Ad un anno dall’Amoris Laetitia, riflettiamo su Chiesa, famiglia e persone lgbt
Appunti di Corrado Contini del Gruppo Davide di Parma per genitori cattolici con figli LGBT
I punti salienti degli interventi tenuti dai vari intervenuti alla Conferenza-Laboratorio su “Amoris Laetitia, famiglia e persone lgbt” (Torrazzetta, 24-25 settembre 2016) ad un anno dalla conclusione del percorso sinodale.
ANDREA RUBERA, portavoce dell’associazione Cammini di Speranza
Si è passati dallo stato di attesa e di invisibilità allo stato propositivo con due documenti presentati uno prima del sinodo straordinario ed uno prima del sinodo ordinario. La mia sensazione soggettiva che il giubileo della misericordia sia stato indetto per stemperare l’effetto negativo del sinodo straordinario. Nessuna condizione umana è esclusa dal disegno di Dio questa è una frase che Papa Francesco ha ripetuto nell’incontro con i delegati di Comunione e Liberazione.
La dottrina non si cambia ma si cambia la pastorale. Ci si incontra, ci si conosce, si stempera l’allarme sociale e poi da questo cambierà la dottrina. Il documento inviato (dai Cristiani LGBT) al sinodo prevedeva:
· accoglienza delle persone omosessuali e questo ha avuto una risposta nel numero 250
· La cura delle famiglie di genitori con figli omosessuali. Il problema è conosciuto e sta a cuore (n.250)
· il riconoscimento di una affettività omosessuale, con la speranza di una valorizzazione da parte della Chiesa, come veicolo di benessere per chi la vive e per chi sta vicino a queste coppie
· l’accoglienza di coppie omosessuali: come possono usufruire dello stesso servizio che la comunità offre alle altre coppie?
· Contrasto all’omofobia. Dopo la strage di Orlando la gerarchia si è espressa esplicitamente contro la omofobia. Per la prima volta il vescovo Zucchi di Bologna ha usato la parola omofobia.
Quattro sono gli spunti fondamentali di novità di AMORIS Laetitia:
1. Riportare al centro la persona e non la dottrina.
2. La realtà è superiore all’idea.
3. Ricercare il bene possibile.
4. Inculturare nelle varie realtà la vita di fede poiché non è possibile dare una risposta univoca per tutto, ma devono essere conferenze episcopali a trovare e a proporre soluzioni.
Le situazioni fluide vanno governate. Occorre sostenere il percorso di cambiamento propugnato da Papa Francesco.
Occorre frequentare luoghi pubblici non chiudersi nelle catacombe, facendo decadere con la conoscenza reciproca le stigmate. Raccontare quello che siamo, le nostre vite, le nostre speranze, poiché le nostre vite concorrono alla crescita della vita della comunità come tutte le altre. Vi è un osservatorio dei giovani che è un punto privilegiato per leggere la realtà giovanile e da lì si evince come il 90% dei giovani viva con leggerezza il loro essere gay.
Gli animatori di pastorale che hanno contatto con la gerarchia possono svolgere un ruolo di mediazione. I vescovi possono promuovere percorsi in cui le persone si mostrano e si incontrano come sono. I genitori possono chiedere alle diocesi di poter ascoltare i loro figli così come sono. I teologi devono configurare un apparato concettuale autorevole e riconosciuto. Le associazioni laiche LGBT devono riconoscere che esiste una problematica per omosessuali credenti in rapporto alla loro chiesa, che la loro chiesa esiste e non va né derisa né demonizzata.
DAMIANO MIGLIORINI, filosofo e autore del libro “L’amore omosessuale”
Occorre andare alla ricerca di una idea fondante e costitutiva. Le persone LGB non richiedono una relativizzazione ideale riferita unicamente a loro. La domanda è: esiste un orizzonte veritativo che possa comprendere anche la loro esperienza, oppure la fede dei cristiani LGBT è una fede relativistica? È una fede relativa o è una fede oggettiva? Se non abbiamo un modello veritativo forte, siamo in difficoltà.
“Ipocriti! Sapete giudicare la terra e il cielo, ma non sapete giudicare il vostro tempo “ (Lc 12,56). Ci sono cose così evidenti che mi sembra strano non riusciate a capirle, questo sembra dire Gesù nel Vangelo di Luca.
Si scontrano due evidenze: quella che vivono i cristiani LGBT e quella su cui si basa la Chiesa e che per lei è fondamento della morale. Le persone LGBT hanno il fascino della persona di Cristo; Cristo è mediato dalla Chiesa e quindi credono nella istituzione. È una esperienza così intensa che pone un dilemma fondamentale: nessuna delle due identità è accessoria. Con il dispositivo teologico attuale l’incontro tra queste due identità è drammatico. La domanda che si pone allora è: chi inganna chi?
Occorre un discernimento profondo con una lotta a tutto campo. In questa lotta è fondamentale la riflessione che tutto ciò che permette alla persona di fiorire è benedetto da Gesù. C’è chi esce stremato da questa lotta ed esce da una dalla situazione relazionale ed esce dalla chiesa e talora esce dalla vita.
