A 150 chilometri dalla libertà. Noi persone LGBT in fuga dalla Guyana
Articolo di Nicola Lo Calzo pubblicato sul mensile TETU (Francia) n.209 dell’Aprile 2015, pp. 92-97, liberamente tradotto da Marco Galvagno
Le acque torbide del fiume Maroni e 150 km di una strada di cemento separano gay, lesbiche e trans (GLBT) della Guyana dalla libertà di essere se stessi, per sfuggire alle aggressioni quotidiane e vivere, qualche ora, alla luce del sole. Le persone GBLT di questo territorio d’oltre mare francese, situato nel Sud dell’America, devono recarsi nel vicino Suriname (ex Guyana olandese) che la storia ha reso così diverso dal loro paese. Saint Laurent du Maroni, antica colonia penitenziaria, è oggi la seconda città della Guyana dopo Cayenne. In questa giornata di ottobre un piccolo gruppo di Hsh, cioè di uomini che fanno sesso con altri uomini (qua preferiscono chiamarsi così) si accingono a partire per Paramaribo, la capitale del vicino Suriname.
Dal 2012 nell’ex colonia olandese si svolge un gay pride organizzato da un’associazione locale. Dopo varie riunioni e una notevole esitazione il piccolo comitato di francesi, sostenuto dall’associazione Aides ha deciso di rispondere favorevolmente all’invito delle associazioni del paese limitrofo.
Ma perché mai potremmo chiederci non si è mai svolto un gay pride a Saint Laurent du Maroni, un territorio francese, teoricamente un luogo che protegge la libertà.
La risposta si può leggere nei volti di questi uomini e queste donne, eccitati e inquieti al contempo. Sono diversi per provenienza, origine, età e ceto sociale, proprio come è eterogeneo il loro paese: la Guyana.
Tra di loro troviamo dei creoli, dei guyanesi, degli antillani dei metrò (cioè francesi bianchi venuti dalla Francia) e bushinguénés, cioè i discendenti degli schiavi che nel 17 secolo fuggirono dalle piantagioni olandesi per vivere liberamente nella foresta amazzonica.
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Non siamo liberi di vivere
In Guyana non si è liberi di vivere il proprio orientamento sessuale afferma Netty Nzila, fondatrice di Gay Attitude Guyane, l’unica associazione gay esistente, creata un anno fa da un gruppo di donne. Subiamo molestie di ogni tipo. Recentemente a Cayenne un ragazzo di una scuola media è stato picchiato dai compagni di classe per la sua presunta omosessualità. La famiglia ha preferito non sporgere denuncia per non destare scalpore.
Tra l’influenza delle chiese evangeliche, quella del reggae giamaicano hardcore e quella della tradizione (in cui un uomo viene considerato maturo solo quando si sposa e ha figli), la pressione sociale spesso lascia il posto alla tragedia.
A 12 anni ho cercato di suicidarmi, ci confida Mc Gravier di 23 anni che oggi è Ndjuka (uno dei sei gruppi creoli di bushinguenés e francesi di origine olandese) e afferma d essersi salvato grazie alla scoperta del teatro. Oggi fa l’attore a Kolalampoe tra le capanne dell’antico bagno penale. Dopo l’attraversamento in piroga del fiume che collega e separa i due stati, il gruppo sale con discrezione su un bus locale, nessuna bandiera arcobaleno da sventolare, né distintivo del gruppo. Questo primo viaggio ha l’obiettivo di permettere ai giovani Hsh di Saint Laurent di scoprire ciò che succede in Suriname in termini di libertà e dar loro l’opportunità di incontrare le organizzazioni LGBT di Paranaribo e di motivarli a organizzare un giorno qualcosa di simile a Saint Laurent afferma Romaric Zeriah, presidente dell’associazione Aides Guyane, sede locale dell’associazione che lotta contro l’aids, situata a Saint Laurent da quindici anni.
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Un vero dibattito
Su un sottofondo musicale reggae assordante, accarezzati dal fresco prodotto da un climatizzatore (qua ci sono 40 gradi) Mc Gaver e gli altri membri del gruppo arrivano a Paramaribo di primo pomeriggio. La capitale del Suriname si presenta come una città cosmopolita e eteroclita che riunisce dentro di sé molte comunità: giavanese, indiana, cinese, americana, bushinguenée. È in questo contesto urbano che nel 2011, dopo l’intervento omofobo di un parlamentare che aveva suggerito di eliminare i gay dal paese, la comunità Lgbt locale ha scelto di scendere in strada per protestare sotto forma di ricorrenti gay pride. L’incontro con la comunità gay di Paramaribo è fissato a Zu e Zo un’antica casa coloniale in legno, trasformata in una guest house con un bar e un ristorante.
È in questo luogo che è situato il quartier generale della marcia. Il suo manager Rishi, militante lui stesso ci accoglie. Viene organizzata una tavola rotonda per parlare d’identità di genere, discriminazione, lotta contro l’omofobia e le reazioni non si fanno attendere.
