A Bari un 18enne, rifiutato dai genitori perchè gay, si uccide
Articolo di Donatella Lopez pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 6 maggio 2016
Bari. È il tre di aprile quando Paolo, nome di fantasia, invia un messaggio ad alcuni amici manifestando l’intenzione di suicidarsi aspettando l’ultimo treno. Lo ha fatto un mese dopo; poco prima della mezzanotte di martedì. Ha preso il treno per tornare a casa e, alla fermata che dista pochi metri dall’abitazione dei genitori adottivi, ha imboccato una strada secondaria, che di fatto lo ha allontanato da casa, gettandosi sotto un Frecciabianca diretto alla stazione di Bari.
L’ultimo treno, appunto. Perché? Ipotesi e indagini sono al vaglio della Polizia ferroviaria e della Procura. Ma ci sono le ragioni dei ragazzi. Dei compagni di scuola. Degli amici intimi. E fanno paura. Sì perché le più accreditate tra i ragazzi sono due: da un lato c’è chi sostiene che fosse diventato vittima di episodi di bullismo, dall’altra c’è chi riferisce che i genitori adottivi non avevano accettato il suo coming out. Paolo ormai amava Giulio.
Un suicidio o incidente ferroviario, a seconda della lettura che se ne vuole dare, passato sotto silenzio finché il passaparola dei ragazzi delle scuole baresi, complice Facebook, non ha acceso i riflettori sulla vita del loro compagno, sulla sua solitudine e sulla sua richiesta d’aiuto rimasta inascoltata; pare, infatti, si fosse rivolto ai servizi sociali e anche ai carabinieri per denunciare vari episodi di maltrattamento. Infine, aveva deciso di confrontarsi con uno psicologo.
La vita di Paolo è stata ingenerosa. Suo padre naturale, nel suo Paese d’origine, pare fosse un pericoloso criminale. Così finisce in un orfanotrofio che lascia a 8 anni per seguire una coppia di professionisti baresi, senza figli, che decide di adottarlo. Cresce e, come tutti gli adolescenti, comincia ad avere un rapporto conflittuale con i genitori adottivi. Ci si mette anche una ragazza con la quale il rapporto si chiude dopo 4 anni. Frequenta un prestigioso liceo barese, ma la matematica non è il suo forte. Avrebbe voluto studiare le lingue, grazie alle sue origini è infatti bilingue. Nel frattempo diventa maggiorenne.
L’estate scorsa scappa da casa. Un allontanamento volontario per ottenere il cambio di scuola. Alla fine i genitori acconsentono e Paolo viene iscritto in un istituto che ha anche una sezione dove può imparare altre lingue. Grazie a Facebook, ritrova la madre naturale e la sorella: era già in programma un incontro a tre. «Era felice – riferisce una docente con la quale si confidava -. So che viveva con naturalezza il rapporto affettivo con un ragazzo».
Dei presunti insulti a scuola, la docente però non sa nulla. Era la sua confidente finché non ha cambiato istituto. Ma qualcosa lo avrebbe spinto al suicidio e questo qualcosa Paolo lo avrebbe confidato agli amici intimi attraverso fotografie, in cui mostra segni di percosse sul volto, e messaggi audio, alcuni dei quali lunghissimi, ma chissà perché dopo la sua morte non si aprono più.
Messaggi dai quali emergerebbe un profondo disagio e problemi con i genitori adottivi. Secondo chi ha ricevuto questi messaggi, Paolo avrebbe mandato agli amici gli audio di alcune liti con papà e mamma. In uno di questi file i genitori, in un momento di ira, gli avrebbero gridato che avrebbero dovuto prendere qualcun altro all’orfanotrofio e non lui.
Di recente la «paghetta» di Paolo era stata ridotta a 1 euro a settimana. E agli amici aveva riferito che spesso i familiari dimenticavano di apparecchiare la tavola anche per lui e di lavargli i panni. Fantasie? Manie di persecuzione? Espedienti per attirare l’attenzione su di sé? Saranno le indagini della Polizia ferroviaria a fare chiarezza. Per i genitori si è trattato di un incidente provocato dalla distrazione del ragazzo. Lo vegliano all’obitorio del Policlinico assieme a qualche amico di famiglia.
A ora di pranzo la camera mortuaria viene invasa da una ventina di ragazzini, tutti compagni di scuola. C’è il biondo, quello col cappello, la riccia. In tre, in particolare, si disperano ora in piedi, ora seduti su gelide panchine di marmo sotto tiepidissimi raggi di sole di una mattinata di maggio che per loro rimarrà indimenticabile: segna l’incontro/scontro con la morte. La bara di Paolo è chiusa, ricoperta di gigli bianchi. Ai piedi c’è un cuore di roselline bianche con la scritta: «Gli amici della 5 E». Da qui in poi di fiori ne arrivano più di quanto quel luogo possa accogliere.
In chiesa il dolore dell’amica del cuore è straziante. Riesce appena a camminare. Il fidanzatino di Paolo è sconvolto. Ed è atroce che un ragazzo di 18 anni si tolga la vita. O che «indossando le cuffiette» Paolo non si sia accorto dell’arrivo del treno. Ma c’è una sequenza inquietante di messaggi che Paolo scrive a Giulio la sera in cui il Frecciabianca gli ha tolto la vita. Il primo è delle 23.15: «Amore mio». Alle 23.26 Paolo scrive ancora: «Cucciolo Ti amo Perdonami Ti amo». Giulio, risponde in sequenza, alle 23.39 : «Ti amooo» «Perdonami» «Per cosa?». Cala il silenzio. E questa volta è Giulio a scrivere a Paolo. Sono passati 5 minuti dalla mezzanotte: «O Paolo ma che cazzo». Un messaggio su WhatsApp che non riceve replica.