Posso avere una fede critica che si confronti con la mia coscienza? La mia coscienza e ben formata? L’esperienza del perdono e della conversione appare centrale. Dove si formano, dove fanno esperienza di perdono le persone LGBT ? Nel donare il perdono: perdono di sé, dei propri cari, della società, della Chiesa. Il passaggio fondamentale è da un lato la conciliazione del proprio SE’ e dall’altro la de-idealizzazione della Chiesa. Vivere l’amore di Dio come esperienza del perdono di Dio. Si arriva così alla liberazione del SE’ all’odio e dalla paura. Le persone LGBT fanno quella esperienza di grazia che hanno fatto i grandi peccatori.
Occorre riflettere sulla escatologia presenziale: l’effetto cioè che ha la salvezza sul mio vissuto odierno e sulla mia felicità presente. È un modo nuovo di vivere la propria fede costretta ad andare all’essenziale. La sintesi non è né relativistica né oggettistica perché porta a considerare in modo meno ingenuo il concetto di verità. Da un lato vi è una visione meno ingenua di quello che è evidente; dall’altro vi è la consapevolezza di una ragione che è fallibile e perciò deve essere letta con una attenzione al bene possibile delle persone già nell’al di qua.
Il concetto di ragione umile. La verità umana è fallibile. Dio è oggetto ma è anche soggetto della conoscenza. È lui che ispira la Chiesa nel processo di disvelamento di sé. Nel tempo terreno le singole posizioni si possono considerare infallibile finché non sono smentite. Vi è quindi un problema di pluralismo più che di relativismo. Vi è infatti un’ampia varietà di punti di partenza e di evidenze. A livello personale la coscienza individuale ha una forma strutturale di limitatezza. La sintesi è impossibile: è impossibile avere una visione unica del mondo attuale (vedi il riferimento di AMORIS Laetitia alla inculturazione della fede).
Occorre la consapevolezza della umiltà della mia visione che non può essere fatta valere come assoluta. Il conflitto tra singolo e Chiesa, singolo e dottrina, è contaminato dalla superbia. Il singolo apporta la propria visione; vi è un diritto fondamentale al dissenso nella teologia. Cristiani dissidenti sono quelli che hanno portato la Chiesa migliorare sé stessa, a scoprire le crepe e a correggerle. Se ci chiudiamo nel soggettivismo e nell’isolazionismo, non cresco io e non cresce la comunità.
MAURO CASTAGNARO, giornalista e collaboratore dell’associazione Noi Siamo Chiesa
Partendo da AMORIS Laetitia e dalla esperienza sinodale, occorre notare come questa esperienza sia stata una esperienza di Chiesa con due caratteristiche fondamentali: una esperienza di Chiesa diffusa ; un’esperienza di Chiesa caratterizzata dalla parresia, cioè dalla franchezza.
La riflessione generale che ne consegue è che stata un’esperienza promettente in base ai criteri generali, ma deludente rispetto al problema specifico dei cristiani LGBT: due soli capoversi sono ad essi dedicati, i 250 e il 251.
Tuttavia occorre anche considerare gli aspetti positivi che comprendono:
1. riportare al centro la persona e non la dottrina
2. la gradualità della esperienza della vita di fede che va misurata e accolta in quanto tale
3. il primato della realtà sulla legge
4. il discernimento (ai numeri 38,298,300), sia personale ma anche comunitario
5. il primato della coscienza
6. il primato della misericordia
7. ricercare il bene possibile
8. inculturare la fede nelle varie realtà
9. non tutto può essere sciolto dal centro e le varie conferenze episcopali locali hanno autorità dottrinale.
Il tema generale del rinnovamento è stato posto e questo và affermato con forza e non dobbiamo smettere di parlarne.
I gruppi LGBT hanno presentato bene il loro messaggio con una maggiore visibilità pubblica che comporta una presenza non più ignorabile. Esso rappresenta il settore più vivace del cattolicesimo di base. Si possono percorrere le seguenti strade:
· pregare insieme nella preghiera di tutta la comunità
· moltiplicare i gruppi
· spostare l’asse di incidenza sulla Chiesa locale
· interloquire con la conferenza episcopale italiana
· proseguire nell’approfondimento teologico e biblico
· sviluppare un’antropologia cristiana inclusiva
· i gruppi non si chiudano cerchino di lavorare con altri
· avere pazienza
dobbiamo essere consapevoli per raccontare quello che siamo e anche che siamo portatori di parti di verità. Siamo capaci di portare le nostre ragioni? Constatiamo il dolore inflitto alle coscienze e come la dottrina e le parole usate possono diventare un’arma. Siamo consapevoli di essere in esodo, verso una terra ancora non nota e che in questo cammino dobbiamo ripensarci come minoranza della minoranza. Occorre tornare all’essenziale, al cuore della nostra fede.
