Algeri il cuore del mondo LGBT in Algeria
Articolo di Délphine Bauer tratto dal mensile Têtu n°202 (Francia) del settembre 2014, pp.46-49, liberamente tradotto da Marco Galvagno
Il quarto mandato del presidente Abdelaziz Bouteflika, rieletto in aprile, ha immerso l’Algeria in un coma politico e allontanato la prospettiva dei cambiamenti sperati dai giovani e dai più progressisti, tra cui vi sono anche i gay algerini, avidi di libertà e costretti al segreto, che sognano di fare piazza pulita delle imposizioni di una società sclerotizzata.
“Incredibile incontrare un ragazzo, sono quasi tre anni che ci parliamo su internet senza esserci mai visti” dice Zack Osman, trentenne carino, fresco di barbiere, con un sorrisetto ironico stampato sulle labbra.
Nell’arteria principale del centro di Algeri si mette a chiacchierare con gli amici di passaggio in una bella terrazza al sole di un bar e fa una telefonata al suo amico per conoscerlo finalmente dal vivo e andare al di là della discrezione di internet.
Ma nei luoghi pubblici bisogna essere molto prudenti: sia la legge algerina che la maggioranza della società tradizionalista condannano duramente l’omosessualità. Gli articolo 333 e 338 del codice penale ricordano agli algerini che i gay non hanno diritto di esistere in Algeria.
Zack, dietro al sorriso di facciata, è un vero militante, impegnato nel movimento Barakat (Ora basta), che promette una svolta democratica, il rispetto delle libertà individuali e la fine della corruzione. Ha scelto di fare coming out pubblicandolo in un manifesto su Le Monde l’anno scorso.
Un sassolino in uno stagno per denunciare la situazione dei gay nel suo paese: “Mi batto a favore del matrimonio per tutti, anche se personalmente sono un libertino. Per il principio d’uguaglianza sostengo anche la depenalizzazione dell’omosessualità e denuncio la piaga dei suicidi tra i gay” spiega.
Da allora in poi ha subito minacce di morte, ha ricevuto foto di bare sul suo profilo Facebook e ha dovuto lasciare il suo paese con il cuore in gola: “Non ero più al sicuro. E poi è un paese in cui per i gay non c’è giustizia: ad esempio, in caso di aggressione ai prostituti gay da parte dei clienti, è impossibile trovare un avvocato”. “Di fatto, la polizia arresta raramente i gay, facendo riferimento alle due leggi che li riguardano in senso stretto.
Questo significherebbe attirare gli sguardi internazionali sull’Algeria, il pretesto che trovano è l’attentato al pudore” spiega Franny, brilante lesbica di trentaquattro anni, che non cessa mai di mettere in luce le profonde incoerenze di una società ipocrita.
“I principali freni sono culturali e religiosi. L’idea che Dio abbia potuto commettere un errore è impensabile ed invocare la laicità è impossibile. Gli algerini pensano che la laicità metta in discussione il concetto stesso di religione” analizza la ragazza bruna.
Mehdi, receptionist di Algeri di trentaquattro anni, conferma “Pochi sapienti dell’Islam affrontano il tema dell’omosessualità, e personalmente, anche se non sono molto praticante, mi faccio domande che mi fanno soffrire come musulmano” ci confida.
Spesso l’omosessualità viene percepita come una malattia, una devianza. Franny ricorda che in un rapporto recente sui diritti umani il rappresentante dell’Algeria abbia dichiarato candidamente al relatore “Non ci sono omosessuali in Algeria”.
Di fronte a questo diniego Franny, in coppia da 3 anni e che in procinto di andare a convivere con la sua ragazza, assieme a una decina di amici ha deciso di fondare l’associazione Alouen (Colori) per far avanzare i diritti dei gay.
“Ufficialmente i suoi obiettivi si limitano a battersi contro la diffusione dell’AIDS, promuovere l’uso dei preservativi e pubblicare online una lista di centri medici di depistaggio, ma se un giorno saremo ben accetti dalle autorità, noi saremo pronti” spiega Heaven, uno dei suoi membri.
In Algeria il 60% dei gay non usa regolarmente il preservativo. Non ci sono distribuzioni gratuite e certe farmacie non li hanno nemmeno. Tra gli ideali questo gruppo di amici c’è la creazione di un gruppo d’ascolto per liberare le persone, una linea d’urgenza per i casi di aggressione e la creazione di un forum.
L’associazione ha creato una piattaforma virtuale per trovare altri gay sulla stessa lunghezza d’onda, perché tutti concordano: internet ha cambiato le carte in tavola, sia in materia di attivismo che di incontri.
Per guadagnare positivamente visibilità e per solidarietà gli utenti di internet possono pubblicare la foto di una fiammella, la fiaccola della speranza.
“Vent’anni fa, quando ho iniziato a farmi domande” racconta Frany “ero sola. Internet ha cambiato tutto, non ci sente più isolati e malati. Creando l’associazione Alouen abbiamo dato volto a una differenza che la società rifiuta. L’ultimo successo di cui andare fieri?
