La fede un ostacolo o un aiuto per la persona omosessuale?
Riflessione di Domenico Pezzini tratta da Alle porte di Sion. Voci di omosessuali credenti, Editrice Monti, 1998, pp.25-26
La fede, un elemento importante nel cammino di ogni persona, può diventare una risorsa o un peso per la nostra vita… Ma se fa fede è coniugata soprattutto come ‘morale’, e se la morale è declinata sostanzialmente in termini di ‘divieti’, proclamati da una ‘autorità’ che si ritiene abbia l’ultima parola su tutto, la conseguenza è una visione negativa di sé, che viene aggravata sopratutto se si è omosessuali. Vediamo come e perchè.
Quando la persona è anche credente si introduce nel cammino un elemento, la fede, che può muovere in due direzioni opposte. Se fa fede è coniugata soprattutto come ‘morale’, e se la morale è declinata sostanzialmente in termini di ‘divieti’, proclamati da una ‘autorità’ che si ritiene abbia l’ultima parola su tutto, la conseguenza è una visione negativa di sé, un’omosessualità vissuta con un forte senso di colpa, che può arrivare a travolgere tutto.
Tale atteggiamento sembra più diffuso nelle generazioni dai quarant’anni in su, quelle che hanno conosciuto il tipo di Chiesa che si usa chiamare pre-conciliare.
La conseguenza è spesso il completo abbandono della pratica religiosa o, in alternativa, un modo di vita schizofrenico, in cui la propria omosessualità è subita come elemento del tutto incompatibile con il proprio essere cristiano: la si vive con vergogna, si cerca di guarirne la pratica con la confessione, sapendo però molto bene che è una battaglia sostanzialmente perduta.
In una cultura, invece, più tipica delle nuove generazioni, dove il privato assume un valore altissimo, dove l’adesione di fede è primariamente a Gesù e al suo vangelo di liberazione, e il riferimento di fondo è alla propria coscienza situata davanti a un Dio percepito fondamentalmente come amore, scende, e di molto, il peso della istituzione e delle strutture della fede.
La fede diventa in questo caso, al contrario di quanto si è visto nella situazione descritta sopra, un fattore potente di accettazione di sé, con un ragionamento che sommariamente si potrebbe esprimere così: Dio, avendomi creato, mi ama, e avendomi fatto omosessuale mi ama come omosessuale; il mio compito è di essere fedele alla vocazione all’amore, realizzata secondo le potenzialità e le specificità che ho come omosessuale.
Questo è, come già detto, quanto differenzia una cultura, e di riflesso una fede, rivolta più al presente e al futuro che al passato, una fede che è sì obbedienza e rispetto delle regole, ma è anche, e soprattutto, progetto in risposta ad una vocazione.
Un altro aspetto va considerato, e se ne trova abbondante traccia nelle testimonianze: il discorso non va solo dalla fede all’omosessualità, ma anche nella direzione opposta. Accade infatti che l’accettazione della propria condizione di marginalità, il dover fare i conti, a volte dolorosamente, con la solitudine e con esperienze di fragilità, si riflettano nel modo in cui è percepito il volto di Dio, soprattutto come rivelato nella figura storica di Gesù di Nazareth.
Niente di nuovo: il messaggio biblico non è un prodotto omogeneizzato e pre-confezionato, offerto in dosi esattamente uguali e racchiuso in sacchetti di plastica. In quanto Dio si rivela nella storia delle persone e di un popolo, egli si incontra con le nostre storie, e questo incontro produce rifrazioni diverse a seconda della sensibilità di chi accoglie e della situazione di vita in cui il messaggio è calato.
Forse è rischioso parlare di spiritualità omosessuale, ma è certo che rileggere la vita di fede dal punto di vista della condizione omosessuale produce risonanze, accenti e sottolineature che magari sfuggono a chi vive in situazioni di approvazione sociale, e si sente rivestito della forza che viene dall’appartenenza alla maggioranza e alla presunta normalità.