Dio è omofobo?
Articolo del teologo protestante Gérard Siegwald tratto da Réforme (Francia), 30 giugno 2005, liberamente tradotto da Dino
Scegliendo tra gli scarsi passaggi riguardanti l’omosessualità che si trovano dapprima nel Vecchio – il Primo – Testamento, e poi nel Nuovo – il Secondo – Testamento, citerò da un lato il divieto (Levitico 18,22): “Tu non giacerai con un uomo come si giace con una donna; è un abominio”. E dall’altro lato la sanzione che necessariamente deve colpire il non-rispetto del divieto (Levitico 20,13): “Se un uomo giace con un uomo come si giace con una donna, entrambi hanno fatto una cosa abominevole; essi saranno puniti con la morte; il loro sangue ricadrà su di essi”.
Divieto e sanzione si trovano in quello che viene chiamato il codice di santità del libro del Levitico (cap. 17-26). Il suo nucleo essenziale si trova in questo invito: “Siate santi, poichè io sono santo, io, il Signore Dio vostro” (Levitico 19,2).
Dunque è in causa il rapporto con Dio, e l’omosessualità è considerata come una rottura di questo rapporto. A questo proposito sono necessarie tre annotazioni.
Prima di tutto bisogna notare che il Nuovo testamento non riprende il castigo che, nel testo citato in precedenza, colpisce l’omosessualità.
Se l’ebraismo ha interpretato questo castigo in un senso fisico, dunque l’esecuzione (seguito in questa strada dall’Islam), l’interpretazione del Nuovo Testamento non è in senso letterale, ma spirituale, e questa interpretazione è potenzialmente presente sia nell’Antico Testamento che nel Corano.
Essa ritorna a dire che se l’omosessualità contrasta la relazione con Dio, la si deve combattere a causa di questo fatto in sè. Ricordiamoci le parole di Gesù (Mt 5,29s): “Se il tuo occhio destro è per te occasione di peccato, strappalo e gettalo lontano da te, perchè è meglio per te che perisca soltanto uno delle tue membra, piuttosto che tutto intero il tuo corpo sia gettato nella Geenna…”.
L’approccio voluto da Gesù è, come si direbbe oggi usando il linguaggio psicanalitico, un approccio simbolico, vale a dire di nomina, se si vuole di confessione e quindi di trasformazione. L’omosessualità non vuole, e non può essere distrutta, ma vuole e può essere santificata, gli ortodossi direbbero: trasfigurata; si può dire semplicemente: essa vuole e può essere accettata davanti a Dio.
Successivamente, il problema che si pone della rottura della relazione con Dio non è limitato all’omosessualità; può essere tranquillamente riferito anche all’eterosessualità nel caso in cui essa porti a violare l’altro o quando, trasformata in un valore assoluto, essa diventa un’ idolatria che sostituisce il sesso a Dio. Quindi l’eterosessualità, parlando in senso spirituale, non è diversa dall’omosessualità.
Oggi sappiamo che l’omosessualità prima di tutto non è una scelta ma un destino, proprio come l’eterosessualità. In entrambi i casi il problema consiste nel prendere coscienza ed accettare umanamente, e dunque in modo costruttivo per sè e per gli altri, questo destino che, una volta che ne abbiamo consapevolezza, diventa una responsabilità di ciascuni di noi.
Partendo dall’essenza globale della Bibbia
In ultima analisi il problema si pone allora in questi termini: se l’eterosessualità è un dato di partenza che chiede di essere umanizzato, in che modo questa stessa affermazione, che viene applicata anche all’omosessualità, potrebbe giustificare una discriminazione negativa verso quest’ultima? Si deve riconoscere che nel Nuovo Testamento ci sono anche parole – ma nessuna nella bocca di Gesù! La maggior parte (2 o 3 in tutto) nelle lettere di Paolo – che assimilano l’omosessualità ai vizi, che definiscono i vizi come “la rottura del rapporto con Dio” (vedi 1 Co 6,9ss ; Rm 1,18ss ; e soprattutto 24ss).
Ma questa definizione vale anche per i vizi concernenti l’eterosessualità, senza che peraltro l’eterosessualità sia considerata di per se stessa come un vizio. I passaggi negativi riguardanti l’omosessualità devono essere compresi, come del resto altri passaggi, ad esempio riguardo alla sottomissione della donna all’uomo, in relazione ad una cultura che non è più la nostra e dunque non possono essere considerati delle norme.
E’ necessario farne una lettura critica, cioè con discernimento, a partire dal significato globale della Bibbia, come del resto tante volte fa la Bibbia stessa a proposito di questa comprensione rapportata all’epoca – e che essa definisce relativa – (si pensi per esempio al culto dei sacrifici del tempio).
Dio che respinge o che lascia fare?