Una radio online che non trasmette in diretta (le autorità avrebbero potuto scoprirci) ma trasmette con un software che deforma le voci nei programmi destinati ai gay.
Sono in arabo algerino, non in arabo letterario né in francese, perché non vogliamo creare barriere supplementari in un paese in cui le varie comunità non hanno tutte gli stessi strumenti linguistici”. “Aspetto con impazienza questo appuntamento” confida un ascoltatore.
E le trasmissioni di questa radio clandestina possono essere riascoltate su Youtube con il nome di Radio Alouen. Anche se internet non è accessibile dappertutto in Algeria, esso ha permesso di creare nuovi spazi per gli omosessuali, incontri, forum, dibattiti e anche fidanzamenti eterosessuali di facciata.
Chik Chik ad esempio ha lasciato questo messaggio: “Ciao, sono una lesbica algerina, cerco un matrimonio di convenienza davanti alla mia famiglia giusto per camuffare la mia condizione e per evitare le loro pressioni, in modo da poter vivere tranquillamente con la mia ragazza”.
Sono le donne a chiederlo di più, dato che l’Algeria è un paese patriarcale e maschilista e non vi è né salvezza né indipendenza per le donne senza matrimonio.
I gay godono di una relativa libertà, ma più ancora sperano con questi matrimoni rainbow di sfuggire alle pressioni familiari, salvare le apparenze e vivere più tranquillamente la loro sessualità.
Amelle ha fatto questa scelta, ma non ha ancora incontrato la persona giusta: “È difficile trovare un partner che abbia la tua stessa concezione della vita”.
Secondo Mehdi la formula non funziona ancora: “Uno dei miei amici ci ha pensato, ma non riusciva ad accettare l’idea di vivere con una donna” racconta il receptionist, “conosce però una coppia per cui ha funzionato. Un modo di rinnegare se stessi? No, un modo di organizzarsi” taglia corto.
“I miei amici mi accettano, ma solo fino a un certo punto” si lascia sfuggire Jack, vent’anni. “Il messaggio è che mi vogliono bene, ma non vogliono sentir parlare di certi argomenti. E poi io sono mascolino, così la gente non ci crede” dichiara questo ragazzone alto, moro, sportivo.
“Di solito il gay effeminato è più accettato” afferma Heaven “perché non mette in discussione il mito della virilità dell’uomo algerino, però deve subire la vicinanza e la promiscuità tra gli uomini, dato che le donne sono inaccessibili fuori dal matrimonio. È così, per quelli che osano parlarne”.
Mehdi, da parte sua, preferirebbe morire piuttosto che la sua famiglia sapesse: “Sono molto religiosi e rifiutano l’idea dell’omosessualità, la considerano un peccato mortale”.
Tuttavia rifiuta l’idea di una vita nascosta: “Non mi vergogno. Ritengo semplicemente che si tratti della mia vita privata, che alla fine riguarda solo me. Non sogno un mondo dove posso urlare a squarciagola che sono gay in una società in cui il sesso è codificato e dove il codice d’onore e rispetto per la famiglia è ancora basato sulla verginità delle ragazze”.
Mehdi, che ama parlare di tutti gli aspetti dell’Algeria, rompe i pregiudizi: “In un albergo, in una camera dove mai un uomo e una donna non sposati oserebbero presentarsi, sono avvantaggiato se ci vado con un uomo: nessuno andrà a controllare” precisa il ragazzo.
Jack si ricorda di alcune serate scatenate organizzate da occidentali che vivono in Algeria, ma le serate negli appartamenti sono rare. “La maggior parte delle volte la sessualità si esprime più liberamente in maniera pericolosa, dietro a un cespuglio, senza protezione” riconosce.
Uno degli amici di Mehdi è stato aggredito quando è andato al commissariato a fare la denuncia; i poliziotti gli hanno chiesto in tono aggressivo “Che cosa ci facevi là?” e gli hanno ingiunto di andarsene.
Zack racconta che gli insulti come “brutto frocio” fioccano per strada regolarmente quando passa, ma lui comunque è fiero di aver donato una voce e un volto ai gay.
Ma per uno Zack coraggioso, quanti gay sono costretti a starsene zitti o a ritrovarsi nell’oscurità di stanze sordide o dietro i cespugli?
Una visione che tuttavia Mehdi contesta: “Algeri è una città segreta. Bisogna smetterla di stupirsi, è tipico delle società ipocrite, ma alla fine succedono cose insolite” si lascia sfuggire.
Narra di un vecchio cinema nel centro di Algeri che apre solo di giorno, ma che ha un’orchestra classica e una terrazza riservata agli uomini. “Le coppie si accarezzano e hanno anche rapporti orali, ma nessuna penetrazione” spiega “perché bisogna essere pronti a rivestirsi al minimo allarme.
Il padrone tollera certe pratiche, ma fino lì, come la società che chiude gli occhi quando vuole”.
Come la madre di Franny, una simpatica vecchietta cabila di 70 anni che la figlia adora, ma che le chiede in continuazione “Ma quando ti sposi?”. E Franny le risponde pazientemente e con grande affetto “Mamma, lo sai bene che non mi sposerò mai con uomo, vero?”.