Se il Pride si fa in famiglia
Articolo di Giuseppe Nicotri tratto da L’Espresso del 17 giugno 2008
Di omosessuali si parla molto e si tratta l’argomento in più modi, dai film ai gossip sui personaggi famosi, papi compresi, dai Gay Pride ai matrimoni.
Ma delle reazioni dei genitori quando apprendono che il loro figlio è gay o lesbica invece non parla nessuno, come se non esistessero. E dire che anche i genitori hanno il problema del proprio ‘coming out’, al quale sono totalmente impreparati, ovvero comunicare questa scoperta al parentado, agli amici, ai colleghi di lavoro. Una ricerca europea prova a indagare nelle pieghe della realtà familiare, sempre meno disposta a far finta di non esistere.
“Ho letto di nascosto il suo diario, perché aveva quasi 20 anni e si apriva poco, era chiusa, a volte strana. Vi ho trovato una lettera d’amore, bellissima. Anche commovente. Ma la firma in fondo non era di un ragazzo, era un nome di donna, senza possibilità di equivoco. Sono quasi svenuta…”
“Io invece credo di essere svenuto davvero. M’è crollato il mondo addosso. Il mio unico figlio era gay! Non sarei mai diventato nonno… E cosa avrei detto agli amici, ai colleghi, ai parenti, al parroco? L’ho saputo da mia moglie, che poi mi ha aiutato a superare la china”.
A volte si rischia la tragedia, come nel caso di Paolo Brunetto, diciottenne di Palermo.
“Ai miei l’ho detto io, due mesi e mezzo fa, dopo cena”, racconta Paolo, “mio padre l’ha presa malissimo. Mi voleva ammazzare! Due mesi di guerra continua. Finché mi ha anche preso a coltellate, per fortuna non in modo grave, mi ha colpito solo al braccio. Una settimana fa me ne sono andato di casa e i miei non si sono più fatti sentire”.
Per capire come e con quali reazioni in Italia si viene a sapere di avere un figlio gay o una figlia lesbica, il 20 e il 21 giugno a Firenze verrà presentata la ricerca realizzata dalle studiose Chiara Bertone e Marina Franchi dell’Università del Piemonte Orientale. Due giornate per la prima Conferenza europea Family Matters – Sostenere le famiglie per prevenire la violenza contro giovani gay e lesbiche.
A scendere in campo per discutere una realtà sempre meno disposta a far finta di non esistere sono l’Associazione genitori di omosessuali (Agedo) e le omologhe inglese e spagnola.
“Abbiamo intervistato in profondità oltre 200 familiari di omosessuali tra i 14 e i 22 anni, o comunque dichiaratisi tali in quelle fascia di età, e la nostra ricerca è la più grande mai effettuata in Europa”, chiariscono Bertone e Franchi. In totale, hanno risposto 119 madri (83 con un figlio gay e 36 con una figlia lesbica), 53 padri (42 con figlio e 11 con figlia omosessuali) e 50 tra fratelli e sorelle.
Cosa ne è emerso di significativo? Di omosessuali si parla molto e si tratta l’argomento in più modi, dai film ai gossip sui personaggi famosi, papi compresi, dai Gay Pride ai matrimoni, come quello recentissimo tra l’icona lesbo della tv americana, Ellen De Generes, e la sua bella e vistosa compagna, l’attrice Portia De Rossi.
Ma dei loro genitori, dei loro problemi di accettazione e ridefinizione dei ruoli, invece non parla nessuno, è come se non esistessero. E dire che anche i genitori hanno il problema del proprio ‘coming out’, al quale sono totalmente impreparati, rispetto al parentado, gli amici, i colleghi di lavoro e, per i credenti, rispetto al loro ambito religioso, che rende più forte il problema del ‘cosa dirà la gente’ e la delusione per la sordità del clero.
“La Chiesa predica amore, di fatto però nei confronti degli omosessuali lo esclude, li considera peccatori, malati da curare e ‘contro natura’, ai quali negare tutti i diritti civili di coppia”, chiosano le due ricercatrici. Ma la convinzione che i propri figli dovranno fare i conti con una società ostile è di tutti i genitori, tanto che il 38 per cento ritiene probabile che i figli vadano a vivere all’estero e molti di più lo auspicano.
