Io, padre e marito cattolico. La scoperta della mia omosessualità
Testimonianza inviataci da Gratien
Carissimi Amici vorrei raccontarvi una storia che ancora non ha una fine: è la mia storia (parlarne forse mi aiuterà…). Sono nato 50 anni fa in un paesino della campagna veneta. Ero stato cresciuto in una numerosa famiglia contadina, patriarcale, semplice e devota.
All’età di 13 anni circa, mi resi conto che le mie attenzioni, i miei desideri e le mie pulsioni, a differenza di quanto accadeva ai miei coetanei, erano dirette a persone dello stesso sesso. Anche i sogni, così tumultuosi in quel periodo, erano intrisi di questa omofilia. Trovandomi, però, spesso ad incrociare sguardi di perplessità e di preoccupazione in quanti mi circondavano, talora con mezze frasi o domande “innocenti” semplicistiche dirette a me dai pochissimi compagni che frequentavo, nei pomeriggi dopo le lezioni scolastiche.
Ricordo, ancora, l’atteggiamento scontroso di mio padre, lo sguardo e la gestualità amorevole di mia madre. L’omosessualità trovava in quell’ambiente una connotazione tra le più brutte ed, in cuor mi se mi rispecchiavo in essa mi vedevo un come un essere orripilante traboccante di tristezza e di rassegnazione per una natura così crudele.
Non avrei mai voluto fosse giunta quella consapevolezza dell’io. Quell’io che mi apparteneva ma che in primis non accettavo perchè non ero accettato, così me ne “creai” un secondo ” più bello”, ma sopratutto “accettato, invidiato”, seppellendo quello reale e scomodo. E fu così che con questa dualità mi incamminai nel mondo: mi laureai, mi sposai e felicemente divenni padre.
Ma le due persone che erano in me cominciarono a “litigare ” tra loro, poiché quella sepolta a poco a poco, prima con sussurri poi con grida, cominciò a rivivere. Da questa competizione nacque una forte depressione che cercai di mitigare prima rivolgendosi alla Chiesa ed ai suoi ministri che, ancora una volta, cercarono di farmi sopprimere la parte omofila: quella sfaccettatura della mia persona che non avrei voluto ma che dovevo accettare perchè mi apparteneva.
Così stetti in seno alla Chiesa ufficiale per alcuni anni: l’unico fatto meritevole fu la riscoperta di Dio e a Lui finalizzai tutto se stesso, “creato a Sua immagine e somiglianza”. Vi fu, in tale periodo di conversione, il desiderio, peraltro facilmente attuabile, di entrare in convento dedicandomi così a pieno alla vita religiosa. Non vi sarebbero stati problemi anche se avevo, in precedenza, contratto matrimonio.
Ma ad un passo, indietreggiai: fu il richiamo di mio figlio, realizzai che la mia presenza era più utile e benedetta in seno alla famiglia. Il mio ruolo e l’amore di padre erano troppo importanti, essi erano e sono come linfa per la crescita di una creatura ed il renderli evanescenti avrebbe di certo creato un vuoto incolmabile.
Feci il padre cercando di dare il meglio. La figura, invece, di marito diveniva sempre più sbiadita lasciando il posto ad un fraterna, amichevole presenza che se, da un lato, non era più in grado di rendere tumultuoso il fiume della passione dall’altro riempiva un calmo lago di fraterno affetto.
Ed eccomi, approdare alla sponda dei 45 anni: per la seconda volta, a distanza di anni, riprendevo coscienza del mio “vero io” ascoltandolo, ma sempre mantenendo su esso un attento controllo. E lo ascoltai e lo assecondai anche quella calda sera di inizio estate a Milano, dove mi trovavo per un congresso.
Quella indimenticabile sera dove finalmente, dopo una vita di menzogne che mi era raccontato, sperimentai cosa e come fosse, nell’espressione di una delicata dolce tangibilità, la passione omosessuale. La sperimentai in un locale gay il cui squallore scomparve allorché i miei occhi si illuminarono della luce dell’altro ed i nostri corpi si esplorarono assecondando la passione, da me fino ad allora repressa, ed, anche la mia personale curiosità di una nuova tangibilità. Quella notte decisi di concedermi incondizionatamente con tutto il mio essere: l’amore e la passione,compirono la trasmutazione come in una magica operazione alchemica in cui il grigio opaco pesante piombo (qual’era il mio ego “nascosto”) divenne lucido luminoso, inossidabile oro.
Stordito e rasserenato, nei giorni a seguire, iniziai a vedere il mondo sotto nuova luce, ignaro di una pugnalata che gli sarebbe stata inferta dal destino. Avrei voluto dirgliela io a mia moglie la verità segreta ed oscura che mi riguardava conscio della sua scomodità volevo aspettare il momento opportuno, ma non ce ne fu bisogno.
Con gli occhi arrossati di pianto da rabbia e disperazione: sospettava, già da tempo, di un tradimento con un’altra donna, questo sì aveva pensato, ma non avrebbe mai pensato ad uomo, ne all’omosessualità di suo marito.
Eppure il biglietto da visita del locale ed il profilattico raccontavano da soli tutto. Si ero un dannatissimo “frocio” , un “deviato” pensò a caldo tra se, “come poteva essere stata così stupida da essere stata ingannata?”. Aveva concesso tutta se stessa a me aiutandomi, sostenendomi, difendendomi, era cresciuta con mei in 10 anni di fidanzamento e quasi altrettanti di matrimonio. E quando mi vide davanti a se attonito, mi rivolse con fare risoluto, asciugandosi le lacrime, quella domanda: “Dimmi la verità e ti giuro, qualunque essa sia, io resterò al tuo fianco se tu lo vorrai, ma voglio la verità!”. E io nervosamente “dimmi,… si te lo giuro”.
A quel punto come una sferzata mi giunse: “Sei gay?” e io con un cenno del capo, prima, e, poi, con un laconico “…sì, lo sono…”, gettai la maschera, almeno in casa. Al di fuori delle mura domestiche tutto è rimasto invariato: è il classico compromesso. Per amore nei confronti del figlio, ancora troppo giovane per essere privato della figura paterna, e per rispetto nei confronti di mia moglie, ancora una volta ho seppellito il mio vero io e ho rimesso la ” normale” maschera.