Abdullah Abenyusuf: “All’ingresso di una moschea non chiedono se sei omosessuale”
Intervista di Albert Torras a Abdullah Abenyusuf, scrittore e blogger musulmano spagnolo, pubblicata sul blog soygayycreoendios (Spagna), libera traduzione di Dino
Benché le mie convinzioni – e il mio ambiente socioculturale – siano il cattolicesimo, non potrei perdere l’opportunità di confrontarmi con altre Chiese di radice cristiana, e anche con altre religioni. Così devo dire che, mentre in seno alla Chiesa cattolica è stato molto più facile incontrare voci contrarie all’inclusione dell’omosessualità nella Chiesa, è stato molto più difficile incontrare queste voci nell’Islam.
Nessuno dei capi religiosi che focalizzano i loro discorsi incendiari sulla decapitazione degli omosessuali ha voluto concedermi un’intervista. E questo costituisce un problema al momento di controbattere ad alcune opinioni. E’ certo che l’intolleranza spesso si associa ad una volontà di chiudersi e di non consentire il dialogo, ne una libera conversazione, e nemmeno soltanto uno scambio di opinioni.
Abdullah Abenyusuf è una di quelle persone che mi hanno aiutato a comprendere come dall’Islam si possono mediare delle soluzioni fattibili per la piena integrazione della realtà omosessuale in una comunità religiosa così diversa, come è quella musulmana.
Molte persone pensano che l’Islam sia radicale, anche se poco a poco i pregiudizi stanno cadendo. C’è un altro Islam tollerante, aperto e sensibile a temi come l’aborto, l’omosessualità, il femminismo, il divorzio, ecc.?
Se intendiamo parlare di quella che è la comune percezione dell’Islam nelle nostre società occidentali, io contestualizzerei questa generalizzazione e direi che è un effetto post-11 settembre. Però questa errata percezione non è inevitabile, può infatti essere corretta grazie ad una migliore reciproca conoscenza tra le società occidentali e quelle musulmane. In quanto ai pregiudizi, non so se aumentano o se scompaiono, credo che dipenda molto dalle determinate situazioni politiche nei vari paesi, perché in alcuni paesi come l’Italia, la Francia e la Svizzera, per non parlare degli Stati Uniti, l’islamofobia ha raggiunto i livelli dell’antisemitismo “classico” (l’antisemitismo che era comune nell’Europa industrializzata prima del nazismo), mentre in altri paesi l’Islam cresce ed è sempre meglio percepito dalla società, come avviene ad esempio in molti paesi dell’America Latina.
In quanto a sapere se esiste un Islam “tollerante, aperto e sensibile”, una volta di più credo che la risposta deve essere formulata in funzione dei diversi paesi e del grado di libertà pubblica che sussiste nella quotidianità della cittadinanza. Con ciò intendo dire che nei paesi con un grado apprezzabile di libertà e di diritti riconosciuti, come la Germania, la Spagna o la Gran Bretagna, all’interno della popolazione musulmana, di origine immigrata oppure no, esiste un’ampia diversità di posizioni sulle questioni sociali, politiche, culturali, educative, sanitarie, ecc.
Se cerchiamo di tracciarne una radiografia, possiamo trovare gruppi di popolazione musulmana che non hanno un’identità islamica che possa differenziarli dal resto della popolazione di tradizione post-cristiana atea, cioè che vivono la loro identità musulmana (o post-musulmana) legata al loro cognome e al nome di battesimo. Per queste persone l’Islam può essere perfettamente “tollerante, aperto e sensibile” oppure no, ma forse provano indifferenza o addirittura disagio di fronte all’idea di dover esprimere un’opinione su qualcosa che considerano come non far assolutamente parte della loro vita.
