I credenti omosessuali, le veglie e la bisaccia del cercatore
Riflessione di Francesco di Macerata
Noi omosessuali credenti conosciamo bene la fatica del cammino. Quanta fatica possiamo raccontare, quante paure abbiamo dovuto sconfiggere e quanto coraggio abbiamo dovuto trovare dentro di noi per portarci su strade inedite in cui dover e poter far incontrare il Vangelo di Cristo con la nostra vita, in un dialogo costante sempre nuovo, e ogni volta condotto oltre il limite del tempo, oltre anche la nostra identità.
La veglia sarà un momento di preghiera e Dio ascolta sempre le preghiere dell’uomo che gli giungono dal profondo del suo cuore. Un cuore ferito ma anche gioioso e colmo di speranza perchè “le gioie genuinamente umane che fanno battere il cuore dell’uomo, per quanto limitate e talvolta banali, non sono snobbate da Dio.”Un cuore pronto a mettersi in viaggio e impugnare il bastone del pellegrino e prendere con se la bisaccia del cercatore, per usare due espressioni molto care a don Tonino Bello. (“La bisaccia del cercatore” di don Tonino Bello, ed. La meridiana). “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et spes, 1).
Il bastone del pellegrino è il simbolo del cammino, un cammino faticoso che ogni cristiano deve compiere. E’ una provocazione permanente a lasciare gli antichi bivacchi, …e mettersi con coraggio sulle strade dell’esodo, verso gli incroci dove confluiscono le culture”. Noi omosessuali credenti conosciamo bene la fatica del cammino e l’immagine evocata da don Tonino Bello, ci appartiene in modo così pieno.
Quanta fatica possiamo raccontare, quante paure abbiamo dovuto sconfiggere e quanto coraggio abbiamo dovuto trovare dentro di noi per portarci su strade inedite in cui dover e poter far incontrare il Vangelo di Cristo con la nostra vita, in un diaologo costante sempre nuovo, e ogni volta condotto oltre il limite del tempo, oltre anche la nostra identità.
“Guai a fare del nostro frammento la misura del tutto”. E’ un pericolo sempre in agguato laddove ci si pone in atteggiamento di rivendica di una seppure legittima felicità e desiderio di pienezza.
Ed è l’incontro dell’altro che richiede a noi oltre che all’altro un costante e vigile allenamento per un dialogo attento e rispettoso in cui condurci entrambe all’accoglienza reciproca e alla compartecipazione delle esperienze di vita. Il sentirsi l’uno per l’altro compagno (cum pane), mangiare lo stesso pane.
Allora sarà possibile riempire la bisaccia del cercatore. “Non spegnete lo spirito. Non disprezzate le profezie. Esaminate ogni cosa: ritenete ciò che è buono” (1 Tess 5,19-21). In questo camminare insieme con lo stato d’animo di chi vuole cercare, ogni cosa, ogni situazione che la vita ci offre può essere fonte di qualcosa di nuovo, di buono, di bello da riporre nella nostra bisaccia.
Questa bisaccia non è quindi da svuotare, ma da riempire. Non ci deve animare la pretesa di dare soltanto, senza accogliere nulla. In questo esercizio di accoglienza anche l’altro è chiamato a crescere: si può correre il rischio che nei confronti di un alterità la bisaccia sappiamo aprirla soltanto per dare, e mai per ricevere.