Una chiamata nella chiamata. Il ministero di una suora tra le persone trans
Articolo di Nathan Schneider pubblicato sul sito di Al Jazeera America (Stati Uniti) il 2 marzo 2014, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Suor Monica viene dalla Louisiana (Stati Uniti) e ai tempi del liceo era una vera bellezza, come testimonia il suo album fotografico. Una volta, sull’autobus, una donna cieca disse che conosceva il suo aspetto dal modo in cui l’autista parlava con lei.
Era la sola ragazza della sua classe che progettava di andare in convento dopo la maturità. Amici e parenti non sapevano cosa pensare della sua scelta. Il ragazzo con cui andò al ballo di fine anno – non era il più bello della città ma era il miglior ballerino – era lì a salutarla mentre i genitori la portavano in macchina in campagna, verso il noviziato.
Si unì a una congregazione piccola, di fondazione piuttosto recente, l’invenzione di una donna eccentrica che convinse il suo vescovo a dotarla di una macchina e di un abito da suora per poter servire i poveri.
La specialità di quelle sorelle era avventurarsi in luoghi sperduti alla ricerca di coloro che il resto della Chiesa aveva dimenticato, attraversando bayou [le paludi tipiche del Sud degli Stati Uniti n.d.t.] e deserti se necessario.
Negli anni seguenti suor Monica ha vissuto in vari stati e ottenuto un master in liturgia alla Notre Dame University. Ha ricevuto una formazione da direttrice spirituale, una specie di mentore che deve guidare e nutrire la vita spirituale delle persone. Era una buona suora. “Nuotare controcorrente e combattere l’autorità non sono cose che mi vengono naturali. Mi piace più seguire che dirigere.”
Suor Monica ha una sorella lesbica e un fratello gay ma raramente è più empatica di quando parla della sua eterosessualità: “Potrei pregare per dodici ore al giorno fino a diventare rosa, viola e blu, senza che questo stimoli il minimo pensiero lesbico in me”.
Ciò che la aiuta a identificarsi moltissimo con la comunità LGBT sono le esperienze di isolamento che ha vissuto in passato, come quando sua madre non comprendeva la sua decisione di farsi religiosa o come quando alcune consorelle la ostacolavano perché non era di origine messicana come loro. Dopo decenni di vita religiosa ha sentito la vocazione al ministero tra i gay e le lesbiche; presto ha sentito “una vocazione all’interno della vocazione” che l’ha portata a servire le persone trans che aveva cominciato a incontrare. Uno per una, attraverso ritiri, email, telefonate e visite, il suo ministero si è allargato fino a toccare centinaia di vite.
Una delle prima persone che suor Monica ha assistito è Dawn Wright. Quando si sono incontrate Dawn aveva passato la cinquantina ed era fresca di transizione. Sua moglie l’aveva lasciata portandosi con sé la figlia. Quando era giovane era una promessa dell’atletica e ha pilotato aerei F-4 nella guerra del Vietnam, ma ora vede tutto questo come compensazione per la sensazione, che ha avuto sin dall’infanzia, di essere nel corpo sbagliato.
Quando faceva le elementari in una scuola cattolica e voleva giocare con le bambine un prete le disse che poteva andare all’inferno per una cosa simile e le diede alcune buone bastonate per farle imparare bene la lezione. I tentativi di suicidio sono cominciati durante il periodo passato nell’Areonautica. Ha tentato con qualsiasi cosa, con borse di plastica, tagliandosi i polsi, con le pillole.
Andava dai medici, che dicevano di non dire a nessuno la vera ragione di questi tentativi perché le ripercussioni le avrebbero rovinato la vita; andava dai preti, che le dicevano che sarebbe andata all’inferno se avesse provato a vivere come una donna.
Smise di andare a messa. “Sentivo che in qualche modo, se fossi entrata in una chiesa, avrei trovato una freccia di fuoco sulla mia testa che mi avrebbe additata quale peccatrice.” Un amico comune le presentò suor Monica.
Ben presto, sentendosi di nuovo vicina al suicidio, rimase a casa sua per un weekend di ritiro. Il momento che ricorda meglio è quando suor Monica cominciò a cantare. Suor Monica canta magnificamente grazie a una vita passata nei cori delle chiese e non esita a darne prova attorno al tavolo della cucina.
Le parole erano prese da una canzone di Libby Roderick ma quella sera sembravano prese a prestito da Dio: Come può qualcuno dirti che sei qualcosa di meno che bella? “Il mio cuore si aprì e sentii che c’era una chance per me” dice Dawn. “Penso che Monica mi abbia veramente salvato la vita.” È una testimonianza molto diffusa tra i suoi amici trans. Alcuni studi suggeriscono che il 40% delle persone transgender ha tentato il suicidio.
