A sua immagine. Una nuova teologia per le persone transessuali
Riflessioni tratte da Whosoever (Stati Uniti) del settembre/ottobre 1997, liberamente tradotte da Marta
‘Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. (Genesi 1:27). ‘Non c’è più Giudeo né Greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù’. (Lettera ai Galati 3:28). ‘Non entrerà nella comunità del Signore chi ha il membro contuso o mutilato’. Deuteronomio 23:1
Non dica l’eunuco: “Ecco, io sono un albero secco!”. Poiché così dice il Signore: “Agli eunuchi, che osservano i miei sabati, preferiscono le cose di mio gradimento e restano fermi nella mia alleanza, io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un posto e un nome meglio di figli e figlie; darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato”. (Isaia 56:3-5)
Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini; e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca. (Matteo 19:12)
Filippo, prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù. Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c’era acqua e l’eunuco disse: “Ecco, qui c’è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?”. Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. (Atti degli apostoli 8:35-38)
Le Scritture non fanno diretto riferimento al tema della transessualità. I sei passaggi che riguardano l’omosessualità e l’unico a proposito del travestitismo sono irrilevanti, dal momento che la transessualità è una condizione completamente diversa da queste.
Qualcuno potrebbe affrontare tale problematica da una prospettiva secondo la quale, nei confronti dei temi su cui le Scritture si mantengono silenziose, dobbiamo essere noi a prendere delle decisioni basate su evidenza empirica e ragione.
Di conseguenza ci rivolgeremmo alla ricerca psicologica, che spiega come la disforia di genere sia una condizione attuale, probabilmente innata, e come il cambio di sesso, sia chimico che chirurgico, sia il miglior trattamento.
Tuttavia, nelle Scritture sono presenti alcuni concetti che si riferiscono, indirettamente, all’idea di persone caratterizzate da condizioni di genere inusuali e al modo in cui dobbiamo relazionarci nei loro confronti all’interno della Chiesa. Si tratta degli eunuchi.
Ciò che abbiamo in questo caso non sono persone che stanno passando da un sesso all’altro, ma persone che non sono più veri membri del loro sesso originale.
Gli eunuchi hanno fatto parte della società di molte culture sin da quando le civiltà hanno iniziato a registrare la propria storia.
In tempi e luoghi diversi, le persone che hanno cambiato sesso hanno utilizzato la categoria dell’eunuco come un modo per cambiare il più possibile rimanendo comunque all’interno della propria società. Non è quindi forzato individuare una linea di continuità tra eunuchi e transessuali.
Israele era circondato da culture che si avvalevano di eunuchi, in particolare per sfruttarli come schiavi e per utilizzarli a scopo religioso pagano.
Uno dei limiti posto a Israele affinché potesse auto-definirsi “popolo separato” fu l’esclusione degli eunuchi dal culto dell’Alleanza.
Ciò era probabilmente connesso all’importanza che nell’antico Israele si accordava alla mascolinità, alla famiglia e alla procreazione.
Ma il profeta Isaia (Isaia 56) annuncia che questa esclusione svanirà quando sarà stabilito il nuovo regno di Yahweh.
Nel nuovo regno il popolo dell’Alleanza non si limiterà ad includere coloro che sono distintamente maschi o femmine, ma anche coloro che ricadono nel mezzo.
La cosa più importante, per queste persone di genere insolito, non è quale sia il loro genere, ma se si attengono al sabato ebraico di Yahweh, scelgono le cose che piacciono a Yahweh e rispettano l’Alleanza.
In altre parole, le stesse cose che valgono per le persone di chiaro genere maschile o femminile.
Gesù spinge questo concetto un passo più avanti. Non solo insegna che gli eunuchi sono accolti nel Regno di Dio, ma afferma che questi svolgono un ruolo speciale, che altri non sono in grado di svolgere.
Gesù inoltre amplia il concetto di eunuco, a comprendere non solo chi è stato reso così dagli uomini, ma anche chi è nato con genere indeterminato e chi lo sceglie per sé.
Il primo gruppo di eunuchi di cui parla Gesù estende l’idea, presente nella Genesi, secondo cui Dio ha creato gli esseri umani come maschio o femmina.
Gesù dice invece che Dio ha creato anche individui che sono nati eunuchi e non rientrano in queste due categorie. Ciò è confermato dalla scienza moderna, che ci dice che non tutti nascono maschio o femmina.
Il genere indeterminato o il genere gonadale/genitale mescolato è molto più comune di quanto la maggior parte delle persone sia al corrente, si aggira probabilmente attorno all’1% di tutte le nascite.
