I nove miliardi di nomi di Dio
Racconto breve di Arthur C. Clarke, commento tratto dal blog pescevivo
“Un’amica mi chiedeva a che cosa servissero in fondo le monache di clausura, la loro vita di preghiera, rispetto ad aiuti concreti come l’assistenza medica ai più poveri. Perchè sprecare tempo della propria vita pregando? Non si vuol essere esaustive per darsi arie senza la necessaria competenza. Espongo solo una delle mie teorie personalissime in merito: forse se le persone che pregano smettessero di farlo, il mondo potrebbe cessare di esistere”, quasi come accade nel racconto “I nove miliardi di nomi di Dio ” (1967) di Arthur Clark (Minehead, 16 dicembre 1917 – Colombo, 19 marzo 2008), indimenticato autore di fantascienza noto ai più per il suo romanzo “2001: Odissea nello spazio”.
Il dottor Wagner riuscì a controllarsi. Valeva la pena. Poi disse: “La vostra richiesta è un po’ sconcertante. Per quanto ne so io, e’ la prima volta che un monastero tibetano ordina una calcolatrice elettronica. Non voglio essere indiscreta, ma ero ben lontano dal pensare che una simile comunità potesse aver bisogno di quella macchina. Posso chiedervi che cosa ne volete fare?”
Il lama si aggiustò i lembi della sua veste di seta e posò sul tavolo il regolo con cui aveva calcolato il cambio libbra-dollaro. “Volentieri, la vostra calcolatrice elettronica tipo 5 può eseguire, stando al vostro catalogo, tutte le operazioni matematiche fino a 10 decimali. Tuttavia m’interessano le lettere, con le cifre. Vi chiederò di modificare il circuito di uscita in modo da stampare lettere invece che colonne di cifre.”
“Non afferro bene…”
“Da quando il nostro monastero è stato fondato, più di tre secoli fa, noi ci dedichiamo ad un certo lavoro. È un lavoro che forse vi può sembrare strano, e vi chiederò di ascoltarmi con grande apertura mentale.”
“D’accordo.”
“È semplice. Stiamo compilando la lista di tutti i possibili nomi di Dio.
“Prego?”
Il lama continuò imperturbabile: “Abbiamo eccellenti motivi di credere che tutti quei nomi richiedano al massimo nove lettere del nostro alfabeto.”
“E avete fatto questo per tre secoli?”
“Sì, avevamo calcolato che ci sarebbero stati necessari quindicimila anni per portare a termine il nostro lavoro.”
Il dottore emise un fischio confuso, in modo un po’ sciocco: “OK, capisco ora perché volete noleggiare una delle nostre macchine. Ma qual è lo scopo dell’operazione?”
Per una frazione di secondo il lama esitò e Wagner temette di avere offeso quel singolare cliente che aveva fatto il viaggio Lhasa-New York, con un regolo calcolatore e il catalogo della Compagnia delle Calcolatrici Elettroniche nella tasca della sua veste color zafferano.
“Definitela una pratica rituale, se volete” disse il lama “ma è una parte fondamentale della nostra fede. I nomi dell’Essere Supremo, Dio, Giove, Jehova, Allah, ecc. non sono che etichette disegnate dagli uomini. Considerazioni filosofiche troppo complesse perché io possa esporle qui ci hanno condotto alla certezza che fra tutte le possibili permutazioni e combinazioni di lettere, si trovano i veri nomi di Dio. Ora, il nostro scopo è di trovarli e di scriverli tutti.”
“Vedo. Voi avete cominciato con AAA AAA AAA è arriverete a ZZZ ZZZ ZZZ.”
“Salvo che noi adoperiamo il nostro alfabeto. Vi sarà certamente facile modificare la macchina da scrivere elettrica in modo che usi il nostro alfabeto. Ma un problema che vi interesserà di più sarà la messa a punto di circuiti speciali che eliminino in precedenza le combinazioni inutili. Per esempio, nessuna delle lettere deve apparire più di tre volte successivamente.”
“Tre? Volete dire due.”
“No. Tre. Ma la spiegazione completa richiederebbe troppo tempo, anche se voi capiste la nostra lingua.”
Wagner si affrettò a dire: “Certo, certo, continuate.”
“Vi sarà facile adattare la vostra calcolatrice automatica a questo scopo. Con un opportuno programma una macchina di questo genere può permutare le lettere le une dopo le altre e stampare un risultato. Così” concluse tranquillo il lama “ciò che avrebbe richiesto ancora quindicimila anni sarà portato a termine in cento giorni.”