Nella popolazione musulmana che si autopercepisce come tale, oltre ad una maggioranza di musulmani liberali più o meno praticanti, che si distribuiscono tra posizioni politiche e culturali che vanno dal laicismo socialdemocratico siono al conservatorismo moderato e al tradizionalismo islamico apolitico e/o fondamentalista, esiste un Islam minoritario e nello stesso tempo molto interessante, che è in piena sintonia con i movimenti emancipatori femministi, con quelli di estensione dei diritti sociali e che lotta contro gli effetti più nefasti del capitalismo, l’insieme di correnti che solitamente è definito “antiglobalizzazione”, e che spazia dagli anticapitalisti fino agli ecologisti, passando per gli attivisti a favore dei diritti umani e contro i discorsi neocolonialisti, per i quali la lotta del popolo palestinese è un fondamentale riferimento.
E nel caso dell’omosessualità?
La lotta per il riconoscimento dell’omosessualità e contro l’omofobia è un indicatore fondamentale del grado di reale impegno contro tutte le discriminazioni manifestato in queste prese di posizione individuali e collettive di persone musulmane. Mi focalizzerò su un esempio molto significativo.
Tariq Ramadan, che potrebbe aver raggiunto un ruolo legittimo di referente intellettuale dell’Islam europeo, ha perso in questo senso ogni credibilità presso molti di coloro che noi cerchiamo di coinvolgere per l’organizzazione dell’Islam progressista in Europa, date le sue posizioni eccessivamente vigliacche riguardo all’omofobia. Noi musulmani non possiamo accettare che si cerchi di risolvere, come è stato il caso di Tariq Ramadan, in modo acritico (senza nemmeno un’esegesi indipendente del testo coranico) senza la revisione dell’omofobia imperante nella legislazione dei paesi islamici, limitandosi a chiedere “rispetto alle persone”, ma allo stesso tempo rifiutando l’omosessualità come “non-islamica”.
Perché fanno questa affermazione?
Disgraziatamente, il problema principale, che essi non riconosceranno nemmeno, è puramente politico :n on è riconducibile all’islamismo, perchè Tariq Ramadan e molti come lui non credono che potranno avere una maggioranza sociale appoggiandosi ai musulmani d’Europa che pensano bene dell’omosessualità. Questa è una questione fondamentale, perché l’omofobia non trova posto in nessuna corrente realmente emancipatrice. Personalmente non ho alcun dubbio che l’Islam possa essere assolutamente emancipatore ed essere uno strumento utile nella lotta a favore dell’uguaglianza e della giustizia.
Cosa succede nei paesi a maggioranza musulmana?
Quanto all’omosessualità, essa solitamente è condannata praticamente nella totalità dei paesi in cui la popolazione è in prevalenza musulmana. In Libano, un prestigioso giornale di sinistra si mette in luce grazie ad una lotta instancabile contro l’omofobia, ma in altri paesi dove la libertà di stampa praticamente non esiste e i giornalisti e gli intellettuali vivono continuamente sottoposti ad un regime di libertà vigilata, le testimonianze degli omosessuali sulla stampa sono ancora un argomento tabù che può portare alla chiusura della pubblicazione, quando non avviene una previa autocensura. In Marocco il dibattito è bloccato da oltre dieci anni, per diretta responsabilità del monarca Mohammed VI, che è colui che decide cosa è islamico e cosa non lo è.
Nella blogosfera araba, che è quella di cui posso parlare con un minimo di conoscenza, i blog scritti da omosessuali dichiarati e che trattano tematiche proprie dell’omosessualità compaiono e scompaiono, sia per motivi personali, che per pressioni della polizia e di altri apparati repressivi degli Stati.
L’Iran è uno dei paesi che puniscono l’omosessualità in modo più crudele, con l’assassinio, cosa che condiziona anche la lotta delle femministe che a volte, per paura o per pragmatismo, preferiscono non entrare nella questione dell’omosessualità. E’ comprensibile, ma non lo si può accettare come una fatalità, e in questo senso il nostro appoggio deve anche essere una ragionata esigenza che [le femministe] includano questo capitolo nelle loro rivendicazioni portate avanti nell’ambito della giustizia, della politica e dell’educazione. Allo stesso tempo la situazione politica dell’Iran, dalle ultime elezioni presidenziali del 2009, è enormemente instabile, per cui non è facile sapere che evoluzione avranno gli avvenimenti in questo terreno specifico.
