A Verona il Vescovo Zenti non sa cosa siano i cristiani adulti!
Riflessioni di Pasquale Nascenti
Risale al 18 giugno la pubblicazione della lettera di mons. Giuseppe Zenti, vescovo di Verona, inviata ai sacerdoti della diocesi che comunicava la morte di un confratello conterraneo. L’occasione è parsa propizia al vescovo per dire la propria, favorito dalla congiuntura con il ballottaggio delle elezioni amministrative (26 giugno) su alcuni temi, intervento che a molti è sembrato un vero e proprio assist al sindaco uscente candidato di destra Federico Sboarina, poi sconfitto dal candidato di sinistra Damiano Tommasi.
Mons. Zenti fa notare nella sua lettera come sia “dovere far coscienza a noi stessi e ai fedeli di individuare quali sensibilità e attenzioni sono riservate alla famiglia voluta di Dio e non alterata dall’ideologia del gender; al tema dell’aborto e dell’eutanasia; alla disoccupazione, alle povertà, alle disabilità, all’accoglienza dello straniero; ai giovani; alla scuola cattolica, a cominciare dalle materne. Queste sono frontiere prioritarie che fanno da filtro per la coscienza nei confronti della scelta politica o amministrativa”.
L’intervento ha attirato l’attenzione del mondo politico e social che non hanno mancato di esprimere aspre critiche sulle parole del vescovo. Mons. Zenti non è nuovo a questo tipo di uscite. Già nel 2015, in circostanze elettorali similari, aveva inviato una lettera agli insegnanti di religione della diocesi, invitandoli a sostenere il candidato politico di destra di cui ne condivideva il programma. In quell’occasione anche diversi sacerdoti della diocesi avevano mosso le loro rimostranze.
Ci sono molti aspetti su cui si potrebbe riflettere. Il vescovo di Verona compie una scelta precisa sia nella scelta dei temi elencati ma soprattutto nel modo che utilizza per farlo: dare delle indicazioni e porle come un doveroso aut-aut per la coscienza, come uno spartiacque che separi gli elettori cattolici dai non cattolici.
Questa modalità, cioè quella che assegna priorità alle idee e poi alle persone, rischia di non tenere in debito conto il confronto su temi così importanti partendo dall’esperienza, ma continuando a scegliere la modalità divisiva delle idee chiare e distinte.
Ma la cosa più problematica è pensare che dei cattolici adulti seguano questa via indicata dal vescovo. Non mi riferisco ai contenuti ma alla modalità. È così difficile provare a pensare la comunità dei credenti come composta da cattolici adulti in grado di aver elaborato, proprio in quanto laici, un pensiero maturo, così come d’altra parte ci insegna il Concilio Vaticano II?
Lo stesso papa Francesco qualche anno fa aveva richiamato la necessità di rinforzare l’assunzione delle responsabilità che competono ai laici: “I laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno del Vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo! Hanno invece tutti la necessità del Vescovo Pastore!”.
Questo invito a non cedere alla clericalizzazione del ruolo del laicato comporta una grande responsabilità nel pensare la fede e il Cristianesimo che comporti scelte storicamente situate, per quanto imperfette, con la consapevolezza di cooperare al bene comune. Quanta strada ancora devono fare i laici per potersi veder riconosciuto questo compito di responsabilità?