A Napoli abbiamo vegliato con la comunità Lgbt
Riflessioni di Irene Agovino
È ormai una consuetudine pregare, anzi vegliare, nella Chiesa Valdese di Napoli. Ci sono gli scout dell’Agesci, ci sono gli omosessuali di Ponti Sospesi, ma c’è anche qualcosa di nuovo. Forse una nuova consapevolezza, quella del solco che Papa Francesco sta mettendo più che mai con i “cristiani” della tradizione. Quei cristiani che come ben detto da Padre Martin: “contestano chi li guida”, cioè si pongono loro, credendosi nel giusto, fuori dalla Chiesa.
La Chiesa, ecco un punto importante in questa veglia. La Chiesa-Madre che tratta come lebbrosi e che finalmente sembra aprire gli occhi, la Chiesa, come ci ricorda Zorzi- che ha curato un seminario sul gender- che come tutte le madri non si sceglie, ma si accetta. Una madre, si badi bene, che non si può accontentare con la menzogna, come invece(forse)il convegno di Courage dell’ex gay vuol fare. E Dio è soprattutto Amore. Un Amore libero e liberante, come introduce durante la veglia la religiosa di Nazareth, Sr. Annamaria Vitagliani.
E allora fondamentale è anche il gesto delle pietre, quelle che fanno male, quelle delle offese e degli insulti, trasformate in sassi d’amore e di accoglienza, depositate al centro. Perché le parole sono importanti, come ricorda Suor Annamaria e fanno la differenza.
Come la preghiera, che non è solo la parola, ma la Parola, quella che tutto dovrebbe cambiare, plasmare, riordinare. Come lo Spirito, la Ruah ebraica in solennità di Pentecoste.
Vegliare oggi, a Napoli, fa la differenza. E ci avvicina a Cristo, che uomo “particolare” ha dato il suo sangue per noi. Come dice Paolo di Tarso: “Non c’è più giudeo, né greco, né uomo, né donna”, ma tutti siamo di Dio.