Abdellah, il Marocco, l’omosessualità e “colui che è degno di essere amato”
Articolo di Jean Zaganiaris pubblicato sul sito Liberation (Marocco) il 5 gennaio 2017, libera traduzione di Marco Galvagno
Il nuovo romanzo d’Abdellah Taia s’intitola Celui qui est digne d’etre aimé (Seuil, 2017) e fa riferimento a un nome: Lahib. Attraverso il filo conduttore dell’amore, della resistenza, del disincanto e della redenzione ci porta con brio in una grande festa letteraria in cui Eros e Thanatos conducono le danze. Il romanzo è costituito da una serie di lettere che Ahmed, un quarantenne marocchino, che vive a Parigi, scrive e riceve. Attraverso questo scambio epistolare in cui le anime si mescolano, si penetrano, si colonializzano o costituiscono legami di meticciato Abdellah Taia ci restituisce le atmosfere ambivalenti di un’esistenza segnata da quella che il sociologo Abdelmalek Salah chiama la duplice assenza.
Assenza del paese d’origine che ha lasciato definitivamente, assenza del paese che lo accoglie, ma non sarà mai il suo ed esige da lui più l’assimilazione dell’integrazione. Per Ahmed la duplice assenza è legata a una disistima di se stesso. “Ho quaranta anni e sono diventato un freddo calcolatore”.
Invidia i genitori che sono rimasti al paese anche se le loro condizioni di vita non sono così facili come in Francia. Ahmed scrive alla madre appena deceduta e al suo ex amante Emmanuel, parla loro del sentimento di privazione che avverte nella sua vita quotidiana. Lasciando il Marocco ha perso qualcosa della propria identità, cultura, essenza e forse anche della propria anima. Ha adottato gli schemi di pensiero, linguistici e gli atteggiamenti dei parigini.
È diventato il gay che Emmanuel desiderava avere al proprio fianco: si mette il profumo che piaceva lui e accetta di farsi chiamare Miloud. Ahmed suonava troppo arabo per i radical chic di sinistra che frequentava con Emmanuel, per carità a parole erano contro il razzismo, ma non davvero aperti all’altro. Scrivendo alla madre dalla Francia, nel momento stesso in cui in Marocco le stanno facendo il funerale, le parla del rancore, della sofferenza provata alla morte del padre, che è sempre stato trattato da lei come una nullità.
Questa figura materna, capace di rovesciare i rapporti di genere e di evirare simbolicamente la mascolinità, è presente anche nel Jour du roi. Altre tematiche presenti nei romanzi precedenti a Celui qui est digne d’etre aimé vengono riprese: il modo di vivere la propria omosessualità tra due culture, il possesso amoroso, la scoperta della sessualità. La scena in cui Ahmed ricorda i primi slanci amorosi è bella, erotica e emozionante. Taia non è mai stato così vicino a Proust. Il cimitero vicino al marabù Sidi Ben Acher, in cui i due adolescenti si nascondono per fare l’amore ( simile al bosco del Jour du roi) ha lo stesso gusto della madeilene assaporata dal narratore della Recherche nell’infanzia e in cui cerca di ritrovare le sensazioni perdendosi nei corpi delle donne o nei paesaggi che lo circondano. Il desiderio è una questione di disposizione, di possesso, ma anche perdita di controllo e abnegazione. Ahmed voleva che Emanuel fosse suo, ma non aveva previsto che lui stesso sarebbe diventato un altro. “Vivo in una strana nostalgia. Nella mancanza di quel atro che si pensava io diventassi prima d incontrarti e che non sono mai divenuto”.
Nella lettera di rottura indirizzata a Emanuel Ahmed descrive la propria rabbia e umiliazione. Narra le violenze del neocolonialismo e la sua voglia di vendicarsi di quei francesi condiscendenti che si recano in Marocco solo per portarsi a letto dei giovani marocchini, condurli in Francia e usarli come giocattoli sessuali da plasmare a proprio piacimento.
