Tutti diversi, tutti uguali (1Corinzi 12:12-27)
Riflessioni bibliche pubblicate sul sito del David et Jonathan, associazione credenti LGBT francese, il 12 maggio 2008, liberamente tradotte da Marco Galvagno
Cari amici, ci siamo fissati come tema di riflessione quest’anno: tutti diversi, tutti uguali (1Corinzi 12:12-27). E’ un bel tema. Ma sappiamo che in realtà non è così facile da mettere in pratica. Già tra noi l’uguaglianza tra uomini e donne è un tema ricorrente a David e Jonathan (ndr gruppo di cristiani LGBT francese), ma anche le nostre differenze religiose, poiché le nostre origini sono svariate: tra i cattolici tradizionalisti e i cattolici progressisti, gli ortodossi, i protestanti storici ed i protestanti evangelici vi sono molte differenze, senza poi dimenticare la sfaldatura ancora più forte che vi è tra i praticanti e non praticanti.
Tutte queste origini confessionali diverse potrebbero separarci e a volte ci separano. Ma questo argomento “tutti diversi, tutti uguali” non è solo uno slogan riservato al David e Jonathan, ma noi lo riconosciamo in filigrana nel testo di San Paolo nella lettera ai corinzi. E’ il tema di questo capitolo che riguarda la chiesa di Gesù Cristo nel suo insieme. E noi vorremmo che un giorno le Chiese possano dire chiaramente e riconoscere che siamo cristiani omosessuali, tutti diversi e tutti uguali.
Certo le posizioni delle chiese ufficiali sono molto diverse le une dalle altre e variano. Alcune chiese protestanti isolate vivono questo riconoscimento, accettando ministri gay e benedicendo coppie dello stesso sesso. Ma sono ancora troppo poche. Forse potremmo leggere queste aperture come segni profetici, di un futuro migliore, e come incoraggiamento nella nostra battaglia verso il riconoscimento di ciò che siamo.
Bisogna dire che il problema generale dell’unità della chiesa, corpo di Cristo, è una preoccupazione crescente in un buon numero di chiese solo da qualche decennio. Le divisioni sono uno scandalo di fronte al mondo che non capisce le nostre battaglie teologiche ed ideologiche.
Ma la mancanza d’unione è uno scandalo anche per Dio. La chiesa è il corpo di Cristo e questo corpo è uno, come avviene allora che sia talmente diviso, spezzettato, dilaniato. La divisione è propria dell’uomo. L’apostolo direbbe è opera della carne, in cui vogliono rimanere i nostri corpi, cioè dell’uomo che vive senza Dio. Orgoglio ed egoismo sono manifestazioni della carne, così credo che anche con la migliore volontà del mondo l’unità non può essere costruita con le nostre sole forze e capacità umane. Paolo ci fornisce una chiave di lettura che io reputo fondamentale lo Spirito.
“Infatti noi tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito” (1Corinzi 12, 13).
Battezzati in un solo spirito e abbeverati ad un unico Spirito, è il fondamento dell’unità nel corpo di Cristo. E questo fondamento è dietro di noi, sopra di noi e ci trasporta. La forma grammaticale è passiva, siamo stati, siamo stati battezzati cioè etimologicamente immersi dentro.
Siamo tutti degli Obelix caduti nella pozione magica dello Spirito Santo quando eravamo piccoli (e alcuni di noi anche in età adulta) non nel pentolone del druido, ma nel sacramento del battesimo. Con questa immagine voglio dire che Dio ha già realizzato l’essenziale. Siamo spesso degli Obelix senza saperlo, senza conoscere la forza dello Spirito che ci abita e ci comportiamo spesso come i buoni abitanti del piccolo paesino di Asterix che vanno nel panico nel momento delle avversità, quando non hanno potuto bere la loro dose di pozione magica.
Forse in quel giorno di Pentecoste dobbiamo prendere coscienza che noi siamo stati battezzati, immersi nello Spirito di Dio che abita nei nostri cuori. E Paolo continua con questo verbo abbeverarsi. Ci siamo abbeverati ad un unico Spirito. Tutti credenti in Cristo abbiamo bevuto dalla stessa fonte, questa sorgente che sgorga dalla Croce e che ci dà una vita nuova. Paolo ci dice che il fondamento dell’unità è lo Spirito Santo. Non è riposto sulle nostre capacità, sui nostri sistemi, ma è un dono di Dio. E sviluppa le conseguenze: tutti uniti, uguali, ma anche tutti diversi.
Le due cose vanno insieme. Il corpo è composto da varie parti: occhio, mano, piede e orecchio. Ogni parte ha la propria funzione che nessuna altra parte del corpo può compiere al suo posto. I ciechi, i sordi, gli zoppi sanno quanto il corpo sia handicappato quando una delle sue parti non funziona o è mancante. Il corpo ovviamente continua a vivere e ad esistere, ma a prezzo di grandi sacrifici. Così nella comunità cristiana siamo chiamati a riconoscere i nostri doni, le nostre specificità, poiché siamo tutti unici.
Due problemi si pongono allora in una comunità: la denigrazione di sé e quella degli altri. Il piede dice a volte “siccome non sono una mano non faccio parte del corpo” e l’orecchio dice la stessa cosa “siccome non sono occhio, non faccio parte del corpo”. Paragonarsi agli altri non è mai un buon consigliera. Fare paragoni con gli altri può portare a denigrare se stessi e a denigrare gli altri. Nel corpo di Cristo non c’è competizione, ne prestazioni, ne record da difendere per essere, per esistere.
