A Palermo inizia il suo volo il gruppo Ali d’Aquila, gay e lesbiche di Palermo
“Io vi ho portato su ali d’aquila e condotti a me” (Esodo 19,4). Tutto ebbe inizio quel venerdì sera del 4 aprile 2008, quando alcuni mossi dal desiderio e spinti da una “chiamata”, bussando alle porte della Chiesa San Francesco Saverio di Palermo, chiesero di poter celebrare una Veglia di Preghiera per le vittime dell’omofobia in comunione con tante altre veglie sparse in tutta Italia, in Europa e nel mondo intero.
Da quella sera trascorsero nove mesi, come il tempo di una gravidanza, il seme era stato gettato nei nostri cuori e dopo l’Epifania di quest’anno (2009) nacque il Gruppo di Omosessuali Cristiani anche nella nostra città di Palermo.
Credo che il Gruppo, possa essere un segno, un piccolo segno di contraddizione (Lc 2,34-35), una piccola pietra di inciampo (1 Pt. 2,7-8), ma senza fare troppo rumore; vorrei parlare al cuore delle persone; vorrei che il nostro Gruppo possa essere un punto di riferimento per tanti ragazzi e ragazze che soffrono perché non accolti dalla loro famiglia, dalla società e dalle Chiese, perché non compresi, amati o discriminati a causa della loro omoaffettività.
E ciò perché: “Noi crediamo che, come gay, lesbiche, bisessuali e transessuali cattolici, nella nostra diversità siamo membri del mistico corpo di Cristo, e facciamo parte del Popolo di Dio. Noi abbiamo una intrinseca dignità perché Dio ci ha creati, Cristo è morto per noi, e siamo stati battezzati, facendoci tempio dello Spirito Santo, e canali attraverso cui l’amore di Dio diventa visibile.
Per questi motivi, è nostro diritto, nostro privilegio e nostro dovere vivere la vita sacramentale della Chiesa, così che possiamo diventare più potenti strumenti dell’amore di Dio per tutte le genti.” (dalla Premessa alla Dichiarazione sugli scopi di Dignity Associazione di cattolici gay e lesbiche – Los Angeles nel 1973).
Ci incontriamo quasi ogni settimana, perché sentiamo il bisogno e l’esigenza di stare insieme per conoscerci, per confrontarci e per pregare con la Parola di Dio in una continua ricerca di quella Verità che ci rende realmente Liberi (Gv. 8,32). Perché come si legge nella Liturgia delle Ore della Chiesa Cattolica: “A quanti cercano la verità, concedi la gioia di trovarla, e il desiderio di cercarla ancora dopo averla trovata”.
E, come ogni bimbo che nasce, nella Pasqua di quest’anno (2009) ci siamo “battezzati”, ci siamo dati un nome. E tra i tanti nomi proposti, è stato scelto “Ali d’Aquila”. E’ stato un nome, fra i tanti, al quale inizialmente non era stata prestata molta attenzione, ma “votato” perché racchiudeva in sé, un significato importante, elegante, bello e positivo.
Le ali d’aquila rimandano alla forza, alla potenza, all’osare, al volare alto e, insieme, alla tenerezza. E’ di queste ali che ho bisogno, per sconfiggere le mie mediocrità, le mediocrità dei nostri giorni, i pregiudizi, il conformismo imperante di una società appiattita, la globalizzazione dei valori e delle idee:
“«Non vi sono altezze troppo alte ma soltanto ali troppo corte» (Papini);
“… Solo che le nostre ali sono troppo corte, il nostro volo è radente a terra, l’inerzia ci impedisce di sviluppare i muscoli e di far crescere le penne. L’esercizio fedele e costante della preghiera, del silenzio, della riflessione riesce a sollevare l’uomo e a portarlo verso quelle vette che prima gli sembravano proibite.
Anche Seneca affermava che non sono le cose a essere difficili ma esse sono difficili perché noi non osiamo. E’ necessario rischiare per iniziare a nuotare e a volare nell’infinito; e al rischio deve seguire l’esercizio rigoroso e ininterrotto.” (Mons. Gianfranco Ravasi)
L’aquila è un abitante del cielo, sa sfidare l’impossibile in regioni inaccessibili all’uomo, ma sa anche tornare immediatamente in picchiata verso terra. Ama la libertà, non teme la solitudine, cerca le vette più alte per vedere più lontano, per lasciarsi accarezzare dal sole. Ed è di una tenerezza infinita con i suoi aquilotti che porta sopra le sue ali per insegnare loro a volare e per difenderli dai nemici.