“L’integrazione in famiglia della ‘diversità’ omosessuale in Italia è particolarmente difficile. Perché? Perché a differenza di altri Paesi europei sono poco accettate le esperienze e i modelli familiari ‘altri’ che potrebbero aprire spazi per le famiglie omosessuali”, spiega Agostino Fragai, assessore della Regione Toscana alle Riforme istituzionali, tutore dei diritti e dell’identità di lesbiche, gay, bisex e transgender.
La scoperta di avere un figlio gay o una figlia lesbica avviene per circa la metà dei genitori in modo inaspettato,ma più per i padri (53 per cento) che per le madri (44). Ed è più inaspettato rispetto ai figli maschi che alle figlie.
Nel 64 per cento dei casi è il figlio a ‘dichiararsi’ e per il 52 è la madre che lo viene a sapere o lo intuisce per prima e media la notizia con il padre. “Mia figlia mi ha detto: ‘Mamma, aiutami a dirlo a papà'”, ricorda la signora Mandelli.
Il restante 48 per cento di genitori lo viene a sapere assieme al consorte. “A noi lo ha rivelato nostro figlio otto anni fa, una sera dopo cena”, spiega con la moglie il milanese Felice Magni: “Aveva 26 anni, ci ha raggiunto in cucina: ‘Vi devo dire una cosa, sono gay’. Dopo la paura, siamo diventati i suoi confidenti, parlavamo spesso con lui fino alle 2-3 di notte, per capire e aiutarlo. Abbiamo voluto accompagnarlo e stare con lui al Gay Pride di Como, guardandoci attorno”.
Per chi ne ha, quasi sempre il coming out inizia con un fratello o una sorella, come primo passo per riuscire poi a dirlo ai genitori. “Di mio fratello non voglio neppure parlare”, dice Paolo Brunetto, “ma le mie due sorelle, specie la piccola di 13 anni, l’hanno presa bene, come una cosa quasi normale”.
La ricerca mette a nudo una verità ben precisa, dalle dure conseguenze: le famiglie in Italia non hanno né regole né ruoli né un linguaggio costruttivo per affrontare la scoperta dell’omosessualità di un proprio membro.
“Gay e lesbiche sono stati socialmente costruiti come estranei alla famiglia, perciò non esiste un ruolo familiare al quale si possa fare riferimento”, denuncia Mila Banchi, presidente dell’Agedo toscana e madre di un figlio “che a 12-13 anni aveva uno sguardo da innamorato vero per un ragazzino che frequentava casa nostra”.
Una volta scoperto di avere un figlio o una figlia omosessuale i genitori vanno in cerca di aiuto. Digiuni di tutto, annaspano rivolgendosi a più fonti contemporaneamente: il 39 per cento alla televisione, il 31 a Internet, il 79 ai libri, il 46 al sostegno professionale privato contro appena il 5 che si rivolge ai servizi sociali e sanitari pubblici.
Un altro 5 per cento si rivolge alla scuola frequentata dal figlio/a e il 21 al sostegno spirituale, deludente e conflittuale nella gran parte dei casi. Il 61 per cento trova un’ancora di salvezza nelle associazioni come Arcigay, Arcilesbica e Agedo.
La rabbia, la delusione e il dolore, che si esprimono con reazioni del tipo ‘Non sarò mai nonno/a!’, ‘Perché mi dai questo dolore?’ o ‘Chi ti ha traviato?’, cedono comunque ben presto il passo all’amore: ben l’88 per cento dei genitori vuole per le coppie omosessuali il riconoscimento degli stessi diritti di quelle eterosessuali, matrimonio compreso, e l’85 è del parere che due genitori dello stesso sesso possano dare a un bimbo amore e una buona educazione.
Ecco perché il 72 per cento dei genitori vorrebbe che le lesbiche potessero adottare e il 64 che potessero ricorrere all’inseminazione artificiale. In Italia. Come se fossimo in Europa.