“Adam, dove sei?” Ripensare l’umano
Articolo di Carlo Bolpin e Gianni Manziega pubblicato in “Esodo”, n. 3 di Luglio – Settembre 2018
1. Nei racconti biblici della creazione, l’adam (maschio e femmina), creato da Dio “a sua immagine”, è tentato di essere pari a Dio: onnipotente, autosufficiente, immortale. Ma che significa essere “immagine di Dio? Per i cristiani Gesù di Nazaret rivela il vero volto di Dio. E se il Figlio/Re ridicolizzato e messo in croce – solo per amore – come uno schiavo, tra due terroristi, è l’unico sacramento di Dio, l’uomo/donna risultano immagine di Dio se escono da se stessi, nella relazionalità, nell’amare l’altro, come il Figlio ama il Padre e l’umanità. Questa comunione d’amore è immagine di Dio.
L’uomo e la donna sono chiamati alla trascendenza, a partecipare alla vita divina, non a restare nell’immanenza, al farsi dio.
Nel primo racconto della creazione, immagine di Dio è la coppia, non il singolo io: nella relazione, nell’alterità sta l’identità dell’umano in quanto immagine di Dio. Il secondo racconto, redatto anteriormente al primo, riprendendo miti dell’ambiente circostante, mostra come la condizione umana sia segnata da una relazione malata, una conflittualità non risolta: l’uomo è creato prima della donna, che viene vista da lui come suo completamento, per la sua affermazione. Quindi: rottura della comunione tra diversità, riduzione dell’immagine di Dio al solo uomo-maschio, a cui è sottomessa la donna e il mondo circostante. Qui sta l’origine di ogni violenza e del dominio maschile sulla natura-oggetto. L’uomo-maschio non è “di fronte” alla donna, in relazione, ma la donna è la prima minaccia come altro da sé, da dominare.
2. Nella società patriarcale occidentale “cristiana” prevale l’immagine di Dio, e quindi dell’uomo – nel senso di maschio, bianco, proprietario – come creatore, che ha il potere di creare dal nulla (concetto che non c’è nell’ebraismo), fuori della relazione e delle differenze.
Progressivamente questa visione si è secolarizzata ed è prevalsa negli umani la volontà di farsi Dio, non più rappresentanti ma sostituti di Dio: tutto è ridotto alla dimensione dell’uomo, assolutamente autonomo, che non dipende da nessuno, neppure dalla donna, da cui appunto si divide. In quanto capace di “creare dal nulla”, conosce e lavora per utilizzare ogni ente, costruire un mondo nuovo, artificiale. Ha la sovranità su tutto, perchè il tutto ha senso in quanto gli serve.
La sua volontà di potenza è di creare-ricreare il mondo a sua immagine, seguendo solo la sua ragione e la sua volontà, senza limiti, di sovrano onnipotente.
Attraverso la scienza e la tecnica esercita il potere della conoscenza e del fare.
La libertà, sciolta da ogni vincolo e relazione, tende a voler trasformare il mondo (naturale e tecnologico) a proprio “vantaggio”, per la propria felicità.
La versione occidentale del cristianesimo, che sta alla radice del processo di secolarizzazione, ha quindi posto le condizioni per la propria stessa fine.
L’esito ultimo è la negazione del Dio biblico: forse rimane il nome di Dio usato strumentalmente come, appunto, immagine della potenza creatrice dell’uomo europeo, che è perciò anche violenta, distruttrice di chi non si assoggetta a questa sua azione. Eppure, accanto all’idea di potenza, l’Europa ha maturato anche un’altra idea: ha reso normativa, per regolamentare i rapporti tra Stati e tra persone, l’appartenenza all’unica famiglia umana universale e quindi la definizione dei diritti e doveri universali di uguaglianza, fraternità, libertà come fondamento costitutivo dell’Europa stessa. Fondamento che finora è rimasto, anche se negato nei fatti. Tanto che oggi ci dobbiamo domandare: cosa è umano? quali sono le forme di disumanizzazione derivate dalle tecnologie e dal potere economico?
3. Oggi una prima questione segna la crisi dell’Occidente, proprio con la vittoria della globalizzazione della sua cultura solo economica, e non dei diritti umani. Si perde la propria umanità se si perde la preoccupazione dell’umano che c’è nell’altro. Un esempio di grande attualità: gli immigrati sono scartati, non vengono riconosciuti i loro diritti, di cui dovrei farmi carico come
miei. Il riconoscimento reale dell’umanità dell’altro deve essere compatibile con il mio interesse, i miei diritti-privilegi, il “prima vengo io”. Ma se neghiamo l’umano in qualcuno, lo neghiamo a noi stessi: . Oblio e sconfitta dell’idea centrale costitutiva dell’Occidente, la globalizzazione dei diritti. Non per un’etica umanitaria, ma per l’esistenza di un’unica famiglia umana.
Una seconda questione: le rapide innovazioni tecnologiche, relative alla nascita, alla vita e alla morte, alla sessualità e alla relazionalità, mettono in discussione cosa è umano e cosa è artificiale. Il corpo (l’identità umana) rischia di essere sempre più appendice delle macchine; si pensa di raggiungere l’onnipotenza. La bioetica deve affrontare nuovi criteri e paradigmi, ma non basta più, occorre una riflessione biopolitica: come la politica usa il corpo e soprattutto quali effetti buoni e perversi hanno le biotecnologie sulla convivenza civile, sui diritti e i doveri dei cittadini, sulle nuove forti disuguaglianze (in particolare i più deboli come i bambini, le donne, i popoli poveri, gli scarti dello sviluppo, i profughi da paesi di guerra e dalla fame…).
I “progressi” non vanno demonizzati. La tecnologia, la robotica, l’Intelligenza Artificiale possono portare grandi conquiste sulla via della qualità della vita per l’intera umanità. Ma molti sono i problemi, i pericoli non controllabili, gli effetti perversi non prevedibili. Siamo tornati alla necessità impellente di ripensare in che consista l’umano. E quindi in che consista essere immagine di Dio.