Alla ricerca d’un linguaggio comune. Aurelio Mancuso: sì al dialogo coi cattolici
Intervista a cura di Daniela Tuscano del 9 maggio 2010
Aurelio Mancuso, giornalista e scrittore, ex-presidente nazionale Arcigay. Lo incontro in occasione delle veglie per le vittime dell’omofobia, che dureranno dal 10 al 17 maggio in tutt’Italia e si svolgeranno in chiese protestanti e anche cattoliche.
Rieccoci a un appuntamento importante per molti gay. Parteciperai? L’hai fatto in passato? Cosa ne pensi?
Non ho mai partecipato a veglie di questo tipo, non escludo di parteciparvi, ma bisogna essere chiari: essere ecclesia significa condividere il dono del perdono. Non mi piacciono commistioni e ambiguità. Le veglie sull’omofobia non possono esser organizzate in realtà dove il pastore o il sacerdote e la chiesa locale non siano realmente consapevoli della portata del loro gesto.
Hai dichiarato che bisogna rivolgersi ai cattolici, tu stesso ti definisci tale. Ma quali cattolici, a parte quelli dei gruppi gay? In un tuo articolo parlavi della necessità di incontrare tutti gli altri, insomma parrocchie, oratori, gente “comune”, ecc. Cosa ritieni di poter dire e come coinvolgerli? Su quali temi a parte ovviamente l’affettività ecc.?
Bisogna rivolgersi alle comunità del popolo di Dio presenti sui territori. Non è sufficiente, a volte addirittura è fuorviante, dialogare con questo o quel prete o pastore “aperto”, magari con lui organizzare una messa o un incontro. Le chiese sono innanzitutto composte dai laici è in questo ambito che va aperto un terreno di riflessione e di azione.
Conosco i gruppi gay cattolici e cristiani, svolgono un’opera meritoria, ma è giunto il tempo di uscire dal cono d’ombra del confronto silenzioso, o peggio dalle catacombe. La provocazione cristiana ha bisogno di vivere nel coraggio, e anche nel rispetto, ma con limpidezza e nella piena luce.
In concreto, cosa ti aspetti da questi prossimi “incontri” coi cattolici?
Per ora questi incontri sono dei meri auspici, anche se in passato ho avuto incontri con alcune realtà parrocchiali e associative cattoliche. La fretta è cattiva consigliera, bisogna prima preparare il terreno, proporre un primo ambito di discussione e riflessione e poi incamminarsi, senza spocchia .
L’antropologia cristiana/cattolica è, quando non incrostata da sessuofobia e maschilismo, ricca e articolata, il pensiero della differenza sessuale secondo me non va accantonato. A proposito di cattolici ho conosciuto persone niente affatto omofobe, le quali però mostravano perplessità di fronte a certe richieste dei gay tipo matrimonio o adozioni.
Non si può negare avessero una loro logica e torno a ripetere che si trattava di persone intellettualmente oneste. Invece ho notato che anch’esse sono state a volte derise e trattate come dei retrograde perché non condividevano tutte le istanze portate avanti dal movimento gay.
Nel furore delle dure contrapposizioni in molti casi la volontà di capire, interloquire, è travolta dai reciproci pregiudizi. Io contrasto ogni tipo di pregiudizio e penso, come ho affermato pubblicamente di recente, che invece il dialogo sia possibile, anzi necessario. La contrapposizione è giusta quando si viene attaccati e discriminati, ma vi sono vaste porzioni nelle chiese di ascolto e persino di condivisione rispetto alle nostre richieste.
So di non esser popolare dentro il movimento e soprattutto tra molti gay credenti, ma l’anticlericalismo spicciolo da una parte e il silenzio sostanziale dall’altra portano solo al consolidamento di teorie di esclusione. Invece bisogna sfidare le chiese ad interrogarsi a confrontarsi.
Comprendo chi richiama il fatto che le chiese non devono intromettersi nella vita pubblica, nella legislazione italiana, ma un conto è quello che dovrebbe essere un conto è la realtà dei fatti. Tra l’altro io credo che la chiesa cattolica è concretamente un attore sociale e politico di questo Paese, prescindere da questo significa abbaiare alla luna.