Se la discriminazione negativa dell’omosessualità può fare appello a qualche testo biblico, deve però essere definita fondamentalmente antibiblica in rapporto al significato globale della Bibbia, in altre parole in rapporto al nucleo centrale della rivelazione di Dio, così come lo esprime lo stesso San Paolo quando scrive: “Non ci sono più nè giudei nè greci, nè schiavi nè liberi, nè uomo nè donna, perchè voi siete uno in Gesù Cristo”. (Ga 3,28). Possiamo dire: in Cristo, o in Dio non c’è ne eterosessuale nè omosessuale, ma per l’uno e per l’altro c’è la stessa promessa di Vita.
In quale Dio crediamo?
Il Dio di Gesù, che la Chiesa cristiana confessa come il Cristo, non è il Dio dell’uniformità, ma della pienezza della vita, una pienezza che non può essere ridotta ad una qualsiasi comprensione di parte, qualunque essa sia. Dio omofobo? La questione è: di quale Dio parliamo, in quale Dio crediamo? Nei confronti dell’omosessualità, è un Dio dell’esclusione e quindi del rifiuto, o un Dio del lasciar correre e quindi dell’indifferenza, o un Dio della permissività positiva e quindi della tolleranza, secondo l’abituale significato del termine?
Ma il Dio vivente della confessione di fede cristiana, è il Dio della verità che coincide con l’amore, il Dio dell’amore che coincide con la verità. E’ il Dio della vita, e non ci può essere vita, vita che vivifica, costruttiva, che non sia “orientata”, che non sia riferita al suo “Oriente”, alla sua sorgente che si identifica nell’amore, e alla sua fine, che è la verità dell’amore.
Questo concetto vale per tutto, vale sia per l’omosessualità che per l’eterosessualità; vale per il celibato come per la vita di coppia che è l’unione tra un uomo e una donna, o per la vita di coppia che è l’unione tra un uomo e un altro uomo o tra una donna e un’altra donna. Dio non è soltanto il Dio dell’eterosessualità; è il Dio dell’eterosessualità e dell’omosessualità e di qualsiasi situazione di vita.
E’ per tutte le situazioni di vita il Dio che in esse chiama alla vita, alla vita vera. Dato che l’eterosessualità non è già lei stessa la vita vera, ma è il punto di partenza di una vita vera quando si è capaci di aprirsi ad essa e quindi di applicarsi ad essa; allo stesso modo per l’omosessualità, punto di partenza di una vita vera quando si è capaci di aprirsi ad essa e di applicarsi ad essa.
Una via e dei posti
“Ci sono molti posti nella casa del Padre mio”, dice il Cristo (Gv 14,2), il quale nello stesso tempo afferma di essere egli stesso la via: “Io sono la via” (Gv 14,6). La via – molti posti. Non dobbiamo separare l’una dall’altra queste affermazioni. Se si tiene presente solo l’affermazione della via che è la via, si cade nell’assolutismo o nel fanatismo; se si tiene presente solo l’altra affermazione dei posti molteplici, si cade nel relativismo.
Il Dio della Vita traccia una via, ma questa via è vissuta da ciascuno nel posto in cui l’esistenza lo colloca. E’ Dio, il maestro della via; è Lui la via; la via, non un posto piuttosto che un altro. Non dobbiamo considerare le cose che Dio tiene distinte, come se fossero la stessa cosa, dobbiamo distinguere il percorso e la meta.
E se necessario, le mete: la meta dell’eterosessualità e nel suo ambito i diversi modi di concepirla; la meta dell’omosessualità e nel suo ambito i diversi modi di concepirla; la meta del celibato e nel suo ambito i diversi modi di concepirla. Per terminare, non possiamo che augurarci che le Chiese cristiane, in nome della loro fede in Dio e dunque in nome della verità dell’amore, prendano distanza in modo chiaro dalla loro discriminazione passata e talvolta ancora presente nei confronti dell’omosessualità, e che da un lato si facciano portavoce di un atteggiamento accogliente verso tutti gli esseri umani, qualunque sia la forma della loro sessualità, e dall’altro lato, parafrasando San Paolo (2 Co 1,24), si facciano collaboratrici della gioia degli uni e degli altri, aiutando ciascuno, secondo la particolare condizione della sua vita, a crescere verso la sua piena dimensione di essere umano in Cristo, o in Dio (vedi Ef 4,13ss).
La lucidità, il coraggio e la forza in questo campo come in altri arrivano alle Chiese non da concezioni psicosociologie o ideologiche variabili, che non sarebbero in grado di essere delle norme neppure se dovessero essere considerate in modo critico, ma dalla loro fede teologica, la quale è sempre una fede con e per gli esseri umani e per la realizzazione del loro fine ultimo.
Articolo originale: Dieu est-il homophobe?