A Ragusa le vite delle persone LGBT e dei loro genitori hanno trovato posto nel cuore della Chiesa
Riflessioni di Mara Grassi, vice presidente de La tenda di Gionata sul Ritiro per cristiani LGBT+, i loro genitori e gli operatori pastorali (Ragusa, 30 settembre/2 ottobre 2022)
“Coraggio, sono io, non abbiate paura“.
Queste parole, dal Vangelo secondo Matteo (14,22-23), lette nella Veglia di preghiera di inizio ritiro ci hanno introdotto all’ incontro organizzato a Ragusa presso i Gesuiti, dai ragazzi e dalle ragazze lgbt+ della Sicilia.
E di questo abbiamo fatto esperienza in quei tre giorni: del Signore che era in mezzo a noi, che era presente nelle loro storie, nei loro volti gioiosi, nei loro abbracci.
Spesso ho visto mio marito con le lacrime agli occhi durante la preghiera o nei momenti di ascolto e di condivisione. Gli ho chiesto perché non dicesse nulla. “Non riesco, ho un groppo in gola”, mi ha risposto.
E non era il primo ritiro a cui partecipavamo (dal 17 maggio 2017 giorno del nostro coming out, lo avevo pressoché trascinato dappertutto ), ma lì, forse per l’affetto da cui ci siamo sentiti avvolti, per il clima che si era creato tra tutti noi, toccavamo con mano che “nell’ incontro con Dio tutte le diversità sono benvenute e per Lui assumono una connotazione sola: quella di figli amati” (dalla Veglia).
Nessuno è sbagliato perché ognuno è espressione dell’ amore di Dio e Dio ha molta fantasia. Era la certezza del Suo amore per i nostri figli e figlie lgbt+ che ci commuoveva.
Ci sono delle cose, diceva un papà, che ritieni inconcepibili fino a quando non avviene qualcosa che le fa diventare reali. E l’ amore tra due persone omosessuali non è inconcepibile, è reale e può essere fecondo, generare vita.
Già all’inizio del ritiro le preghiere e i canti della Veglia ci hanno aperto il cuore, lo hanno riempito di consolazione e di ringraziamento al Signore per questo cammino così bello ed entusiasmante che ci sta facendo fare come genitori di figli lgbt+. Poi è stato tutto un crescendo. “ Dio ci viene a cercare proprio lì nel pieno delle nostre tempeste, dei nostri dubbi”. Come rivedevo la mia vita in quelle parole!
Per anni, tanti, troppi, ho annaspato cercando di non affondare schiacciata da quello che ritenevo un peso troppo grande per me, un figlio gay.
Poi quando sono riuscita un pochino alla volta ad affidarmi a Dio che si manifestava proprio attraverso quel figlio, ho incontrato ragazze e ragazzi LGBT, genitori, sacerdoti che hanno acceso una luce d’amore nel mio cuore e hanno sciolto quel grumo di dolore che non mi faceva vivere.
“Nell’Amore non c’è timore”, il titolo del ritiro. Sì, solo l’ amore può vincere la paura. Paura di un Dio, che giudica, che lascia fuori dal suo progetto i nostri figli perché nel peccato.
“Tua figlia non fa parte del progetto di Dio, così mi ha ripetuto più volte un giovane sacerdote” diceva una mamma.
Ma noi sappiamo che non è vero, ne abbiamo le prove vedendo la loro vita, ascoltando il loro cuore. È un’ idea sbagliata di Dio da cui dobbiamo convertirci.
Spiegandoci la parabola del Padre misericordioso in cui il Padre tiene un comportamento che noi riterremmo ingiusto, Padre Cesare ci diceva che la conversione del figlio minore, la trasformazione della sua coscienza avviene soltanto nel momento in cui il Padre lo abbraccia, lo bacia, fa il pazzo.
Anche per noi solo un’ esperienza di amore permette di riimpostare la nostra coscienza. “Dio non è quello che hai in mente tu, il Padre è diverso”.
E noi, come diceva un altro papà dobbiamo essere per questi figli e figlie un riflesso dell’ amore del Padre. E cercheremo di dirlo nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie perché si abbattano muri, perché nessuno più sia fatto soffrire. “Affidiamoci al muro giusto, quello che non allontana, né separa, ma che anzi corregge e consola: la croce”.
E i lumini che abbiamo acceso, dopo aver preso su di noi le paure di un altro, scritte su un biglietto e che noi abbiamo letto, hanno disegnato una croce: il passaggio dal timore all’amore.
Che era in fondo anche il sogno di don David che per questo volle che nascesse la Tenda di Gionata, affinché le nostre comunità cristiane sapessero “allargare la tenda” (Isaia 54) per fare spazio a tutti per diventare “sempre più santuari di accoglienza e sostegno verso le persone LGBT e verso ogni persona colpita da discriminazione”.