A Padova abbiamo vegliato contro l’omofobia con la Lettonia e l’Iran nel cuore
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Riflessioni di Alberto del gruppo Emmanuele di Padova
Due genitori, due lavoratori LGBT. Quattro, in tutto, le testimonianze attorno alle quali si è dipanata la veglia, dedicata alla lotta contro l’omobitransfobia e ogni discriminazione, tenutasi venerdì 14 maggio 2021 a Padova.
Ospitata in una chiesa cattolica del centro urbano dopo che negli ultimi anni si era tenuta presso la chiesa Metodista Valdese, è stata presieduta da don Giovanni Brusegan, incaricato dal vescovo, e dal responsabile spirituale della comunità di Sant’Egidio, con la partecipazione di altri tre sacerdoti della diocesi di Padova e uno della diocesi di Venezia, ed è stata per la prima volta trasmessa in diretta streaming dalla pagina Facebook dello storico gruppo locale Emmanuele– omosessuali credenti.
La veglia nella Chiesa dell’Immacolata Vergine Maria, gestita dalla Comunità di Sant’Egidio, si è aperta con il ricordo di due recenti vittime dell’odio omofobico: il lettone ventinovenne Normunds Kindzulis, arso come torcia viva il 23 aprile scorso, sulla cui fine la polizia locale ha tardato ad indagare, e il ventenne iraniano Alireza Fazeli Monfared decapitato in un delitto d’onore a sfondo familiare lo scorso 4 maggio.
La veglia contro l’omobitransfobia ha visto, per la prima volta nell’organizzazione, il concorso – oltre allo storico gruppo Emmanuele di Padova – anche di un neocostituito gruppo patavino di giovani gay e lesbiche – che ha iniziato ad incontrarsi virtualmente nell’ultimo anno di pandemia – e pure del gruppo di genitori con figli omosessuali, “TuttiFiglidiDio”, attivo a Mestre (VE) da circa due anni.
La prima ad intervenire è stata un’attivista LGBT, mamma di una persona trans, che ha pacatamente narrato non solo le difficoltà di una famiglia a far fronte ad un’adolescenza travagliata ma anche la gioia di poter vedere meravigliosamente rinascere una persona triste, depressa, che non sorrideva mai, ora felicemente realizzata, in un corpo e con un nome maschile. Per la mamma e il papà è stato un momento grandioso il poter divenire nuovamente genitori.
La seconda testimonianza, tratta dal reportage “Caccia all’omo” di Simone Alliva, verteva sul mobbing subÌto da un infermiere e da una sua collega di lavoro.
Il primo, Stefano, si è suicidato, gettandosi nel vuoto, dopo un lungo susseguirsi di violenze perpetrate nel proprio luogo di lavoro contro di lui per via del suo orientamentoomosessuale. A sua madre non è rimasto che constatare pubblicamente l’omofobia che attanagliava il reparto in cui prestava assistenza.
La seconda, lesbica, si è trovata ad essere impiegata nello stesso ospedale in cui operava Stefano. Dopo aver dichiarato la propria omosessualità, Sabrina si è trovata a subire le stesse angherie di Stefano, come se il tragico epilogo di questinon fosse valso a nulla. Con una differenza, però. Sabrina, all’autoannientamento di Stefano, ha opposto, grazie al sostegno dei propri cari, la resistenza attiva al cieco odio della discriminazione contro la diversità sessuale.
L’ultima testimonianza è stata quella di un papà di un ragazzo gay che, all’età di sedici anni, si è visto negare sia l’assoluzione in confessione – dopo aver rivelato il proprio orientamento al sacerdote –siaplatealmente,di fronte all’intera assemblea dei fedeli, la comunione durante la messa domenicale.
Il papà non ha mancato di sottolineare quanto questi due episodi abbiano non solo marcato in negativo la fede del proprio figlio, che si è subito allontanato dalla Chiesa verso la quale continua a serbare rancore, ma anche l’armonia di una famiglia che, nella preghiera e nella concreta partecipazione alle attività parrocchiali, attingeva il proprio nutrimento spirituale e la propria ragione di vita.
Accompagnata da canti che invocavano tanto l’amore che Dio nutre verso le proprie creature quanto la pace donata da chi confida nel Signore, la veglia, dopo l’omelia incentrata sul Vangelo di Giovanni (15, 9-17), si è conclusa con una serie di intercessioni rivolte alle vittime dell’omobitransfobia, ai migranti e ai cattolici LGBTQIA+, alle coppie omosessuali, ai genitori con figli omosessuali e transessuali, alle chiese e comunità cristiane e ai governanti.
Al termine della veglia è seguito un breve momento di saluto, finalmente in presenza dopo parecchi mesi di lontananza, tra i membri dei tre gruppi che hanno contribuito alla realizzazione della veglia e i sacerdoti presenti.