Il dottor Wagner sentiva che stava perdendo il senso della realtà. Attraverso le finestre del building i rumori e le luci di New York si attenuavano. Si sentiva trasportato in un mondo diverso. Laggiù nel loro lontano asilo montuoso, generazione dopo generazione, monaci tibetani componevano da trecento anni la loro lista di nomi privi di senso…
Non c’era dunque limite alla follia umana? Ma il dottor Wagner non doveva manifestare i suoi pensieri. Il cliente ha sempre ragione…
Rispose: “Non dubito che possiamo modificare la macchina tipo 5 in modo che stampi liste di quel genere. Mi preoccupano di più l’installazione e la manutenzione. Inoltre non sarà facile inviarla nel Tibet.”
“Possiamo superare questa difficoltà. I pezzi staccati sono di dimensioni sufficientemente piccole per poter essere trasportati in aereo. È proprio per questo che abbiamo scelto la vostra macchina. Spedite i pezzi in India, ci incaricheremo noi del resto.”
“Desiderate assumere due dei nostri ingegneri?.”
“Sì, per montare e controllare la macchina durante i cento giorni.”
“Farò una nota alla direzione del personale” disse Wagner scrivendo sul suo taccuino. “Ma restano da risolvere due questioni…”
Prima che terminasse la frase, il lama tirò fuori dalla tasca un foglietto. “Questo è un documento comprovante il mio conto alla Banca Asiatica”.
“Grazie. Perfetto… Ma, se permettete, la seconda questione è così elementare che esito a parlarne. Capita spesso che si dimentichi qualche cosa di evidente. Avete una sorgente di energia elettrica?”
“Abbiamo un generatore elettrico Diesel di 50 kw di potenza, 110 volt. È stato installato cinque anni fa e funziona bene. Ci facilita la vita, al monastero. L’abbiamo acquistato soprattutto per far girare le ruote delle preghiere.”
“Ah! Sì, certamente, avrei dovuto pensarci…”
Dal parapetto la veduta faceva venire le vertigini, ma è noto che ci si abitua a tutto.
Erano passati tre mesi e Georges Hanley non era più impressionato dai seicento metri di strapiombo che separavano il monastero dai campi che nella pianura sembravano formare una scacchiera. Appoggiato ad una delle pietre corrose dal vento, l’ingegnere contemplava con occhio pigro le montagne lontane, di cui ignorava il nome. “L’operazione nome di Dio”, come l’aveva definita un umorista della Compagnia, era certamente il peggior lavoro da matto a cui avesse mai partecipato.
Una settimana dopo l’altra, la macchina tipo 5 modificata aveva coperto migliaia di fogli di un incredibile volapük. Paziente e inesorabile, la calcolatrice aveva aggregato le lettere dell’alfabeto tibetano in tutte le possibili combinazioni, esaurendo una serie dopo l’altra. I monaci ritagliavano certe parole appena uscite dalla macchina da scrivere elettrica e le incollavano con devozione in enormi registri. Entro una settimana avrebbero finito.
Hanley ignorava con quali calcoli misteriosi essi erano arrivati alla conclusione che non occorreva studiare raggruppamenti di dieci, venti, cento, mille lettere, e non ci teneva affatto a saperlo. Nei suoi incubi talvolta sognava che il gran lama aveva improvvisamente deciso di complicare un po’ di più l’operazione e di continuare il lavoro fino all’anno 2060. Quell’accidenti di brav’uomo ne sembrava, del resto, perfettamente capace. La pesante porta di legno sbatté. Chuk lo aveva raggiunto sulla terrazza. Chuk fumava, come al solito, un sigaro: si era reso popolare tra i lama distribuendo loro i sigari avana. “Quei tipi potevano essere scemi del tutto” pensò Hanley “ma non erano dei puritani.” Le frequenti spedizioni al villaggio non erano state senza interesse…
“Ascolta, Georges” disse Chuk. “Abbiamo delle noie.”
“La macchina è guasta?”
“No.”
Chuk si sedette sul parapetto. Era straordinario perché, di solito, temeva le vertigini.
“Ho scoperto lo scopo dell’operazione.”
“Ma lo sapevamo!”
“Sapevamo che cosa i monaci volevano fare, ma non sapevamo perché.”
“Bah! Sono matti…”
“Ascolta, Georges, il vecchio mi ha spiegato. Essi pensano che quando avranno scritto tutti quei nomi (e, secondo loro, ce ne sono circa nove miliardi), lo scopo divino sarà raggiunto. La razza umana avrà compiuto ciò per cui era stata creata.”
