche perché avevano delle attività sessuali, ma di tipo omosessuale. Che inferno vivere così! Io non ho mai scelto di essere omosessuale ma sono colpevole e, quantomeno mi ritroverò all’inferno qualsiasi cosa io faccia… che buona notizia! Padre Felix ha cercato di chiarirgli le cose ma ormai era troppo tardi nella loro vita.
Segni di speranza
Dei segni di speranza sono difficili da trovare . Però stamane ne ho uno da farvi sentire e vedere. Io non sono il solo a dimorare nella chiesa e a sperare nel cambiamento. Cambiare è morire per essere vivi. Quello che io spero, è che i rapporti siano più fraterni. Questo non ostacola la presenza di responsabili o di un’autorità cui rendere conto. Ma bisogna essere più fraterni e solidalmente responsabili, come soggetti. Io prendo ad esempio la cittadinanza che manifesta nella società.
Una società, o meglio una « società civile», sono forti e più sane di una società autoritaria dove una sola persona pensa e agisce per tutti gli altri. Allo stesso modo anche nella chiesa c’è dei responsabili da far “svegliare”. Per far questo non si chiede il permesso, lo si fa e basta. C’è poco spazio per conversazioni vere e per le iniziative, così come per un lavoro d’ équipe.
Io devo recarmi nella parrocchia vicina, a fine maggio e per me è una grossa sfida, e non so nemmeno se ci riuscirò, ma, per me, questo è il punto. Li è la chiave, la formazione, il cuore di tutto ciò che è piramidale e che non cambia mai. Non so come si possa modificare il sistema… Sicuramente se siamo in molti si può far più pressione, maggiori proposte, e questo è essenziale.
Conclusione
In conclusione vi segnalo questi due documenti: la parrocchia St-Pierre-Apôtre, a seguito di molte riflessioni, ha pubblicato un documento che fa il punto su omosessualità e fede intitolato L’universo dell’omosessualità( c’è la versione spagnola, quella in inglese è esaurita). Il secondo documento, intitolato “Saint-Pierre-Apôtre, approccio pastorale”, è stato pubblicato nella rivista diocesana di Montréal, Vivere nella Chiesa, nel primo numero di Gennaio 2004. Una versione integrale lunga la si trova nella rivista “Preti e pastor”i di aprile 2004
Inoltre, il frutto delle nostre riflessioni e delle riflessioni dei membri sono condivise con le persone del quartiere tramite un piccolo libello chiamato Visage. Si cerca di rendere la fede accessibile ( inculturazione, incarnazione e riespressione del Vangelo ndt) tramite testimonianze, riflessioni sulla vita, la spiritualità e su temi attuali. Tutti sono liberi di esprimersi.
Il libello è distribuito in alcuni bar e club o ristoranti e nei servizi di supporto. Ci sono molte reazioni positive, soprattutto c’è chi si avvicina alla parrocchia per il legame che si propaga, nella regione fino agli USA, grazie ai lettori incantati.
Come il razzismo il sessismo e la violenza contro le donne, l’omofobia continua a fare vittime dovunque nel mondo malgrado il progresso concernente la comprensione e il rispetto dei diritti umani. A partire val vangelo che leggo e dal Gesù che sento, io non credo che Egli ci appoggi nella condanna legalistica e nel rifiuto (delle persone). In verità io credo che prostitute, reietti, non credenti e omosessuali, ci precederanno nel Regno di Dio. Sorpresa!
* NDR Nella Chiesa di San Pietro Apostolo di Montreal (Canada) dal 22 luglio 1996 una fiamma arde continuamente nella Cappella della Speranza in memoria delle vittime dell’AIDS.
Testo originale: La paroisse Saint-Pierre-Apôtre (Montréal): une pastorale prophétique