Riflessioni di Gianni Geraci, Presidente del Guado di Milano
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Sul tema dell’omosessualità non mi aspettavo molto da un Sinodo sulla famiglia composto da vescovi che, in stragrande maggioranza, non considerano le unioni tra le persone dello stesso sesso una famiglia.
Che fosse questo l’orientamento della maggior parte dei padri sinodali lo dimostra la seconda parte del punto 78 quando, citando le Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali si afferma che: «Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”».
Si tratta di un’affermazione condivisa dalla stragrande maggioranza dei padri sinodali e votata all’unanimità dai dieci membri del gruppo di lavoro che aveva ricevuto l’incarico di preparare il testo della Relatio Synodi da sottoporre all’assemblea anche da quelli che vengono indicati come “vescovi progressisti”.
Ma proprio lo status di famiglia delle coppie composte da persone dello stesso sesso è il nodo che una riflessione seria sull’omosessualità dovrebbe sciogliere alla luce non solo dei toni polemici che hanno caratterizzato le posizioni del Magistero negli ultimi anni, ma anche della prassi e della riflessione che ha attraversato la chiesa durante la sua storia, una prassi e una riflessione che hanno proposto un’idea di famiglia molto più estesa di quella un po’ asfittica di chi sostiene che l’unica famiglia sia quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna.
Che fine fanno, alla luce di una visione così ristretta, le tante “famiglie” religiose che hanno arricchito la storia della Chiesa? Che fine fanno le “mamme per vocazione” che hanno accettato di allevare, da sole, dei figli di cui non erano madri naturali? Che fine hanno fatto i tanti modelli di intimità famigliare che, nel corso dei secoli, hanno generato quelle paternità, quelle maternità, quelle fraternità spirituali che nascevano dalla preoccupazione di vivere pienamente le parole di Gesù quando, nel capitolo terzo di Marco, si chiede: “Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli?“.
Su questo argomento, in ogni caso, non mi aspettavamo molto e,per questo motivo, non sono deluso da quello che il Sinodo ha scritto sull’omosessualità. Direi addirittura che mi pare una cosa molto positiva l’attenzione che il Sinodo riserva alle famiglie «che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale» .
Mi pare positiva, perché il Sinodo ricorda a queste famiglie che «ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare “ogni marchio di ingiusta discriminazione”» e nel farlo riprende le aperture della lettera
Sempre nostri figli, forse il documento, tra quelli prodotti dal magistero della chiesa sull’omosessualità, che è meno condizionato dalla paura che, invece, soffoca altri testi dedicati allo stesso argomento.
Mi preoccupa invece il riferimento fatto nel punto 8 a quella fantomatica “ideologia del gender” che esiste solo nella fantasia di chi ha un’idea approssimata del variegato mondo dei gender studies. Mi preoccupa perché è un ulteriore sintomo del fatto che, con cinque secoli di ritardo, stia montando un nuovo “caso Galileo” in cui i vertici della Chiesa, fuorviati da finti specialisti che confondono l’apologetica con la ricerca scientifica, sembrano non essere più in grado di leggere correttamente alcuni aspetti importanti della riflessione antropologica contemporanea.
Alla luce di questa situazione, in cui le luci e le ombre non permettono di individuare, nel Magistero della Chiesa che si è espresso nella Relatio finale del Sinodo, quei chiari segnali di apertura che molti desideravano, vorrei invitare tutti gli omosessuali cattolici e tutti i cattolici che hanno a cuore il tema della valorizzazione e dell’inclusione delle persone omosessuali nella chiesa, a non perdere la speranza.
Il mancato riconoscimento del valore della nostra esperienza specifica di credenti che cercano di vivere il Vangelo senza negare la loro omosessualità non deve abbatterci, ma, al contrario, deve spingerci a vivere con maggiore coerenza e serietà la nostra vita e le relazioni che la Provvidenza ci darà modo di costruire.
Ancora una volta siamo chiamati a non inseguire delle autorizzazioni esterne che, per tanti motivi, sembrano non arrivare mai, ma a seguire la nostra coscienza che, come scrive Tommaso d’Aquino nel De Veritate, “vox Dei est”. Naturalmente, per non correre il rischio dell’autoreferenzialità, dobbiamo prendere sul serio il compito di formare la nostra coscienza, ascoltando con attenzione le indicazioni teoriche che ci vengono dal Magistero e confrontandole, magari appoggiandoci al consiglio di qualche fratello nella fede, con le situazioni specifiche che siamo chiamati ad affrontare.
Sarà la conclusione di questo processo di discernimento e non le parole lontane di un’assemblea che non conosce nel concreto la nostra vita, a dirci quello che dobbiamo e quello che non dobbiamo fare.
Ma proprio perché molto spesso ci capiterà di osservare delle differenze tra le conclusione a cui, in coscienza, arriveremo e le indicazioni date dal magistero, abbiamo anche il compito importantissimo di abbandonare qualunque forma di ipocrisia e di vivere alla luce del sole la nostra vita, le nostre scelte e le eventuali relazioni che nasceranno da queste scelte.
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E se non saranno i consigli poco saggi di esperti che non sono davvero “esperti”, saranno le nostre vite ad aiutare finalmente la chiesa a cambiare atteggiamento nei confronti dell’omosessualità. Perché potremo dire serenamente e tranquillamente: “Cari vescovi, siamo convinti che, nel ribadire certe cose, la vostra preoccupazione principale è quella di non tradire il Vangelo, ma la nostra vita, la nostra esperienza di preghiera, la bontà delle relazioni che costruiamo, ci suggeriscono una lettura del Vangelo in cui il nostro progressivo cammino di avvicinamento alla perfezione cristiana, passa attraverso quello che di buono c’è nella nostra omosessualità“.