“Allora che cosa? Si aspettano il nostro suicidio?”
“Inutile. Quando la lista sarà terminata, Dio interverrà e sarà finita.”
“Quando avremo finito sarà la fine del mondo?”
Chuk ebbe una risatina nervosa: “È ciò che ho detto al vecchio. Allora mi ha guardato in un modo strano, come un professore guarda un allievo particolarmente stupido, e mi ha detto: “Oh! Non sarà una cosa cosi insignificante… “.”
Georges rifletté un istante.
“È un tipo che ha evidentemente idee larghe” disse “ma, detto questo, che cosa cambia? Sapevamo già che erano matti.”
“Sì. Ma non capisci che cosa può capitare? Se la lista viene terminata e le trombe dell’angelo Gabriele, versione tibetana, non suonano, essi possono concludere che la colpa è nostra. Dopo tutto, impiegano la nostra macchina. Non mi piace questa faccenda…”
“Ti seguo” disse lentamente Goerges “ma ne ho viste altre. Quando ero ragazzo, in Louisiana, un predicatore annunciò la fine del mondo per la domenica seguente. Centinaia di tipi ci credettero. Alcuni, vendettero persino le loro case. Ma la domenica seguente nessuno era irritato; la gente pensava che si era un po’ sbagliato nei suoi calcoli, e un mucchio di loro hanno ancora la fede.”
“Nel caso che tu non [‘abbia notato, ti faccio presente che non siamo in Louisiana. Siamo soli, noi due, fra centinaia di monaci. Io li adoro, ma preferirei essere altrove quando il vecchio lama si accorgerà che l’operazione è fallita.”
“Una soluzione c’è. Un piccolo sabotaggio inoffensivo. L’aereo arriva fra una settimana e la macchina finirà il suo lavoro entro quattro giorni, in ragione di ventiquattro ore al giorno. Non c’è che da mettersi a riparare qualche cosa per due o tre giorni. Se si fanno bene i calcoli noi possiamo essere già all’aeroporto quando l’ultimo nome uscirà dalla macchina.”
Sette giorni dopo mentre i piccoli ponies di montagna scendevano per la strada a spirale, Hanley disse: “Ho un po’ di rimorsi. Non scappo perché ho paura, ma perché mi dispiace. Non vorrei vedere la faccia di quelle brave persone quando la macchina si fermerà.”
“Secondo me” disse Chuk “hanno capito benissimo che noi ci mettevamo in salvo, ma la cosa è loro indifferente. Ora sanno fino a che punto la macchina è automatica e non ha bisogno di sorveglianza. E pensano che non ci sarà seguito.”
Georges si girò sulla sella e guardò. Le costruzioni del monastero si profilavano scure nel sole al tramonto. Piccole luci brillavano di quando in quando sotto la massa scura delle mura come gli oblò di una nave in rotta. Lampade elettriche attaccate al circuito della macchina n. 5.
Che cosa sarebbe capitato alla calcolatrice elettrica? si domandò Georges. I monaci l’avrebbero distrutta nella loro ira e nel loro disappunto? O magari avrebbero ricominciato da capo?
Come se fosse ancora lassù, egli vedeva ciò che accadeva in quel momento sulla montagna, dietro le muraglie. Il gran lama e i suoi assistenti esaminavano i fogli, mentre alcuni novizi ritagliavano nomi barocchi e li incollavano nell’enorme registro. E tutto questo si faceva in un religioso silenzio. Non si sentivano che i tasti della macchina, che battevano la carta come una dolce pioggia. La calcolatrice stessa, che combinava migliaia di lettere al secondo, era completamente silenziosa…
La voce di Chuk interruppe le sue fantasticherie.
“Eccolo! Mi fa un dannato piacere!”
Simile a una minuscola croce d’argento il vecchio aereo da trasporto D. C. 3 si era posato laggiù sul piccolo aerodromo di fortuna. Quella vista metteva voglia di bere un buon sorso di scotch ghiacciato. Chuk cominciò a cantare, ma s’interruppe subito. Le montagne non lo incoraggiavano.
Georges guardò l’orologio.
“Saremo laggiù fra un’ora” disse. E aggiunse: “Credi che il calcolo sia finito?”.
Chuk non rispose, e Georges levò la testa. Vide la faccia di Chuk pallidissima tesa verso il cielo.
“Guarda” mormorò Chuk.
A sua volta Georges alzò gli occhi. Per l’ultima volta, sopra di essi, nella pace delle cime, ad una ad una le stelle si spegnevano…