A Verona un dibattito su “Cittadinanza inclusiva: il ruolo delle Teologie”
Articolo di Giuseppina D’Urso* pubblicato su Adista Segni Nuovi”, n.19 del 25 maggio 2019, p.4
Nell’ambito del XV Festival Biblico (che si svolge in varie località del Veneto dal 2 al 26 maggio) si è tenuto il 4 maggio a Verona un Convegno organizzato dal Coordinamento delle Teologhe italiane (CTI), intitolato “Cittadinanza inclusiva: il ruolo delle Teologie”. Relatori il teologo e sacerdote Rosario Giuè, la suora ed economista Alessandra Smerilli, e la teologa Stella Morra. A introdurre e condurre la giornata la presidente del CTI, Cristina Simonelli.
Il tema di una città inclusiva si inserisce nel più ampio tema del Festival dedicato alla polis, molto attuale in un momento storico in cui riemergono forti istanze identitarie nazionalistiche e culturali che mirano a erigere confini, nonché barriere di esclusione di categorie di esseri umani non ritenuti per varie ragioni (colore della pelle, sesso, genere, religione) conformi ai canoni che statuiscono la normalità. Difatti viene percepita una perdita di normalità che provoca crisi in una società in difficoltà sotto i profil economico, istituzionale e valoriale. L’uno a causa dell’altro.
Ma quale ruolo possono avere le teologie per rendere le città un luogo di inclusione in cui siano garantiti i diritti non solo sociali, ma anche soggettivi di ciascuno nella sua unicità e particolarità?
Dal dibattito del mattino, aperto a tutti, è emerso che tale ruolo deve essere sovversivo, anche contro l’eccesso di autorità di una parte della Chiesa, cui conseguono un eccesso di potere delle curie e il clericalismo.
Piuttosto forte l’intervento di Rosario Giuè in difesa dei valori della Costituzione come argine a ogni rigurgito fascista e nazista, ricordando il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer che si è sporcato le mani per difendere la dignità umana in epoca nazista, morendo per questa difesa. Nonché prendendo esempio dalla Teologia della liberazione dell’America Latina che ha reinterpretato la teologia partendo dagli ultimi, dai poveri, dagli esclusi per trasformare il mondo.
Quei poveri e quegli esclusi al centro dell’intervento di Alessandra Smerilli, focalizzato sulle disuguaglianze create anche dai presunti processi di meritocrazia (termine logoro), che generano nuove forme di marginalizzazione. In quanto la logica della somma di intelligenza e merito non è sempre così lineare e provoca situazioni di discriminazione. Distanti dall’insegnamento evangelico dei talenti secondo il quale a chi ha ricevuto di più sarà chiesto di più: infatti ognuno possiede una virtù. E il cooperare di tutte le virtù è la società umana.
Società che si basa, secondo Stella Morra, sul concetto di comune, un concetto da recuperare inteso come quel territorio di inclusione perso nel tempo, schiacciato fra pubblico e privato realtà che sottostanno invece a logiche di esclusione del diverso. La teologia deve uscire dalle accademie, e non rimanere solo nelle biblioteche, per aprirsi a orizzonti inclusivi e plurali, transgenerazionali fondamento del comune.
Nel pomeriggio, riservato a iscritti, gli stessi relatori si sono confrontati con tre interrogazioni-relazioni riferentesi sempre al tema oggetto del Convegno. Tre interrogazioni attente al compito che deve avere la predicazione nelle Chiese (intervento di Erica Sfredda, pastora della Chiesa valdese), alla questione di chi ha un’identità e un orientamento sessuali diversi (intervento di Giuseppina D’Urso, coordinatrice del Gruppo Kairos, cristiani omosessuali di Firenze) e alla difesa francescana (di Assisi) della Casa comune costituita dalla Terra (intervento di Jessica Trombatore, insegnante di religione in una Scuola primaria).