Quali strade ha un musulmano per praticare la sua fede senza rinunciare alla sua omosessualità?
Credo che egli non dovrebbe “rinunciare alla sua omosessualità”, poiché un musulmano omosessuale ha il diritto di essere com’è. Ma non vedo del resto cos’altro possa fare che non sia una brutale repressione del suo desiderio naturale, repressione che non può che avere conseguenze psicologiche terribili. Però io non mi trovo nei panni di un musulmano che vive in un paese dove l’omosessualità viene castigata, cosicché mi asterrò dal dare molti consigli pratici.
Ne darò soltanto uno: una persona sincera non mente, ma nemmeno ha bisogno di esporsi inutilmente in una lotta persa in partenza contro un sistema kafkiano. Questa mia affermazione può ricordare un poco il triste “Don’t ask, don’t tell” dell’esercito statunitense, ma non vedo che reale alternativa esista nei paesi dove, secondo i loro criminali sistemi legali, l’omosessualità può portare alle persone il carcere, la tortura o la morte.
E nei paesi occidentali?
Qui un musulmano può perfettamente vivere una relazione di coppia o sposarsi, condurre la vita del tutto normale che qualsiasi cittadino può aspettarsi ed essere un musulmano esemplare, se è capace di non lasciarsi condizionare dall’omofobia eventualmente presente nel suo ambiente e di contare sulla giustizia, che a volte sembra essere carente, per denunciare qualsiasi discriminazione alla quale sia eventualmente sottoposto.
All’ingresso di una moschea non chiedono a nessuno se è omosessuale, ma è certo che in un quartiere o in un palazzo ci possa essere una pressione, più o meno velata, difficile da sopportare, soprattutto se si aggiungono altri fattori aggravanti, come la discriminazione nel mercato del lavoro per un magrebino o un africano, tanto per fare qualche esempio plausibile.
Di omosessuali musulmani maschi si sta parlando ogni giorno un po’ di più. Cosa succede con le lesbiche?
Evidentemente, il primo commento che si può fare è che soffrono una doppia discriminazione, in quanto donne e in quanto omosessuali, e in occidente possono anche essere discriminate per il fatto di essere musulmane. Da una ventina d’anni all’incirca esistono associazioni di lesbiche musulmane che stanno portando avanti un intenso lavoro di coordinamento, informazione e aiuto, soprattutto in Gran Bretagna, che è il paese in cui mi risulta che il dinamismo di queste organizzazioni sia maggiore, benché esse esistano anche in Canada e negli Stati Uniti.
Disgraziatamente gli enti locali, regionali o governativi preferiscono agire, piuttosto che con loro, con organizzazioni islamiche tradizionaliste, e in alcuni casi fondamentaliste, perciò esse dispongono di pochi mezzi, ma hanno una grandissima indipendenza, cosa che ha anche degli aspetti positivi.
Assolutamente non conosco la situazione del caso nel mondo arabo e in altri paesi a maggioranza musulmana. C’è da segnalare che, data la divisione sociale tra generi che esiste in molti contesti islamici retti dal patriarcato tradizionale, si crea il paradosso che il machismo emargina le donne, ma non conosce assolutamente i loro desideri, la loro sessualità e il loro reale vissuto.
Non voglio cadere in un luogo comune, ma talvolta c’è qualcosa di vero nella leggenda, tipicamente orientale, che trasforma gli spazi domestici e femminili in giardini segreti dell’erotismo tra donne. Non posso approfondire questo argomento, ma è probabile che noi uomini eterosessuali e omosessuali non sappiamo granché al riguardo. Si tratta comunque di raggiungere l’uguaglianza di diritti anche per le lesbiche, e quando questo avverrà, anche gli spazi pubblici saranno adeguati a tutti e a tutte.
Nel cristianesimo normalmente si usa l’interpretazione di certi passaggi delle Scritture per condannare l’omosessualità. Nell’Islam cosa dice il Corano al riguardo?