Il passaggio in cui evoca la figura di Gérard, funzionario all’ambasciata francese di Rabat, che risiede in una villa sontuosa e ha rapporti sessuali con minorenni come Lahib, al quale rovinerà la vita, vuol essere una condanna netta della pedofilia, ma anche un invito a non confondere le violenze sessuali che ledono l’integrità dei bambini e ragazzi, con i rapporti consenzienti tra due adulti dello stesso sesso che provano un desiderio reciproco. Ahmed vuole vendicarsi della violenza “gallica”.
Farà soffrire Vincent che gli scrive una lettera toccante, mentre lo sta aspettando nel bar La Veilleuse, vicino alla metro di Belleville. Vincent sa che Ahmed non verrà e che la loro storia è finita (leggendo questo brano mi sono detto di aver avuto più fortuna, Abdellah è venuto all’appuntamento al bar La veilleuse e non solo, mi ha anche regalato il libro).
Vincent scrive tutto l’amore che prova nei confronto dell’ex amante. Anche lui è stato posseduto e gli è piaciuto: “A dir la verità tutto questo non era più sesso, era un’altra cosa che non riuscivo a definire sul momento. Più tardi avrei avuto il tempo di ritornare su quello che provavo allora e di cercare di capire. Davanti a te nella vasca da bagno, tra vertigine e confusione, mi sono abbandonato dolcemente stregato o no, ho ceduto di mia propria volontà, ti ho dato le chiavi”.
Il personaggio di Vincent mostra, secondo noi, che il romanzo di Abdellah Taia non è un pamphlet di quei militanti che denunciano il neocolonialismo, si iscrive nella stessa ambivalenza della storia della follia di Edouard Louis, in cui l’evocazione di un personaggio violentato da un maghrebino viene accompagnato da uno sguardo, non certo compiacente sul razzismo di stato. Come sottolinea Didier Eribon in Théories de la littérature non bisogna confondere le parole dello scrittore e le parole dei personaggi. Non è Taïa che si esprime attraverso le lettere di Ahmed, è per noi Lahbib, il personaggio principale di questo romanzo dal gusto prustiano. Vincent ci mostra che la loro storia sarebbe potuta andare diversamente se avesse avuto il tempo di dire a Ahmed che anche suo padre era marocchino, e che lui aveva una grande passione per la lingua araba e la cultura marocchina e che il suo desiderio dell’amato non aveva nulla a che vedere con il neocolonialismo.
Più della sua identità e della sua cultura Ahmed ha perso la capacità di amare gli altri in maniera innocente. La vera sofferenza, quella che prova Ahmed nella piscina municipale, non è solo legata a una ricerca identitaria, che non porta a granché, soprattutto se si inserisce in un quadro di risentimento, ma è anche un’impossibilità di abbandonarsi all’amore. “ Sono sempre qui, a quaranta anni tra due paesi: La Francia e il Marocco, senza domicilio fisso, senza amore sicuro, senza storie d’amore legittime e niente che mi appartenga. Sono perso dal momento della partenza, dal tuo ventre Marocco, e in Francia più che mai”.
Si può amare in un mondo in cui gli individui non hanno il sentimento di vivere in un mondo comune? Taïa pone la domanda, ma non ci dà la risposta e ci invita a preservare la memoria, pur dolorosa che essa sia.
Ma forse può essere diversa nel suo libro Sans Contrefacon (Casa, Express 2001) dove Zakya Gnoui racconta una storia di una coppia mista in cui i corpi si mescolano, diventano meticci, costruiscono da sé la propria armonia e i loro stuzzicarsi reciproco va al di là delle alienazioni identitarie. Forse non sono gay, non sono un marocchino, non sono un grande scrittore caro Abdellah, ma so fare l’amore in arabo soprattutto quando scrivo, proprio come te, fratello, uomo e amico mio. E auguro un grande successo a questo romanzo senza dubbio, uno dei tuoi più emozionanti.
Testo originale: Dans le fond de la piscine