Il Vangelo contiene un messaggio liberante inclusivo, ne consegue che anche la predicazione deve contenere tale messaggio. Storicamente la predicazione si è basata sulle categorie culturali dell’Occidente, visioni del mondo eteronormate, sessiste, eurocentriche. Un’ortodossia escludente omosessuali, donne o immigrati, vittime di pesanti forme di emarginazione. Ma il Vangelo non può essere adattato a stereotipi culturali, bensì fornire un modello super partes: la vocazione e la pienezza della fede sono aperte a tutt*. Come spesso accaduto in ambito riformato dove la predicazione è permessa ai non consacrat*, e il ruolo di pastore allargato alle donne.
Ma che spazi di inclusione sono concessi a omosessuali e a chi manifesta una diversa identità sessuale? La Chiesa è un reale luogo di cittadinanza, dove gli appartenenti possono chiamarsi cittadini, portatori di diritti? Domanda cui è difficile rispondere e che solleva dubbi e perplessità, almeno da un punto di vista delle dinamiche storiche. Il Gruppo Kairòs, cristiani omosessuali, più che cittadinanza sperimenta accoglienza, a macchia di leopardo e in alcune comunità, con le ambiguità che questo termine comporta, come quella di un possibile sentimento di superiorità da parte di chi accoglie. Il tentativo è quello di essere ponte fra due mondi, fede e omosessualità, considerati in opposizione fra di loro, stante almeno alcuni passaggi del Catechismo della Chiesa cattolica secondo i quali gli atti omosessuali sono “intrinsecamente disordinati”.
Forse sarebbe meglio affermare come il Gruppo, nel porsi come tramite, abbia ricevuto e offerto amicizia dalle e alle comunità ecclesiali che hanno aperto le proprie porte, all’interno di un clima parzialmente mutato nella Chiesa grazie all’azione di papa Bergoglio. Questo cambiamento ha permesso il nascere di pastorali specifiche per credenti omosessuali. L’obiettivo tuttavia è quello di una “convivialità delle differenze” (don Tonino Bello) dove tutti si riconoscano “Uno” in Cristo nel rispetto delle tante diversità che caratterizzano l’umanità intera. Entro un messaggio di amore universale che non abbia confini.
Un messaggio vissuto come Alter Christus da Francesco d’Assisi, chiamato a “riparare la Chiesa”, che si spoglia delle vesti borghesi per andare incontro agli ultimi, divenendo paradigma di un Cristianesimo inclusivo e di un dialogo interreligioso, che oltre a essere rispetto per l’umano sono anche rispetto per la Casa comune Terra. Per cui Francesco è stato nominato patrono dell’ecologismo, contro ogni sfruttamento delle risorse. Uno sfruttamento che conduce a squilibri economici e al conseguente impoverimento di ampie fasce di umanità. Di fronte ai quali il santo di Assisi si presenta come modello di un rinnovato socialismo.
Ma per affrontare le questioni poste è necessario un pensiero maturo che formi a una libertà di coscienza, senza timore di perdere qualcosa e senza guardarsi indietro. Un pensiero che più che su principi astratti, e su ideologie, faccia perno sull’esperienza delle persone, sulla vita vissuta, sul Vangelo. L’”Evangelii Gaudium” chiede di creare nuove strade, nuove prassi assumendosene la responsabilità, rileggendo il Vangelo a partire dalla vita. Battendosi per creare un mondo più giusto in cui non sia necessario né dire di essere omosessuale, perché non vi è differenza con un eterosessuale, né di conseguenza bussare ad alcuna porta per fare coming out.
Il compito delle teologie diventa quindi quello di aprire delle fratture all’interno di mondi come quelli del Magistero e delle tradizioni per fare entrare idee innovative, per affermare che le cittadinanze sono tutte uguali, e portare alla conversione di chi si trova all’interno di quei sistemi.
* Giuseppina D’Urso è membro del gruppo Kairos – Firenze, volontaria dell’Associazione “La Tenda di Gionata”, nonché di Pax Christi Italia.