Sono tentato di rispondere in diversi modi a questa domanda. Da una parte avrei voglia di rispondere semplicemente che, in fondo, non importa “ciò che dice il Corano”, poiché gli omofobi in ogni caso invocheranno il Corano. Può risultare irrilevante “ciò che dice il Corano” anche da una prospettiva più seria, che si basa sulla convinzione che l’Islam è una filosofia integrale, nella quale l’importante sono le linee guida, che sono essenziali e atemporali, come può esserlo il Tao, e dove pertanto non ci sono ragioni che ci facciano deviare neanche in minima parte dalla via della giustizia e della pace totale. Ma c’è una terza ragione per non cercare “ciò che dice il Corano”, ed è semplicemente che il Corano non menziona mai l’omosessualità come tale (concetto clinico occidentale e storico, come ha evidenziato Foucault), ma si allude sempre al contesto della città di Lot, dove l’omosessualità sfuma nella molestia sessuale e nel tentativo di violenza verso gli ospiti di Lot; il rapporto sessuale senza coercizione di una coppia di adulti dello stesso sesso non è contemplato come una possibilità esplicita, ma questo non significa che la coppia omosessuale sia esclusa dal concetto di coppia (zawŷ).
Cioè il Corano non dice niente in proposito.
Non voglio dare l’impressione di evitare la domanda, mi metterei in una posizione cartesiana o ingenua. Prendo una traduzione del Corano, realizzata con rigore, che potrà essere giudicata in vari modi, ma che sarà valida ai fini dell’esperimento: la traduzione di Julio Cortés. Consulto l’indice cercando “Lot” e vengo rimandato per prima cosa alla sura 7, versetti 80-84. E’ un frammento interpretato dal traduttore come allusivo al peccato di sodomia, che è castigato da Allah (C 7:84). Ma l’interpretazione del passaggio è sorprendente. Dice Lot al suo popolo: “[…] Avete commesso una disonestà che nessuna creatura ha mai commesso prima? Certamente, per concupiscenza voi vi siete uniti agli uomini invece di unirvi alle donne. Sì, siete un popolo senza regola!” (C 7:81-82).
Quando leggiamo che si tratta di una “disonestà che nessuna creatura ha mai commesso prima” (e non si tratta di un’errata traduzione dall’arabo) chi può negare che siamo di fronte ad un versetto enfatico, esagerato, in definitiva ad un versetto ambiguo? Il Corano si divide in versetti chiari (di univoca interpretazione, muhkamat) e versetti ambigui, equivoci o metaforici (mutashabihat, dalla radice sha-ba-ha, rendere ambiguo). L’interpretazione dei versetti mertaforici spetta esclusivamente ad Allah, e nella comprensione del Corano non c’è temerarietà maggiore che interpretare come chiaro o univoco un versetto metaforico, come ricorda il Corano stesso (C 3:7). Come dice Wittgenstein in una sua famosa affermazione, “Di quello che non si può parlare, si deve tacere” (Tractatus logico-philosophicus, 1921). Qualsiasi deduzione dal testo coranico con l’intento di legiferare sull’omosessualità partendo da questi versetti ambigui costituisce una grave temerarietà, e ancor più quando serve per giustificare un discorso omofobo, che da un punto di vista etico può soltanto essere ingiusto. Credo anche che, anche se cercassi di farlo, non troverò mai un versetto univoco sull’omosessualità.
E la sharia?
La sharia è una questione un po’ più complicata, perché per alcuni, musulmani o non musulmani, è il “tutto va bene”, benché si presenti come “diritto islamico”. Che in molti paesi si compiano assassini in nome della sharia è già la prova che non condividiamo assolutamente lo stesso concetto di “sharia”. Vorrei riassumere la questione chiarendo che sì, effettivamente si fa riferimento ad hadit omofobi, e anche a racconti di castighi del Profeta ad omosessuali, che per inciso non reggerebbero l’esegesi filologica più basilare.
In alcuni paesi, la legge e i codici d’onore che derivano da questi testi sono osservati alla lettera, come in Arabia Saudita. In altri paesi ci sono più interpretazioni. Lei crede che tutti i paesi dovranno reinterpretare ciò che dicono i testi sacri tenendo la dichiarazione dei diritti dell’uomo lì accanto?