L’ultimo gruppo di eunuchi a cui Gesù fa riferimento comprende eunuchi diversi da quelli che lo sono perché resi così dagli uomini, ovvero coloro che sono stati fisicamente castrati.
Queste di cui parla Gesù sono persone che, abbastanza plausibilmente, sono ancora uomini dal punto di vista fisico, ma che in seguito alle loro scelte di vita non vivono più come uomini bensì come eunuchi. Solitamente si ritiene che questo passaggio si occupi del tema del celibato.
Tuttavia la massima in questione non è chiara, e Gesù potrebbe aver voluto indicare qualcosa di abbastanza diverso dal celibato.
Qualsiasi cosa Gesù intendesse con questa terza categoria di eunuchi, il suo insegnamento dovrebbe aprirci la mente nei confronti delle persone con una scelta di genere diversa da quella che viene considerata normale.
L’insegnamento di Gesù per quel che riguarda gli eunuchi dovrebbe sollecitarci a celebrare questa gente speciale, invece che limitarci alla loro semplice inclusione.
Questa nuova inclusione e celebrazione è visibile nello svolgimento della Storia della Salvezza negli Atti degli Apostoli. Prima delle meravigliose storie sull’accoglimento dei Gentili e dei Samaritani all’interno della Chiesa, troviamo la breve storia dell’eunuco etiope.
E’ interessante che quando incontri Filippo, l’eunuco, molto probabilmente un ebreo che era a conoscenza di come il Deuteronomio lo escludesse dall’Alleanza, stesse leggendo il profeta Isaia, che annuncia l’inclusione degli eunuchi.
A differenza di Pietro, che aveva bisogno di una visione dal paradiso per superare i pregiudizi nell’includere i Gentili, Filippo non ebbe bisogno di nessuna sollecitazione per sapere che lo Spirito lo stava chiamando per spingerlo ad includere gli eunuchi nel Regno di Dio.
Filippo proclama la buona novella, l’eunuco vi crede e grazie al Battesimo è immediatamente accolto nella famiglia della fede.
Per questo il primo limite che è stato superato nel nostro Battesimo in Cristo non è un limite di differenza religiosa, o di razza, ma uno inerente le condizioni di genere insolite.
Quando l’apostolo Paolo descrive come il nostro essere uno in Cristo tramite il Battesimo faccia cadere quei normali confini che noi percepiamo invece come ostacoli, include molto esplicitamente il genere come una di queste condizioni divenute ormai irrilevanti.
Chiaramente Paolo non sta dicendo che noi, come individui, non siamo più maschi o femmine, così come non sta dicendo che non siamo più ebrei o greci.
Tuttavia, Paolo sentiva chiaramente che questa nuova libertà in Cristo significava che un ebreo poteva ora vivere come un greco, abbandonando le restrizioni di dieta e di calendario che prima li separavano.
Intendere questo passaggio come un insegnamento secondo cui uomini e donne non devono essere limitati dai ruoli di genere assegnatigli è in accordo con il resto del ministero di Paolo.
Paolo include quindi le donne ai ruoli di guida e, si può facilmente immaginare, estenderebbe agli uomini i ruoli inerenti l’accudimento e l’educazione.
Non è forzato vedere in questo pensiero come, in Cristo, coloro che possiedono una condizione di genere insolita abbiano la libertà di vivere nel genere opposto a quello assegnatogli alla nascita, qualora lo trovino necessario per lo sviluppo del loro vero Io.
Sviluppare il vero Io
Ma questo ci lascia ad una questione ancor più profonda e complessa. E’ davvero appropriato, per coloro che sono in Cristo, ricercare lo sviluppo del proprio vero Io?
Il concetto di auto-realizzazione è in accordo con il Vangelo? Gesù non ha forse detto: ”Colui che cerca di salvare la propria vita, la perderà, e colui che perderà la propria vita per me, la troverà”?
Questo non significa forse che il nostro obiettivo non dovrebbe essere incontrare una vita di felicità, appagamento e auto-realizzazione, ma avere piuttosto una vita di servizio, sacrificio e auto-abnegazione?
Tale è il modello di vita così spesso indicato dalla Chiesa ai transessuali, quando questi rivelano chi sono veramente.
I transessuali sono accusati di essere degli egoisti, di focalizzare un’immensa quantità d’energia sui propri bisogni, senza nessuna preoccupazione cristiana nei confronti di coloro che, nella loro vita, sono dipesi dalla loro appartenenza al genere che gli attribuivano.
Piuttosto che cambiare il proprio sesso, in modo da poter essere corretti nei propri confronti, dovrebbero accettare il peso di essere a disagio nel proprio genere, così da poter realizzare i ruoli impostigli. Hanno un dovere.