TESTIMONIANZE DEI GENITORI PRESENTI
· La esperienza del gruppo Davide per genitori con figli LGBT di Parma è nata da una domanda cruciale, tagliente, dolorosa che nostro figlio omosessuale ci ha fatto: ”cosa fate voi per me e per quelli che vivono una esperienza come la mia, voi che vi dedicate e vi prendete cura di tante coppie di fidanzati e di sposati ?”. È stata come una lama che ci è penetrata dentro, ci ha spinti ad uscire allo scoperto, diventare visibili. Da qui capiamo come la visibilità sia nel codice genetico del nostro gruppo. Un gruppo di genitori cristiani con figli omosessuali, con due coppie omosessuali, un credente omosessuale single ed un divorziato riaccompagnato. Ascoltarci, condividere insieme la nostra esperienza, riflettere all’interno di una prospettiva di fede comune della Chiesa, aprirsi ad altri gruppi ad altre realtà, confronarsi con gli operatori pastorali, confrontarsi con i vescovi della nostra e di altre diocesi, accogliere genitori e figli in difficoltà, questi sono i caratteri distintivi del nostro gruppo.
· Vogliamo essere noi stessi, non vogliamo più nasconderci. Viviamo la fatica del capire, del camminare in terreni sconosciuti. Noi pensavamo di dover educare i nostri figli, poi ci siamo accorti che sono loro ad educare noi e a plasmarci.
· A volte quest’esperienza di fatica e di scoperta, ci ha uniti, a volte ci ha divisi. Abbiamo vissuto il momento del coming out come momento di grande sollievo: abbiamo pianto, ci siamo abbracciati, è come se avessimo varcato il fiume. Noi abbiamo aspettato lui, che si manifestasse, ci siamo accorti anche che nostro figlio ha avuto la pazienza di aspettare noi. Il futuro che pensavamo oscuro si è mostrato come una ricchezza, un arricchimento e ci definiamo genitori fortunati.
· Sentiamo la volontà di essere di aiuto: il fatto che ora le cose vadano bene a casa nostra è troppo poco vogliamo che vadano bene anche a casa di altri. Vogliamo aiutare la Chiesa a diventare più inclusiva.
· Ci accorgiamo di essere come pionieri e in questo essere soli talora si vive un grande tormento. Per noi vale l’esperienza biblica degli ebrei esiliati a Babilonia che sperano e pregano di voler tornare a casa: le nostre famiglie si sentono come in esilio.
PADRE PINO PIVA , referente dell’équipe “spiritualità delle frontiere”
Occorre pensare ad una spiritualità delle frontiere prima ancora che parlare di pastorale delle frontiere; cambiare l’orizzonte per capire dove vogliamo andare. La Chiesa per sua natura e costituzione deve vivere nelle frontiere, nelle periferie esistenziali con la spiritualità dell’esodo, del cammino: camminare insieme verso altre persone, con altre persone.
Le frontiere accadono a causa di fraintendimenti: tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e l’uomo, tra la fede e l’esperienza umana.
Occorre domandarsi come mai c’è frontiera e non armonia? Dedicare la vita per abitare queste frontiere, abitare la fede e la ragione, abitare un posto e anche l’altro.
Occorre parlare in modo nuovo di Dio, parlarne per come è. Un confronto e un dialogo sono necessari, non lo scontro né il silenzio. La frontiera è un luogo di vita; la frontiera come luogo per la Chiesa.
Frontiera da frons cioè volto. Incontrare gli altri con un volto diverso dal mio che non posso possedere, ma di cui non ho paura. È un territorio sconosciuto ma affascinante ci porta a camminare verso una verità raggiunta insieme, una verità relazionale.
I primi cristiani non vengono inviati in Giudea, la terra dei giusti, ma vengono inviati in Galilea, la terra di frontiera, vengono inviati ai separati da Dio e ai pagani.
Occorre una umiltà della ragione, una accoglienza, una curiosità, la voglia di mettersi in discussione. La verità è davanti a me e si raggiunge insieme. Vi è il primato della coscienza; una norma generale e il caso personale; la realtà del bene possibile.
Il rapporto dialettico è un rapporto vivo e fecondo; il conflitto è una realtà che tuttavia rimane.
GIANNI GERACI, presidente del gruppo “Il Guado” di Milano
Passare le frontiere ma non di nascosto. Esplicitarsi e già un passare le frontiere. Non possiamo non credere che la Chiesa non sia capace di trovare il modo di vivere la nostra fede altrimenti non avrebbe una fede cattolica.
Dobbiamo assumere il il compito di testimoniare la fede con verità. La nostra fede deve essere inclusiva: “tu sei qui con me. Quello che io anelo è stare alla tua presenza”. La cosa più importante per Dio siamo il nostro NOI, con tutto quello che ci portiamo dentro.
Si aprono pianure sconfinate in cui camminare però occorre riconoscere in maniera esplicita la propria condizione, arrivare alla integrazione del SE’ omosessuale, con il SE’ credente, con il SE’ sociale, con il SE’ professionale.