Due gay non sono la famiglia, ma sicuramente una famiglia
Riflessione di Gabriella Lettini tratta da Omosessualità, Claudiana editrice, pp.54-56
Perché poi continuare a sostenere che matrimonio e unione civile sono due realtà diverse? Non nasce questo da paure inconsce, ignoranza e conformismo? Su cosa si basa il matrimonio? Sono dunque le coppie omosessuali a causare il degrado o il dissolvimento della famiglia nella società occidentale?
Non credo proprio. Anzi, molte coppie omosessuali sono un esempio di come si possa essere coppia e famiglia al di là di vecchi e stanchi giochi di ruolo obbligatori.
Nello stesso modo, molti uomini e donne omosessuali sono non soltanto cittadini modello, ma pionieri di un nuovo modo di intendere la società civile come un luogo dove ogni essere umano viene pienamente rispettato nella sua diversità e unicità.
Il dibattito sulla condizione delle famiglie di fatto e sulla possibilità di riconoscere il matrimonio fra donne o uomini omosessuali si fa sempre più acceso e genera sempre maggiori controversie. «Due gay non sono una famiglia», afferma monsignor Maggiolini sull’Osservatore Romano.
Certamente non sono una famiglia secondo i canoni tradizionali: ma se consideriamo la famiglia come un luogo d’incontro tra persone che si amano, si rispettano e fanno promesse reciproche di fedeltà e di solidarietà, allora due gay o due lesbiche sono famiglia così come lo siamo io e mio marito, che abbiamo tanto di timbri del municipio di New York (con tutti i privilegi che questo comporta), la benedizione «automatica» del mondo cristiano e il rispetto della società.
Mi ha sempre colpito il fatto che in molte chiese, durante la liturgia che unisce in matrimonio un uomo e una donna, si legga un passo del libro di Rut e cioè la promessa di Rut alla suocera Naomi, dopo che entrambe sono rimaste vedove: «Dove andrai tu verrò anch’io: dove abiterai tu abiterò anch’io. Il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove tu morirai, morirò anch’o e lì sarò sepolta. Solo la morte potrà separarmi da te!» (Rut 1,16-17).
Qui usiamo una promessa d’amore fatta tra due donne come promessa costitutiva di una coppia eterosessuale e poi ci rifiutiamo di ammettere che due persone che si amano e che decidono di condividere ogni cosa, come fanno Rut e Naomi, indipendentemente dall’orientamento sessuale, siano una famiglia «di fatto»?
Lo stesso va detto per le citazioni dal Cantico dei Cantici nelle liturgie matrimoniali: dove è scritto che l’uomo e la donna che si amano in questo poema biblico dell’amore passionale siano stati «regolarmente sposati» con rito religioso o civile?
Perché poi continuare a sostenere che matrimonio e unione civile sono due realtà diverse? Non nasce questo da paure inconsce, ignoranza e conformismo? Su cosa si basa il matrimonio? Sull’unione tra l’organo genitale femminile e quello maschile? Sul concepimento di figli e figlie? Questa mi pare una concezione assolutamente riduttiva.
Sul fatto che alla cerimonia ci sia una sposa con l’abito bianco e uno sposo con il frac? O forse sull’assunzione dei ruoli stereotipi «maschili» e «femminili» all’ interno della coppia?
Tutti noi, uomini e donne, eterosessuali e omosessuali, dovremmo essere capaci di superare questi ruoli stereotipi che ci hanno «ingabbiati» per generazioni e che, lungi dall’essere frutto del nostro stato naturale o della volontà di Dio, sono l’eredità di culture oppressive e maschiliste.
Per me, un matrimonio è l’unione di due persone che si amano, si rispettano, hanno un progetto comune e si sorreggono a vicenda. Da un punto di vista di fede, quest’amore e questa relazione sono un dono di Dio. Tra l’altro, non sono solo i «decadenti» uomini e donne moderni a credere nella legittimità e nella bellezza dell’amore omosessuale.
Il teologo statunitense John Boswell ha trovato esempi di liturgie per unioni tra partner dello stesso sesso provenienti dalle comunità cristiane dell’Asia minore, e risalenti ai primi secoli dopo Cristo. Una famiglia può, ma non deve necessariamente, essere composta e arricchita da bambini e bambine.
Negli Stati Uniti, ho avuto modo di conoscere ragazzi e ragazze straordinari e felici che sono stati allevati da coppie lesbiche e omosessuali.
Al tempo stesso, conosco un’infinità di adolescenti e adulti infelici che provengono da coppie cosiddette «normali» che non si amavano, litigavano in continuazione, si facevano violenza, abusavano fisicamente o psicologicamente di figli e figlie, o se ne disinteressavano completamente. Conosco anche tante persone che sono felicemente cresciute con un solo genitore, forse un papà vedovo o una madre single.
Non è l’orientamento sessuale che fa un buon genitore, così come i migliori genitori non sono sempre quelli naturali. Mentre il mondo è pieno di bambini e bambine senza casa e senza affetto, penso che il rifiuto di garantirne l’adozione da parte di una coppia omosessuale o di un genitore single dipenda più da pregiudizi secolari che dal genuino desiderio di tutelare i bambini.
Sono dunque le coppie omosessuali a causare il degrado o il dissolvimento della famiglia nella società occidentale? Non credo proprio. Anzi, molte coppie omosessuali sono un esempio di come si possa essere coppia e famiglia al di là di vecchi e stanchi giochi di ruolo obbligatori. Nello stesso modo, molti uomini e donne omosessuali sono non soltanto cittadini modello, ma pionieri di un nuovo modo di intendere la società civile come un luogo dove ogni essere umano viene pienamente rispettato nella sua diversità e unicità.