Il “monito” che sento nel cuore, può essere tratto dal seguente racconto: «Un contadino trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia. Il caso volle che l’uovo si schiudesse contemporaneamente a quelle della covata e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini.
Per tutta la vita l’aquila fece quel che facevano i polli del cortile pensando di essere uno di loro. Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro. Trascorsero gli anni e l’aquila divenne molto vecchia. Un giorno, alzando lo sguardo, vide sopra di lei nel cielo sgombro di nubi uno splendido uccello che planava maestoso ed elegante in mezzo alle forti correnti d’aria muovendo appena le robuste ali dorate.
La vecchia aquila aguzzò lo sguardo stupita. “Chi è quello?”, chiese. “E’ l’aquila, il re degli uccelli”, rispose il suo vicino pollo. “Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra perché siamo nati polli”.
Tirando un sospiro di rassegnazione, la vecchia aquila tornò a frugare il terreno come sempre e visse e morì come un pollo perché pensava di essere tale» (tratto dal libro di Anthony De Mello, Messaggio per un’aquila che si crede un pollo).
E’ proprio vero, Dio ci invita ad essere “aquile”, a prendere coscienza di chi siamo realmente per spiccare il volo, ma per paura di andare controcorrente, di uscire allo scoperto, ci accontentiamo di essere “polli”, del mangime, dei vermi e degli insetti, invece di aspirare a “prede” più grandi, alle alte vette, a progetti ambiziosi, o, per usare una nota espressione, ai “carismi più alti”.
Questo nostro mondo ha bisogno di “aquile”: di uomini e donne che abbiano coraggio, che siano capaci di esprimere uno sguardo realmente amorevole, che va oltre, che non giudica, uno sguardo di bellezza.
Quando Israele uscì dall’Egitto e si avvicinò al Sinai, Dio, prima di proclamare il decalogo, disse: “Io vi ho portato su ali d’aquila e condotti a me” (Es 19,4). Perché ali di aquila? In che cosa differisce l’aquila dagli altri uccelli? La risposta è che tutti gli altri uccelli portano il loro piccolo negli artigli, perché temono di essere assaliti dall’alto (nel qual caso il piccolo scampa, mentre la madre è colpita).
Ma l’aquila (che vola più in alto di ogni altro uccello) teme solo l’uomo, teme che scagli una freccia contro di lei. La madre aquila dice: “E’ preferibile che la freccia colpisca me piuttosto che colpisca il mio piccolo”. Così l’aquila madre porta l’aquilotto sulle sue ali. Tale è l’amore di Dio per Israele. (Rashi di Troyes, 1040-1105).
Tale è l’amore di Dio per ciascuno di noi. Un amore che la Pasqua narra quasi togliendoci il fiato, tanto grande è il dono. Siamo amati da sempre e per sempre. Siamo portati, anche nei giorni più neri e più difficili, quando ci sentiamo fragili e disarmati, sulle ali della grande aquila. Lasciarci amare da Dio è ciò a cui siamo chiamati, nell’abbandono confidente, nella preghiera.
E’ sempre l’aquila che mi indica la strada da percorrere: “Non puoi raggiungerla se non sei come lei, non puoi legarla a te, lei è libera, non può amarti se la costringi. Se invece la segui, ti condurrà oltre… oltre i tuoi confini e anche i suoi, oltre la linea degli orizzonti.
L’aquila scopre sempre il sole dietro le nuvole, con tenacia costruisce il suo nido, e giorno per giorno, lo rende inattaccabile. Il suo volo è il più vicino a Dio, ma è anche il più vicino all’uomo perché sa del forte legame fra loro. La sua dignità è impenetrabile, la sua regalità, è impressionabile. Non accontentarti di camminare come tutti, ma cerca di volare come pochi. (tratto dal libro di Anthony De Mello “Messaggio per un’aquila che si crede un pollo”).
Vola anche tu come l’aquila, abbi la certezza dell’aquila, la forza e il coraggio dell’aquila, la sua lungimiranza. Alzati in volo ogni giorno, per raggiungere una meta più elevata del giorno prima, e soprattutto, non tornare mai indietro.”
Gruppo Ali d’Aquila, cristiani omosessuali di Palermo
Email: alidaquilapmo@altervista.org – Sito web: www.alidaquilapmo.altervista.org