Chiaramente questa forma di teologia è stata utilizzata come arma non solo contro i transessuali. E’ stata impiegata contro l’arte, il teatro, la musica, la letteratura, lo sport, i giochi da camera, e contro qualsiasi altra forma di intrattenimento.
Questa teologia ha detto a gay e lesbiche che è loro dovere provare ad essere eterosessuali. Ha detto alle persone chiamate al ministero che è loro dovere essere celibi e rinunciare a qualsiasi rapporto romantico, all’amore, al sesso, o alla famiglia.
Ha detto ai giovani privi di vocazione, e che amano la propria comunità e vi sono profondamente radicati, che è loro dovere vivere esuli in terre straniere.
Questo modello teologico finirebbe per deprivare l’esistenza umana di ogni varietà e ricchezza. Tutto ciò che rende piacevole la nostra vita sarebbe strappato via in nome del dovere.
Una cosa diverrebbe sospetta solo perché gradevole o soddisfacente. Alla fine l’unico stile di vita legittimo sarebbe la più austera forma di monachesimo.
Una risposta pratica ad un’obiezione del genere sarebbe: “Accetterò che è un errore perseguire lo sviluppo del mio vero Io e perseguire una vita di appagamento e felicità solo quando accetterai che anche le cose che fai tu per piacere e intrattenimento personale sono sbagliate, e smetterai di farle.
Ma finché continui a seguire il Monday Night Football, finché giochi a golf il sabato, finché mangi più del necessario, finché ascolti musica e tieni opere d’arte a casa tua, o leggi narrativa per il tuo piacere, finché tenti di colmare la tua vita di gioia e soddisfazione, allora continuerò ad ignorarti quando mi dici che è sbagliato che il mio obiettivo sia una vita felice, appagata.
Una risposta più “teologica” è rimandare a due importanti storici “inquilini” della chiesa Presbiteriana. Il primo è la dottrina riformata della vocazione e la seconda è la dottrina riformata della creazione.
Entrambe ci spiegano che Dio ci destina a determinati incarichi, e lo fa rendendoli appaganti ai nostri occhi, e che ha creato un mondo buono e da cui trarre piacere.
Questo smentisce l’idea per cui i cristiani devono solo soffrire per raggiungere il Regno. I cristiani devono trarre gioia dalla propria vita e dalle proprie vocazioni, e dalla creazione che Dio ha dato loro.
Riportati alla forma corretta
La sofferenza può essere una parte importante nel vivere la nostra vita cristiana, ma non è l’inizio della nostra fede né la sua fine.
La nostra fede inizia con l’affermazione che Dio ci ha creati buoni. Prima di qualsiasi preoccupazione nei riguardi del peccato e della necessità di essere redenti, c’è la realtà di essere stati creati da Dio come creature che Lui desiderava benedire. Nella Genesi, Dio dice all’Uomo di essere fecondo e moltiplicarsi.
Dio gli diede il controllo della terra, cosa che implica un legame con tutta la creazione e un ruolo nella continua creazione della creazione.
Per cui, prima che il peccato faccia il suo ingresso nella storia, incontriamo l’immagine di uomini e donne che traggono piacere da quello che sono, traggono piacere l’uno dall’altro, dal legame con la creazione e dal legame spirituale con Dio.
Il peccato ovviamente fa il suo ingresso nella storia e, per mezzo di questo reciproco piacere, porta distruzione.
Ma la storia della nostra redenzione è la storia del ritorno alla nostra benedizione originale. Lo scopo della vita cristiana non è sentirci alienati dal nostro vero Io, sentirci alienati l’uno dall’altro, dall’intera creazione e da Dio, ma essere riportati al legame e all’originale senso di “giustezza”.
I transessuali, nel riconoscere l’incongruenza nella relazione tra la loro persona e il loro corpo, e nel cercare di creare armonia dove prima non c’era, soddisfano realmente il mandato della Genesi in un modo che le persone prive di problematiche di genere non sono capaci di soddisfare.
I transessuali sono persone in grado di continuare il compito della creazione e correre il rischio di domare la terra per renderla feconda, all’interno dei loro stessi corpi. I transessuali possiedono effettivamente un legame diretto e potente con la creazione in quanto creature fatte a immagine di Dio, poiché questo legame si trova nel loro stesso essere.
La chiamata di Dio
Una parte molto importante della teologia riformata è il concetto di vocazione, o “chiamata di Dio”. La maggior parte dei cristiani riconosce che Dio chiama alcune persone ad esercitare il Ministero della Parola nelle funzioni della Chiesa.
L’ingegno della dottrina riformata sta nell’idea che Dio chiami tutti i credenti a diversi ministeri, sia all’interno che all’esterno della Chiesa. Nessuna chiamata è più “elevata” di un’altra.
