Le parole della Bibbia: Samarítes – Samaritani
Testo di Annamaria Fabri, tratto da Castello7 del 14 ottobre 2007
Al tempo di Gesù la parola samaritano era impronunciabile ed equivaleva ad un’offesa mortale. Dare del samaritano a qualcuno (cfr. Giov. 8,48) era considerarlo un indemoniato, appartenente ad una razza maledetta. Nell’episodio detto appunto del “buon samaritano” lo scriba giudeo evita di usare il termine samaritano, ma si serve di un giro di parole: «colui che gli ha usato misericordia» (Lc. 10,37).
Gesù, pur considerando i samaritani “stranieri” (Luca 17,18) e non destinatari della sua missione (Matteo 10,5) al pari dei pagani, non manca però di sottolineare la loro disponibilità alla fede, talvolta superiore a quella degli Israeliti stessi (cfr. Giov. 4,1ss.; Luca 10, 37).
Con il termine samarítes = samaritano si indicavano e si indicano tuttora gli abitanti del territorio che all’epoca del nuovo testamento designava una delle tre principali divisioni della Palestina: Galilea, Giudea e Samaria.
Ci fermiamo oggi su questo termine che è la trascrizione greca di Shamarian e che deriva forse da shamar, guardare, e che indicherebbe così una zona sopraelevata.
Secondo 1 Re 16,24 il termine Samaria deriverebbe invece dal nome di Shemer, proprietario del terreno acquistato da Omri per costruirvi la città di cui diventerà re e che chiamerà appunto Samaria.
Quando Sargon II conquistò il regno di Israele e distrusse Samaria (722-705 a.C.) deportò gli Israeliti e al loro posto insediò altre popolazioni da lui vinte deportandole dall’Assiria. Popolazioni che male si amalgamarono con gli israeliti superstiti dalla deportazione.
I samaritani mescolarono al culto di Jahvè quello delle divinità assire e per questo motivo vennero considerati pagani fino al punto che, quando gli esuli Giudei tornarono da Babilonia e i samaritani si offrirono di partecipare alla ricostruzione del tempio di Gerusalemme, Zorobabele, che guidava gli esuli (Esd. 4,2 ss) rifiutatò sdegnosamente l’offerta.
Il contrasto divenne così insanabile tanto che al tempo di Gesù la parola stessa samaritano era una parola impronunciabile ed equivaleva ad un’offesa mortale.
Dare di samaritano a qualcuno (cfr. Giov. 8,48) era considerarlo un indemoniato, appartenente ad una razza bastarda e maledetta. Nell’episodio detto appunto del “buon samaritano” lo scriba giudeo evita di usare il termine samaritano, ma si serve di un giro di parole: «colui che gli ha usato misericordia» (Lc. 10,37).
Gesù, pur considerando i samaritani “stranieri” (Luca 17,18) e non destinatari della sua missione (Matteo 10,5) al pari dei pagani, non manca però di sottolineare la loro disponibilità alla fede, talvolta superiore a quella degli Israeliti stessi (cfr. Giov. 4,1ss.; Luca 10, 37).