Abusi sessuali su minori, la Chiesa ora prova davvero a sradicare la piaga
Articolo di Giovanni Panettiere pubblicato su quotidiano.net il 25 febbraio 2019.
Comprensione della portata universale del dramma della pedofilia nella Chiesa, concretezza nella lotta a un crimine che mina la credibilità dell’intero popolo di Dio. Questo chiedeva ai partecipanti papa Francesco alla vigilia del summit vaticano sulla tutela dei minori, questo è ciò a cui in buona sostanza hanno assolto i presidenti degli episcopati nazionali, i vertici della Curia romana, i delegati dei superiori generali delle congregazioni e degli ordini religiosi.
Il rischio, che ci si limitasse a una dotta discussione sulle cause delle violenze da accompagnarsi all’ennesimo e ormai stucchevole atto di dolore per gli abusi e gli insabbiamenti, era dietro l’angolo.
Invece la sentita liturgia penitenziale nella Sala Regia del Palazzo apostolico è andata di pari passo con la visione teologica sulla responsabilità della Chiesa e soprattutto la messa a punto di strategie per prevenire e arginare l’orrore, ascoltare e accompagnare i sopravvissuti nel cammino di guarigione.
L’impegno, a conclusione dei quattro giorni di assise, è quello di curare l’aspetto psicologico dei candidati al sacerdozio, di scongiurare il fenomeno dei seminaristi che, allontanati da un istituto, con disinvoltura passano a un altro, di fissare percorsi separati per segnalare alle autorità superiori le molestie perpetrate da un vescovo, di denunciare gli abusi alle istituzioni civili(anche se permane la linea di chi chiede di attenersi scrupolosamente alle leggi civili dei singoli Paesi), di coinvolgere maggiormente i laici nel contrasto a un crimine così odioso e infine di rafforzare nei processi canonici il ruolo (ad oggi, in pratica inesistente) dei sopravvissuti alle violenze.
Durante il dibattito non sono mancate alcune note stonate che nell’Aula nuova del Sinodo però non hanno trovato un’orchestra pronta a eseguirle. Si pensi a chi ha cercato, in scia alla lettera dei cardinali tradizionalisti Raymond Burke e Walter Brandmueller e con l’appoggio di network americani ultraconservatori che diedero eco al dossier Viganò, di sostenere un nesso fra omosessualità e pedofilia. Finendo in tal modo in rotta di collisione con le acquisizioni scientifiche correnti e rendendo potenzialmente criminale una categoria tout court di uomini e donne, come ha fatto d’altronde rilevare il segretario aggiunto dell’Ex Sant’Uffizio, Charles Scicluna.
Perplessità ha suscitato anche l’affermazione di alcuni vescovi africani (nel complesso poco coinvolti nei lavori) su una sorta di ‘ossessione’ della Chiesa per gli abusi sessuali sui minori. Tali presuli hanno ragione da vendere nel pretendere ogni sforzo ecclesiale possibile contro altri attentati all’infanzia (bambini soldato e lavoro minorile), ma ragioni culturali (non si parla di sesso in pubblico così come non è neanche concepibile che il prete, spesso il baba del villaggio, molesti un piccolo) non possono far sospettare una qualche volontà di sottovalutare il problema.
Nel discorso finale del summit il Papa l’ha detto chiaro e tondo: la pedofilia è un fenomeno “abominevole”, storicamente diffuso purtroppo in tutte le culture e società. E, come si è piú volte insistito al summit, va affrontato in maniera collegiale e sinodale.
Calato il sipario sul vertice, ora l’attenzione si sposta sul follow up dell’assise. Padre Federico Lombardi, moderatore del summit, ha già fatto sapere che nei prossimi mesi saranno messe a punto delle prime iniziative concrete anti-pedofilia (per esempio, un motu proprio del Papa sui casi di abusi sui minori che riguardano la Curia romana e il Vaticano, un vademecum per i vescovi, l’istituzione in ogni diocesi di task force ad hoc).
Queste azioni raccoglieranno una prima eredità degli orientamenti usciti dal vertice e destinati ad andare oltre la semplice ‘tolleranza zero’. Un’espressione ad effetto, cara ovviamente ai sopravvissuti agli abusi, ma che, come evidenziato da alcuni partecipanti al simposio, si concentra sulla sola fase punitiva della lotta alla pedofilia.
Questa battaglia comprende anche la prevenzione delle violenze e l’accompagnamento delle vittime (sulla via della guarigione) e, una volta condannati, dei loro aguzzini (verso il pentimento e la conversione). La prioritaria sete di giustizia non può e non deve annichilire tutto il resto.
La tentazione per la Chiesa, dopo la chiusura del summit, potrebbe essere quella del legalismo: pensare, cioè, di poter arginare la piaga (i preti-orchi forse continueranno a esistere), attingendo alle sole norme giuridiche e ai protocolli. Ma la differenza, per limitare molestie e insabbiamenti, con tanto di dossier distrutti (il cardinale Reinhard Marx ha sollevato il velo su una oscena verità), la fa una puntuale applicazione di leggi e linee guida, senza lasciar prevalere amicizie scomode o conati di clericalismo, perché, il Papa non ha dubbi, anche “un solo caso di abuso” nella Chiesa rappresenta una “mostruosità”.
Solo cosí il popolo di Dio, a cui va il merito, (anche sotto pressione dei media), di essere stato l’unico ente internazionale ad aver voluto approfondire a così alti livelli il dramma della pedofilia, potrà dirsi credibile nel suo candidarsi ad “affrontare con decisione il fenomeno sia all’interno sia all’esterno” di se stessa. Altrimenti saranno belle parole al vento. Anche se a pronunciarle è stato il Papa.