Alcuni di questi ministeri sono ciò che anche coloro che non seguono la dottrina riformata della vocazione definirebbero occupazioni secolari.
Ma per chi tra di noi segue la visione riformata, chi è impegnato in un’occupazione “secolare”, come un dottore, o un contadino, o un artigiano, serve Dio e il mondo di Dio così come lo serve chi è impegnato nel sacerdozio.
Inoltre, questa dottrina insegna che Dio ci chiama donandoci capacità in un determinato campo. Dio quindi non chiama qualcuno al mondo dell’arte senza donargli talento artistico.
Esistono due modi validi per riconoscere in quale campo è dotata una persona. Il primo: quando questa esercita la propria abilità, gli altri ne riconoscono il talento.
Il secondo: quando la persona s’impegna nell’attività per cui è dotata, prova gioia, soddisfazione e il continuo desiderio di seguitare ad impegnarsi.
La dottrina riformata della vocazione, quindi, insegna che nella chiamata della nostra vita non incontreremo, come prima cosa, sacrificio, ma appagamento.
Chiaramente potrebbe essere necessario del sacrificio per raggiungere lo scopo che ci siamo prefissati. Ma il concetto fondamentale alla base della vocazione è che quando Dio ci chiama ad un ministero, ci dà anche il desiderio di far parte di quel ministero.
Se Dio ci chiama ad essere contadini, negozianti, casalinghe, avvocati, artigiani, parroci, braccianti, o qualsiasi cosa, Dio si aspetta che troviamo soddisfazione nella chiamata.
Se qualcosa ostacola la realizzazione e la soddisfazione interiore, ostacola anche la capacità di servire adeguatamente Dio e il mondo di Dio nel campo che riguarda la nostra chiamata.
La percezione d’una vocazione renderebbe capaci di rimuovere qualsiasi ostacolo che rendesse difficoltosa la realizzazione della chiamata. Se la disforia di genere non permette a qualcuno di essere ciò che veramente è, né di adattarsi alla realtà che lo circonda, non gli permette di servire Dio al meglio delle proprie possibilità.
La vocazione quindi richiede che la persona faccia qualsiasi cosa possa fare per risolvere la disforia di genere. Ora sappiamo che il genere del corpo può essere cambiato per accordarsi al genere della mente, ma non può essere fatto il contrario.
Passaggio difficoltoso
Perciò, queste due dottrine riformate, Creazione e Vocazione, non solo sostengono le persone di genere inusuale nel possesso della libertà di cambiare il proprio genere esterno, rimanendo all’interno della Chiesa, ma in un certo senso ci insegnano che queste persone, quando affrontano un passaggio così difficile, sono impegnate in un compito sacro e benedetto.
Piuttosto che tentare di vedere una vergogna e una colpa in questo passaggio, dobbiamo vedervi dei figli di Dio che prendono sul serio il fatto d’essere stati creati a sua immagine, divenendo di conseguenza suoi collaboratori nella creazione, e vedervi dei figli di Dio che prendono sul serio l’essere stati chiamati a rimuovere spietatamente qualsiasi ostacolo li intralci nell’essere ciò che Dio desidera siano, così da poterlo servire al meglio.
I sette principi della transessualità:
1° principio: “Il mio vero genere è determinato dalla mia mente e dal mio cuore. Solo io posso dire quale sia il mio vero genere”.
2° principio: “Non c’è motivo di vergogna nell’avere una diversa identità di genere, ciò che sono è, piuttosto, qualcosa che merita di essere celebrato!”
3° principio: “Per quanto riguarda il genere, non tutti mi accetteranno per ciò che sono veramente, ma se io mi accetto pienamente e completamente, riuscirò a trovare tutta la forza necessaria per vivere il mio genere, nel modo in cui ho bisogno di farlo”.
4° principio: “Non solo ho il potere e il diritto di cambiare nella mia vita le cose che ritengo debbano venire cambiate, incluso il mio corpo, se necessario, ma ho anche la responsabilità, nei miei confronti, di farlo”.
5° principio: “Io sono colui che divento tramite i cambiamenti che apporto alla mia vita, incluso il mio sesso”.
6° principio: “Abbracciare quello che sono ora non nega quello che sono stato, né il viaggio intrapreso, sarò sempre la persona che ha abbracciato sia la celebrazione del mio vero Io sia il cambiamento del mio Io temporaneo”.
7° principio: “Essere una persona di genere diverso non è una maledizione, ma un dono! Mi trovo tra mondi diversi in qualità di mondo benedetto, che, con la propria benedizione, benedice gli altri semplicemente vivendo il proprio vero Io.
Testo originale: A transsexual theology