Ognuno ha il proprio posto, ognuno ha le sue qualità, le sue specificità e i suoi doni. Non siamo tutti uguali. Vi sono membri che brillano per le loro qualità e altri più modesti che restano nell’ombra. Ma tutti hanno il proprio posto nel corpo di Cristo, la parola dell’apostolo è la chiesa.
Le membra del corpo che sono più deboli sono necessarie, quelle che riteniamo meno onorevoli sono quelle a cui rendiamo più onore, meno sono decenti e più decentemente le trattiamo. Certo, questo non avviene sempre nei fatti. E allora le membra più deboli e fragili si sentono respinte. Che possano trovare una parola di conforto e riconciliazione con se stessi. Poiché ciò che dice l’Apostolo e che ogni comunità cristiana dovrebbe vivere nel modo in cui Dio guarda a queste membra. Poiché è lo sguardo di Cristo che vediamo nei Vangeli, lui si è interessato ai più poveri, agli esclusi della società, a quelli che non rientravano nei criteri delle convenienze sociali: la donna adultera, Maria Maddalena che aveva 7 diavoli dentro di lei, Zaccheo il pubblicano imbroglione e molti altri.
Sono loro quelli che Cristo ha incontrato, li ha guariti, onorati, perdonati e salvati. Chiunque noi siamo non escludiamoci dal corpo di Cristo che è la chiesa, poiché il nostro posto non viene dagli uomini, ma dallo Spirito Santo nel quale siamo stati immersi grazie al nostro battesimo.
Il secondo problema è quello della denigrazione del prossimo. E’ ancora il fare paragoni che ci porta a denigrare gli altri. L’occhio non può dire alla mano non ho bisogno di te, ne la testa ai piedi non ho bisogno di voi. Questa espressione “non ho bisogno di te” è una delle cose più crudeli che si possa dire a qualcuno. “La tua esistenza non mi dà nulla, la tua esistenza non serve a nulla , sei una persona inutile”. Che autosufficienza, che egocentrismo. C’è rottura della relazione. E’ tutto l’opposto della fede cristiana che mette gli esseri umani in relazione. Quello che dice non ho più bisogno di te, non è più nella fede cristiana. C’è anche cecità completa, poiché a cosa può essere utile al corpo un occhio senza le mani? L’occhio vedrà sempre, ma la sua funzione non è solamente di vedere per se stesso, l’occhio è al servizio del corpo , perché il corpo possa vivere ed agire al fine di svilupparsi, di produrre e costruire un mondo abitabile, umano, armonioso. La vera gioia dell’occhio è quella di permettere alle mani di lavorare , di fabbricare, di coltivare.
E la testa sarebbe stupida se dicesse ai piedi non ho bisogno di voi, poiché una testa immobilizzata a letto o su una sedia a rotelle è alla fine una testa, triste , handicappata, frustrata. In realtà dire all’altro diverso da me non ho bisogno di te è mutilare se stessi, poiché siamo creati come esseri in relazione e abbiamo gli uni bisogno degli altri.
Penserete che queste sono solo belle parole e allora come metterle in pratica?
E’ ancora Paolo ad aiutarci fornendoci una seconda chiave fondamentale, dopo quella dello Spirito, nel capitolo che segue il nostro testo, il capitolo 13 della prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi intitolato “inno alla carità”. E’ l’amore che è la chiave di volta della vita cristiana . L’Apostolo dice senza l’amore non sono nulla. Potremmo essere capaci di fare grandi imprese, condurre battaglie, per l’uguaglianza, la visibilità di ciò che siamo, fare i più bei discorsi o le più belle preghiere, senza amore tutto questo non serve a nulla.
Non si tratta per Paolo dei buoni sentimenti che ci avvicinano alle persone affini a noi, perché ne siamo attratti, ma di un impegno concreto e volontario verso il nostro prossimo chiunque egli sia.
“La carità è paziente, è benigna la carità, la carità non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della Verità, tutto tollera, tutto crede, tutto sopporta. La carità non verrà mai meno” (1 Corinzi 13,4-8). Mettere in pratica queste parole una debolezza? Tollerare tutto, credere tutto, sopportare tutto senza amore sì è una debolezza, persino vigliaccheria. Ma con l’amore questa apparente debolezza diventa potenza di Dio, l’unica arma del cristiano. Pensiamoci nelle relazioni tra di noi e con le altre chiese cristiane e nei rapporti con il Mondo.
“Poiché, come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un solo corpo, così è anche di Cristo. 13 Infatti noi tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito. Infatti il corpo non si compone di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: «Siccome io non sono mano, non sono del corpo», non per questo non sarebbe del corpo. Se l’orecchio dicesse: «Siccome io non sono occhio, non sono del corpo», non per questo non sarebbe del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato? Ma ora Dio ha collocato ciascun membro nel corpo, come ha voluto. Se tutte le membra fossero un unico membro, dove sarebbe il corpo? Ci sono dunque molte membra, ma c’è un unico corpo; l’occhio non può dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né il capo può dire ai piedi: «Non ho bisogno di voi».
Al contrario, le membra del corpo che sembrano essere più deboli, sono invece necessarie; e quelle parti del corpo che stimiamo essere le meno onorevoli, le circondiamo di maggior onore; le nostre parti indecorose sono trattate con maggior decoro, mentre le parti nostre decorose non ne hanno bisogno; ma Dio ha formato il corpo in modo da dare maggior onore alla parte che ne mancava, perché non ci fosse divisione nel corpo, ma le membra avessero la medesima cura le une per le altre. Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono con lui. Ora voi siete il corpo di Cristo e membra di esso, ciascuno per parte sua” (1Corinzi 12:12-27).
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Testo originale: Prédication JAR 12 mai 2008 – 1 Corinthiens 12/12-27