Prima sopravvivere, poi la Chiesa. Suor Monica ha portato Dawn alla parrocchia afroamericana che frequentava all’epoca, dove nessuno ha battuto ciglio. Si sono sedute vicine durante la messa. “Per la prima volta da quando avevo cinque anni mi sentivo sicura in una chiesa cattolica.
Era una bella sensazione.” Ha ricominciato ad andare a messa in Alabama, dove vive, e ha scoperto che anche lì era accolta. Non ha avvertito il disgusto o i giudizi che si aspettava. Non esitano a tenerle la mano durante il Padre Nostro. “Per tutta la vita ho pregato di svegliarmi e sentirmi normale. Ho consumato innumerevoli rosari. Ora, mi sveglio e mi sento normale.” Dopo la transizione Dawn si è laureata e tiene corsi online di statistica e analisi quantitativa.
Sua figlia ha ricominciato a comunicare con lei. Ha avuto un attacco di cuore; vicino al suo letto di ospedale aveva un laptop e le email di suor Monica le hanno tenuto compagnia.
Molto simili sono le storie delle persone che suor Monica ha “accompagnato”, come dice lei. Quello che ha detto e fatto ha rivoltato le loro vite come un calzino. Sono migliorate; hanno potuto vedere dei bagliori dell’amore che Dio prova per loro, come insiste suor Monica.
Ma altri sembrano non sentire nulla di ciò che dice. Le sue parole e le sue preghiere non bastano. Forse nulla basterebbe – l’esistenza transgender ha sempre avuto un costo altissimo. Altri sono stati obbligati a tagliare i ponti con lei dai coniugi che hanno paura di questa scoperta.
Ha dovuto fissare dei confini per proteggersi, scoprire dove poteva essere utile, evitare di venire svegliata dal telefono a ogni ora della notte. Per anni ha partecipato ai gruppi di sostegno per persone trans nei vari luoghi in cui ha vissuto, presentandosi all’inizio come tutti gli altri ma per il resto rimanendo quasi sempre in silenzio. Le sfide della vita transgender vengono sciorinate attorno a un tavolo; molte delle persone sedute attorno a quel tavolo probabilmente nella vita quotidiana non verrebbero prese per una persona del genere a cui ritengono di appartenere.
C’è una tristezza così pesante in quei gruppi che nemmeno la solidarietà tra i membri può interamente dissipare. Suor Monica ascolta con attenzione mentre i partecipanti parlano delle loro varie difficoltà legali e mediche, problemi che difficilmente le persone cisgender [coloro che sentono di appartenere al loro genere di nascita n.d.t.] possono incontrare: quale bagno utilizzare, che dose di ormoni assumere, come cambiare la carta d’identità, come cercare lavoro o richiedere il passaporto, cosa fare quando si ha avuto una giornata discreta fino a quando qualcuno si riferisce a te, sogghignando, con il pronome sbagliato.
Se uno non conosce l’esperienza trans, una stanza come questa potrebbe innervosirlo. Quando andrà a letto la notte potrebbe per la prima volta farsi domande imbarazzanti su chi o cosa è realmente, su cose che sono sempre sembrate certe, fisse, chiare. Le persone trans rappresentano una minaccia in una società ansiosa di mantenere stabili le sue categorie di base; subiscono violenza a un tasso molto più alto del resto della popolazione.
Ma sedetevi lì per un po’, come in qualsiasi stanza, e le storie diventano semplici storie. Le persone diventano persone. Per suor Monica sedersi a quei tavoli assieme a quei gruppi di sostegno vuol dire essere in famiglia.
Se le si chiede un consiglio a un incontro o in una chiacchierata faccia a faccia suor Monica riflette tutto ciò che ha ascoltato nel suo discorso fluente. Parla il linguaggio della dissonanza, della transizione e dei molti tipi di esperienza che vengono etichettati come “trans”. Parla senza esitazioni delle varie parti del corpo o dell’”idraulica” ma sa essere educata e sa quando quegli argomenti non sono appropriati. E poi rispunta la teologia.
A fianco delle cose pratiche parla con loro di Dio, un Dio che non fa confusione tra l’essere diversi e il peccato, che ha fatto il mondo grande abbastanza per tutti. Un giorno, attraversando il deserto in macchina con suor Monica, un amico trans ebbe un’illuminazione.
Un cactus dopo l’altro passava oltre il finestrino e lo colpì il fatto che in quel posto tranquillo, sterile e cocente i cactus erano pienamente nel loro elemento. Il luogo sembrava poco invitante, ma non per un cactus. Se la creazione può preparare una casa per chi non si conforma, forse anche la Chiesa può farlo.
Testo originale: A nun’s secret ministry brings hope to the transgender community