“I due terzi della stampa ci sostengono. Ad esempio, il mese scorso un gay che si prostituiva è stato fermato dalla polizia e picchiato a sangue. In seguito a questo episodio, trasmesso dalla stampa nazionale, la direzione della polizia ha chiesto che i gruppi e le associazioni gay organizzino laboratori per educare i poliziotti a reagire in modo da evitare ogni comportamento omofobo. In Guyana, come nel resto delle Antille francesi non vi è questo tipo di sensibilizzazione. L’ultimo incontro annuale della rete di associazioni Aides aux caraibes aveva per tema l’omofobia in Martinica ed è avvenuto sull’isola stessa. In questa occasione è stata evocata l’idea di proporre formazioni simili a quelle del Suriname per i poliziotti, ma ci si è resi conto rapidamente che non era possibile organizzarle”, si rammarica Romaric. E il presidente di aides Guyane prosegue a proposito dei mass media: «l’anno scorso giornalisti di tele Guyane ci hanno proposto di seguire il gay pride di Paramaribo e le azioni lgbt previste nel corso della settimana e di avere ogni sera una diretta televisiva. All’inizio tutto ha funzionato bene, ma già dalla prima diretta la redazione del telegiornale e stata disturbata da numerose telefonate. Alcuni guyanesi hanno chiamato per protestare, non sappiamo esattamente le ragioni della protesta ma il telegiornale ha ricevuto talmente tante pressioni che già dal giorno dopo la diretta è stata interrotta. I giornalisti non sono riusciti a rispettare i loro impegni.»
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Quartieri etnici
Il problema dell’omofobia in Guyana è legato alla geografia delle città, storicamente costruite in quartieri divisi su basi etniche: il quartiere cinese, il quartiere bushinguené, il quartiere indiano. In Guyana persiste una forma di segregazione comunitaria che non favorisce l’accettazione dell’omosessualità. Ogni comunità è ripiegata su stessa, mentre in Suriname le persone e i gruppi etnici si mescolano. Identità di genere e appartenenza etnica chiamano in causa lo stesso vocabolario: l’accettazione dell’altro. Le discriminazioni di carattere identitario si accumulano a quelle legate alle migrazioni e allo status di clandestino, diventate ormai all’ordine del giorno in questo territorio francese.
Una parte dell’attuale popolazione di Saint Laurent du Maroni è in effetti costretta a vivere in clandestinità, da venticinque anni, dopo la guerra civile scoppiata nel Suriname dal 1986 al 1992 diverse migliaia di bushinguenés si sono rifugiati sulle rive francesi del Maroni. Nonostante le loro ripetute richieste lo status di richiedenti asilo politico non è stato loro concesso dallo stato francese. Vengono ancora definite persone “provvisoriamente spostatesi dal Suriname” e sono state messi in quattro campi di rifugiati, vicino a Saint Laurent. Le nuove generazioni figlie di questi rifugiati non hanno né la nazionalità francese, né quella del Suriname. Il risultato è catastrofico. È loro vietato lasciare sia la Guyana francese, che il Suriname, non possono trovare un’occupazione stabile, né hanno accesso alle cure mediche, sono condannati a un’esistenza precaria.
E’ così per Gween, una giovane donna transgender ndjuka. Nata da una madre del Suriname, rifugiata in Guyana durante la guerra civile, non è mai stata riconosciuta come cittadina francese dalla prefettura. Il suo nome non è registrato da nessuna parte, nei registri dello stato civile. Maggiore di undici fratelli ha dovuto lasciare il nucleo famigliare dopo aver rivelato il proprio orientamento sessuale alla madre. La sua reazione è stata molto dura.
Poi ha cominciato a dirmi che dovevo guadagnare dei soldi per la famiglia se volevo uscire con gli uomini almeno dovevo farmi pagare bene. Mi ha anche consigliato di andare a trovare un signore del quartiere che andava a letto con gli uomini e li pagava. Dopo essersi rifugiata dallo zio ha subito lo scatenarsi dell’odio da parte dei suoi fratelli, dei loro amici, degli abitanti del quartiere, sia vecchi che giovani.
“Il mio aspetto femminile era insopportabile per loro. Ci sono luoghi del quartiere che non posso attraversare, rischio la mia stessa vita. Mi piacerebbe andare a vivere in Francia o in Brasile, là potrei iniziare un percorso di transizione sessuale. Qua non ne ho il diritto”.
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Libertà strappata
A Paramaribo il gay pride comincia alle cinque di sera. La nuova organizzazione dei trans del Suriname Trans In apre la sfilata ed è seguita da un altro simbolo forte, una fanfara formata in maggioranza da bushinguenés sotto il ritmo fracassante dei tamburi e il suono acuto delle trombe Gwen, Mcgywer, Romaric e gli altri membri del gruppo si uniscono alla sfilata accompagnati da 200 manifestanti per le strade semideserte delle città. Si sfila a grandi passi.
Il tragitto concesso dalla polizia permette di passare davanti al palazzo presidenziale, ma evita prudentemente i quartieri commerciali della città in cui vi sono molte persone. In mezzo a travestimenti variopinti e a costumi eccentrici il gay pride del Suriname non cela la sua connotazione politica, vengono distribuiti dei volantini per ricordare che l’uguaglianza dei diritti è una lotta ancora da combattere.
Le rivendicazioni portate avanti dai manifestanti si mescolano ai suoni delle fanfare e attraversano la città fino al quartier generale del Pride. Da Zu e Zò, in un’atmosfera festosa e famigliare, gli organizzatori prenderanno la parola per discutere dei diritti Glbt in Suriname, della lotta contro l’omofobia e dei temi legati alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. È anche il momento di rinfrescarsi con una bottiglia ghiacciata di parbo, la birra locale di Paramaribo, che viene servita ai manifestanti spossati dal percorso.
“Alla fine ciò che conta è esserci, camminare insieme, condividere” afferma Gwen entusiasta. “E approfittare di questa libertà che abbiamo strappato. Domani torniamo alla vita di sempre a Saint Laurent”.
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Testo originale: Guyane : A 150 bornes de la liberté. Un reportage sur les LGBT de Guyane