Non credo che per leggere il Corano si debba tenere aperta spalancata la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, visto che la discriminazione per ragioni di orientamento sessuale è un problema politico. Il governo dello Stato di Arabia Saudita è demenziale, e in questo paese non esiste una legge fondata sui principi basilari dell’etica. La dinastia è un monopolio del terrore esercitato sulla popolazione, specialmente sugli stranieri, che vivono situazioni di sfruttamento peggiori degli eccessi descritti da Engels nel XIX secolo sofferti dalla classe operaia in Inghilterra. Non c’è bisogno di essere particolarmente acuti per vedere che si tratta di un inferno molto ricco di petrolio il cui regime dovrebbe essere abbattuto, e ciò esige una soluzione anche di carattere politico, ma per ora le democrazie dell’occidente appoggiano questo regime.
Esiste molta poesia araba, soprattutto di epoca medievale, che contiene molto omoerotismo. In precedenza l’Islam era più tollerante di adesso?
Oso pensare che la poesia lirica araba classica sia una poesia omoerotica, che a volte può essere eterosessuale, dedicata a giovani schiave o più raramente a donne libere o spose, ma che in generale è dedicata a giovanotti o ad altri uomini: principi, magistrati, giuristi, ecc. In al-Andalus (area della Spagna meridionale chiamata così dai musulmani che dal 700 vi fecero incursioni, ndr), uno dei maggiori poeti è Ibn Quzman, che ha scritto molti poemi omoerotici, alcuni dei quali ci possono sembrare addirittura volgari.
Orbene, tutta questa tradizione omoerotica non costituisce il segnale di una tolleranza persa, un concetto anacronistico per il Medio Evo, ma del grado di inganno col quale l’omofobia si impose nella legge islamica per influenza della morale vittoriana britannica. Tuttavia, già prima del secolo XIX esisteva nella sharia una legislazione omofoba, ma in nessun caso si esprimeva con la forza e la brutalità con cui cominciò ad imporsi a partire dal colonialismo britannico e più in generale europeo.
Ha qualche altro esempio?
Per esempio l’accusa di sodomia contro il califfo al-Amin, all’inizio del secolo IX, che era impegnato in una guerra civile contro suo fratello al-Ma’mun, che alla fine vincerà questa guerra. Seguendo lo storico al-Tabari, l’accusa comincia a circolare per Bagdad quando la città è già accerchiata dalle truppe di al-Ma’mun, e i soldati cercano motivazioni per disertare e passare con la fazione che sta per vincere. Si comprende perciò che l’accusa è un pretesto per abbandonarlo, pretesto che risponde ad una motivazione politica, e che l’omosessualità di al-Amin, in un primo momento, non era stata un motivo per escluderlo dal suo diritto al trono.
Lei crede che Allah ami gli omosessuali?
Non ho il minimo dubbio che quando Allah ci giudicherà nel giorno della verità ricompenserà con il paradiso gli omosessuali che sono stati giusti, e là berranno bevande deliziose dalla mano onoratissima del Profeta. Anzi, gli omosessuali perseguitati per il suo amore sono martiri, e come tali andranno direttamente in paradiso: “Il credente, maschio o femmina, che agisce bene, entrerà nel Giardino e non sarà trattato ingiustamente neanche in minima parte” (C 4:124).
Come ultima riflessione, uno dei miei aneddoti preferiti sul mondo arabo è stata la sorpresa, camminando in estate per le strade del centro di Tunisi, di vedere coppie di amici che passeggiavano abbracciati per le spalle, tenendosi per mano e, il massimo della tenerezza, tenendosi per il dito mignolo. Questa è un’immagine che non vediamo nemmeno nella Chueca (quartiere gay nel centro di Madrid, ndr), e comunque, cosa darei per vederla più spesso nelle nostre città!
Testo originale: Abdullah Abenyusuf: “En la entrada de una mezquita nunca preguntan a nadie si es homosexual”