A te che sei stato allontanato come educatore dalla parrocchia perché gay come me
Lettera aperta di Giacomo Bandini*
Nel momento in cui ho appreso la notizia tramite il mio ex professore di religione delle superiori – con il quale ho mantenuto, seppur siano passati più di dieci anni, un bellissimo rapporto di stima e di comunione, avendo lui supportato il mio cammino nella Chiesa fin da quando ho capito di essere un ragazzo omosessuale – la prima azione che ho sentito il bisogno di compiere è stata quella di inoltrare l’articolo (sulla vicenda avvenuta in uno dei centri estivi gestiti dalla Diocesi di Cesena) al mio parroco Don Giovanni. Non in segno di protesta, non con rancore o rabbia nei confronti della vicenda, ma essenzialmente per dirgli grazie.
Ho avuto la necessità di reagire a questo male, che ha fatto pulsare alcune mie cicatrici profonde, non con altro male, ma con una risposta di bene, trovando delle parole per dire-bene, benedire, rendere grazie. Allora le prime parole che ho scritto sono state di gratitudine a quel parroco che – pur sapendo della mia omosessualità e della storia che stavo costruendo con Edoardo, oggi mio marito – mi chiese anni fa di tornare a fare l’educatore in oratorio e seguire il gruppo adolescenti.
Di fronte a questa vicenda voglio dire-bene, e benedire, tutti quei pastori che nella Chiesa non hanno l’odore di incenso, ma il profumo delle pecore, non usano la tradizione e il Magistero come una forma di rigida difesa, ma si lasciano mettere in discussione dalla forza inaudita delle parole del Vangelo.
Ho cercato poi di capire se su qualche altra testata venisse riportato il nome del ragazzo coinvolto in questa triste vicenda giunta alle cronache nazionali, perché vorrei rivolgermi direttamente a lui. Vorrei parlare direttamente con te.
Vorrei prima di tutto dirti che non sei solo, che purtroppo tanti come te hanno vissuto dinamiche simili all’interno della Chiesa. Io per primo. Quando ho capito di essere un ragazzo omosessuale, ne parlai con quello che allora era il mio coadiutore Don Luca e lui mi disse che non c’era niente di male, ma se volevo vivere apertamente questo mio orientamento non avrei potuto continuare a svolgere il ruolo di educatore del gruppo preadolescenti.
Quelle parole, in quel preciso momento, mi ferirono profondamente. Anche io decisi di lasciare tutto e tutti. Lasciai i miei impegni in oratorio e di lì a pochi mesi partì per una missione e ritornai in Italia e nel mio piccolo quartiere di periferia solo alcuni anni dopo.
Tornai con una nuova consapevolezza di me stesso, iniziando a vivere con una ritrovata serenità, incontrai Edoardo e, nonostante tutti in parrocchia sapessere della mia vita – e alle volte la chiacchierassero – il mio parroco Don Giovanni mi incaricò del mandato educativo con gli adolescenti.
Nel guardare indietro la mia storia, se ritorno alle parole che mi disse Don Luca, non posso oggi che dire-bene, benedire il Signore e benedire lo stesso Don Luca – che l’anno scorso mi ha invitato nella sua nuova parrocchia a parlare di fede e omosessualità! -, perché nonostante il dolore, la rabbia e le ferite, – rectius attraverso proprio di esse – Lui ha tracciato il cammino che mi ha portato ad essere chi sono oggi. Allora vivi questo dolore, questa rabbia e queste ferite, parti per un viaggio lontano – fisico o interiore – e metti tutto in discussione, sii inquieto e non smettere di farti domande, di lottare per un mondo – e per una Chiesa – migliore.
Questo è Vangelo. Sono certo che anche tu arriverai a dire-bene, a benedire la tua storia e le persone che avrai incrociato lungo il cammino, anche coloro che ti hanno ferito.Infine, in questa vicenda guardo alla Chiesa. Una affermazione del comunicato della Diocesi di Cesena-Sarsina ha avuto eco nella mia testa: «quanto accaduto non riguarda un giudizio sui singoli o una discriminazione sui diritti».
Purtroppo non si può che constatare il contrario e sarebbe opportuno dirlo apertamente e con coscienza: nella Chiesa ci sono ancora delle forme di discriminazione e quanto è accaduto ne è un esempio. Giustamente nel comunicato si legge che chi riceve il mandato educativo è chiamato a trasmettere i valori cristiani, ma quali sono questi valori?
Trasmetterli significa ripetere a memoria e rigidamente la dottrina e gli insegnamenti del Magistero – e poi nella vita di tutti i giorni, spesso nel nascondimento, fare il contrario – o vivere in primo luogo l’inquietudine del Vangelo, di un Verbo che si fa carne e non rimane solo su carta, ma incontra gli uomini e le donne della storia, nella loro storia e nel loro tempo, e in questa prospettiva leggere, rileggere e farsi guidare anche – e non solo – dalla dottrina e dal Magistero?
Quasi provocatoriamente mi verrebbe da pensare che se si applicasse il primo rigido modello, come sembra abbiano fatto in questa vicenda i pastori della Diocesi di Cesena-Sarsina, quale educatore o educatrice veramente si “salverebbe” da questo giudizio di incompatibilità?
Si rimanga per esempio solo sui temi dell’affettività e della sessualità – pur non essendo gli unici – e ci si domandi: quanti giovani educatori ed educatrici cristiani ripetono formalmente la dottrina e il Magistero ai loro educandi e poi nella vita privata hanno – come è giusto che sia – con il loro partner già una vita affettiva profonda, pur non essendo ancora sposati? Questo è essere educatori cristiani? Questo è educare?
Io ho sempre rifiutato una tale impostazione e con i miei educandi non ho mai nascosto le mie scelte di vita e ho sempre ascoltato le loro – e le mie – domande e inquietudini, senza creare tabù e ipocrisie. Ho cercato di non svilire il messaggio rivoluzionario del Vangelo dietro facili perbenismi, pur tuttavia non dimenticando di guardare alla storia della Chiesa e di riprendere anche con gli educandi quanto la dottrina e il Magistero su certi temi hanno detto e capirne le ragioni.
L’educatore cristiano credo debba aspirare ad essere simile ai padri e alle madri sinodali, che consapevoli della storia della Chiesa e dei suoi insegnamenti, non hanno paura di guardare alla Chiesa di oggi e a interrogarsi. Allora finisco tornando a dire-bene, benedire questa Chiesa che – basti pensare a questo ultimo Sinodo – si lascia interrogare dal Vangelo.
Da quella unica Parola che ci dovrebbe guidare e rendere inquieti. Da quella Parola che non ha avuto paura di diventare carne, al contrario si è immolata e data in nutrimento per tutti e tutte noi. Mi danno speranza le ultime righe scritte da Papa Francesco nella Christus vivit, che torno a leggere spesso e con esse concludo:
Cari giovani, sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso. Correte «attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente.
Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci».
* Giacomo Bandini (1993) nato e cresciuto a Busto Arsizio, vive a Milano. Appassionato di viaggi e letteratura, ha coordinato per alcuni anni un progetto di mediazione di conflitti in Albania, promosso da Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII. E’ autore del libro autobiografico “Uno zaino per Leopoli” (editrice MnM Print, 2023, 152 pagine)