Adolescenza e omosessualità: è tutto molto bello
Riflessioni inviateci da Massimo Battaglio
Mi capita di confrontarmi con numero crescente di studi a proposito di omosessualità e adolescenza. E’ un tema che affascina sempre di più gli studiosi, soprattutto di psicologia e scienze sociali. Mi colpisce però che l’adolescenza del ragazzo omosessuale viene quasi esclusivamente tratteggiata come un periodo difficile, tribolato, a rischio. Si parla di isolamento e rifiuto, di depressione, di alto tasso di suicidi. Si sottolinea la difficoltà dell’acquisire un’identità radicalmente diversa da quella dei propri simili e dei propri genitori. Ricorrono termini come vergogna, senso di colpa, carenza di autostima.
Molti ricercatori, presi forse da uno scopo fin troppo militante, tendono a descrivere l’adolescente omosessuale come un fanciullo disarmato che si trova a combattere con un esercito di giganti. E pertanto concludono che va seguito, analizzato, supportato, fatto oggetto di attenzioni specialistiche.
E’ tutto molto vero ma occorre precisare con chiarezza che tutti i problemi narrati non hanno nulla di “naturale”. Sono gli effetti di una società eteronormativa e apprensiva che tende non solo a patologizzare l’omosessualità ma la stessa adolescenza. Come dire: l’omosessuale è fragile; l’adolescente e fragile; l’omosessuale adolescente è fragilissimo; è a rischio.
E’ ora di metterla in positivo.
Far presenti i rischi che vivono i giovanissi gay o le giovanissime lesbiche alle prese con l’adolescenza è molto utile. E’ però necessario che si affianchino testimonianze positive, che ormai sono la larga maggioranza. Altrimenti sembra che non ci sia via d’uscita. Il rischio vero è che qualche genitore, qualche educatore, qualche prete, continuino a considerare come una missione il tentativo di distrarre il giovane dalla sua sessualità. Il pericolo è che cerchino, magari in buonafede e senza neanche rendersene conto, di “guarirlo” per sottrarlo al pericolo.
Provo a portare qualche bel segnale.
Negli ultimi anni, ho notato che il pride è sempre più popolato di ragazzi e soprattutto ragazze eterosessuali. Si sta verificando un fenomeno interessante: un compagno di classe ha fatto coming out; la cosa ha coinvolto tutti; si va tutti insieme al nostro primo pride. Non occorrono altre parole: è bellissimo! L’adolescenza di tutti questi giovani sarà senz’altro più serena, più colorata. E non parlo solo di quella dei giovani gay e delle giovani lesbiche, ma anche dei loro compagni. I quali avranno una marcia in più perché hanno imparato a vivere la diversità del loro amico come un elemento di crescita per tutti.
Le persone che vedo più preoccupate oggi non sono più i ragazzi ma i loro genitori. Ma la novità è che lo dicono apertamente. Non si nascondono più come se la famiglia fosse stata colpita da una calamità. Cercano aiuto. E anche questo è molto bello.
Ricordo alcune telefonate allo sportello d’ascolto di Arcigay da parte di altrettanti genitori. Prima di indirizzarli all’Agedo o a GeCO (e non a un gruppo di genitori cattolici, perché l’omosessualità è un tema sessuale, non religioso), li ascoltavo lungamente. Lasciavo che si sfogassero, aggiungendo solo qualche “sì, certo” per far capire che la cosa mi interessava. Poi chiedevo: “tuo figlio, come va a scuola?”. E la risposta, puntualmente, era: “mah, bene, ha la media del sette”. Seguiva breve silenzio. Il genitore stava capendo che i problemi grossi non erano del ragazzo ma del papà. Allora, il più delle volte era lui stesso a chiedere se esistessero gruppi di genitori con cui confrontarsi, da cui imparare.
“Ha la media del sette”. Anche questa è una novità. Ai tempi della mia adolescenza, noi studenti gay in erba ci dividevamo in due tipi. C’erano innanzitutto quelli con la media del cinque. Erano ragazzi che si lasciavano travolgere da un “problema” di identità che diventava il loro chiodo fisso, o giovani che rifiutavano deliberatamente una scuola ostile. E poi c’erano i secchioni come me, con la media dell’otto. Sentivamo il bisogno di dimostrare di essere comunque all’altezza. Vivevamo la nostra gaytudine come qualcosa da riscattare. Nel migliore dei casi, il ragionamento era: “Mi date del finocchio? Vi faccio vedere io, di cos’è capace un finocchio”. E nel peggiore, ci concentravamo sullo studio per riempire la solitudine.
Oggi sento sempre più giovani gay con “la media del sette”. Mi ripetono: “perché dovrei essere il migliore? Mi basta non essere considerato peggiore. Io mi sento e voglio essere uguale”. E questo è molto bello.
Non è tutto qui
Esistono ancora ragazzi che si vergognano o che hanno paura delle reazioni che potrebbero suscitare palesandosi. Ci sono ancora quelli della “media del cinque”, costretti a lottare contro un ambiente scolastico discriminante. C’è ancora molto bullismo; l’omofobia, invece di diminuire, aumenta. Troppi genitori cacciano ancora di casa i loro figli gay o fanno di tutto finché il figlio non si allontana da solo. Ma le testimonianze positive ci sono. La via dell’arcobaleno è aperta.
A tutti i giovani gay, e in particolare a quelli credenti
che vivono tuttora nella contraddizione tra un ambiente di provenienza in cui si sono trovati bene fino a ieri ma che ora li condanna, dico che c’è un brano che Gesù sembra aver riservato proprio a loro: “Alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28)