“Adorna thalamum tuum, Sion”. Prepara la tua camera da letto, Sion, perché arriva il tuo Sposo
Riflessioni di Luigi Testa
Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: «ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore»; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore (Lc 2,22-24).
Due tortore e due colombi – l’offerta dei poveri. «Se non ha mezzi per procurarsi una pecora o una capra, porterà al Signore due tortore o due colombi» (Lv 5,7). Perché dalla notte dell’Esodo, ogni maschio primogenito è preparato per il Signore: è suo.
Ma due tortore e due colombi, o una pecora per i più ricchi, bastavano a riscattarlo. Dio è sempre sproporzionato nell’amore, è sempre sbilanciato. Punisce fino alla quarta generazione, ma usa misericordia fino a mille generazioni (Dt 5, 9-10). Ti dà indietro il figlio primogenito, e in cambio gli bastano due tortore o due colombe.
È bastato così poco, Gesù, perché tu fossi tutto di Maria e di Giuseppe, perché tu fossi tutto nostro, tutto mio. Il prezzo del riscatto è versato, e non sei più del Padre, non sei più separato, «sacro al Signore». Sei tutto mio. Sei la mia ricchezza. Sei il mio tesoro. «Il mio amato è mio e io sono suo» (Ct 2,16).
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore (Lc 2, 25-26).
«A Gerusalemme». È la prima volta che ci vai, Gesù. La prima di tante volte. Ogni anno per la Pasqua, con la famiglia, gli amici, in quelle lunghe carovane in cui giocavi, parlavi, crescevi. Quella volta in cui te ne sei stato lì tre giorni, da solo. E poi da adulto. Fino all’ultima, definitiva, volta, in cui dal giardino degli ulivi guardavi le sue mura, e già la tua anima si schiantava, come contro pietra dura, che sfracella.
Ed è la prima volta che entri nel Tempio. Dove poi, un giorno, salverai la donna dalle pietre già pronte a colpirla.
Quando son stato la prima volta a Gerusalemme, mi son messo a cercare, nell’area archeologica del Tempio, quei pochi gradini che, secondo gli studiosi, ancora resistono dai giorni in cui ci passavi anche tu. Ero solo, in una caldissima giornata di giugno. Mi guardai intorno per vedere che non ci fosse nessuno. Mi tolsi le scarpe, e camminai a piedi nudi su quella pietra. Che cosa stupenda il cristianesimo: posso posare i piedi dove li hai messi anche Tu.
Mosso dunque dallo Spirito, Simone si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola…» (Lc 2, 27-29).
Gli ebrei, al mattino, pregano così: «Tu sei fonte di benedizione, nostro Dio, sovrano dell’universo, che formò l’uomo con saggezza e creò cavità e cavità, vuoti e vuoti». Simeone porta dentro di sé – al centro di sé – una cavità, un vuoto. È la cavità delle sue braccia, ed ha la Tua forma, Gesù. Son fatte per ricevere Te in braccio.
Ho sempre amato Simeone per questo: perché gli manca un pezzo, perché è incompleto. Perché ha un vuoto, che attende Te. Perché ha un desiderio, come me, che è una cavità, e che vuole solo Te. Tu per questo me lo lasci, questo vuoto; per questo me lo lasci, questo desiderio che scava; perché io non smetta di cercare l’Abbraccio oltre gli abbracci, il Bacio oltre i baci, l’Amore oltre gli amori.
E finalmente vieni – tra le sue braccia – tra le mie braccia. E forse, Gesù, sei più Tu a desiderare di riempire quell’abbraccio, più di quanto non fossi io – non fosse Simeone – a desiderare Te.
«…perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2, 30-32).
Una volta ci dicevano che le candele benedette il 2 febbraio si accendono quando fuori c’è un temporale. Per dirci che, quando è buio e fuori è brutto, la luce e il calore le ritroviamo tornando qui: a Te che diventi nostro e vieni a farti abbracciare. Come in una festa nuziale. E del resto anche lì si accendono candele, lampade, tutto.
La tradizione liturgica per secoli ha accompagnato tutto questo con un canto che prega «Adorna thalamum tuum, Sion» – «Prepara la tua camera da letto, Sion», perché arriva lo Sposo. La stanza dell’intimità, la stanza di soli io e te, la stanza della passione e della tenerezza, la stanza degli sposi. Ora lo capisco il perché: non sei più del Padre, sei tutto e solo mio; e vieni a riempire il mio desiderio, con il Tuo abbraccio che non finisce. E allora da oggi chi ti lascia più, Gesù…