Don Ermis Segatti in un bell’incontro organizzato dal Guado qualche mese fa ha sottolineato che esistono depositi culturali profondi con cui fare i conti seriamente, e sensibilità secolari che non sono solo prevaricatrici.
In tal senso guai a far passare i diritti degli omosessuali come frontiera dei diritti. Si riferisce soprattutto alla cultura degli immigrati, che ha un forte legame con la fedeltà e non è necessariamente fondamentalista, ma bisogna tener conto di questa sensibilità. Quale linguaggio usare con costoro?
Bisogna tenere conto di tutte le complesse teorie di pensiero e anche di linguaggio che attraversano la chiesa cattolica, ma attenzione a non farsi intrappolare nella cortina fumogena delle parole. Sapersi confrontare, anche con aspetti tradizionali (nel senso migliore della storia cattolica) è un bene di per se, questo però deve consentire un avanzamento.
Sul piano teologico e della tradizione le possibilità di incontro sono abbondanti, ma poi esiste il piano della vita delle persone, altrettanto decisivo nella chiesa. E’ la condizione terrena delle persone che determina la pastorale non viceversa, se no si conviene con le storture rinascimentali che per fortuna il Concilio Vaticano II ha superato.
Hanno suscitato scalpore e indignazione le dichiarazioni del card. Bertone su un legame tra omosessualità e pedofilia, che poi lo stesso prelato è stato costretto a correggere, affermando che si riferiva soltanto ai problemi dei sacerdoti cattolici. Ma è ancora diffusa l’equazione gay=pedofilo, nel mondo cattolico?
No, nel popolo di Dio la differenza è chiara. Bertone ha fatto solamente una maldestra operazione di sviamento che immediatamente gli si è rivoltata contro. Ecco questa vicenda ci dice molte cose, prima di tutto che dentro la chiesa cattolica certi atteggiamenti distorti e arroganti delle gerarchie non sono accetti.
Pensa all’immediata presa di posizione dell’associazione cattolica degli psicologi e psichiatri e alla presa di distanza di molti cattolici. Questo significa che noi siamo riusciti a infondere valori e indicazioni che sono compresi dentro la chiesa.
Tutta questa vicenda sulla pedofilia, oltre a rendere drammatico il tema della repressione sessuale e dell’ipocrisia dentro le gerarchie, rivela un dramma ancora più profondo: i cardinali hanno paura, la struttura monarchica avverte il gelido vento dell’isolamento. Beh come cattolico non posso che rallegrarmi, perché per quanto potenti, mondani, assetati di potere, gli alti prelati sanno che la loro torre d’avorio poggia ormai su fondamenta erose.
Il 21 maggio arriva in Italia Joseph Nicolosi, fondatore del NARTH, un’associazione che si propone di “guarire” scientificamente l’omosessualità (peraltro solo, o in gran parte, maschile). Pensi che ciò possa portare a una recrudescenza dell’omofobia? Nicolosi precisa che spinge a “cambiare” solo chi lo desidera, non tutti, lasciando peraltro intendere con ciò che l’omosessualità sia una scelta/vizio…
Rispetto a Nicolosi mi affiderei, come è stato fatto in questi anni, alla confutazione scientifica, di cui ormai è stata approntata una robusta letteratura anche in Italia, grazie a persone come Paolo Rigliano e Vittorio Lingiardi .
Combattere le teorie strampalate di Nicolosi significa voler bene alla Chiesa, metterla in condizioni di capire il peccato in cui si immerge, quando pensa attraverso visioni anti scientifiche e discriminatorie di poter trovare l’avvallo teorico di pregiudizi alimentati da una lettura reazionaria e infantile della Bibbia.
Starei inoltre attento a dare eccessivo peso all’operazione, privilegiando l’aspetto farsesco dell’operazione “teorie riparative”. Questa teoria si basa in modo chiaro sul fatto che l’omosessualità è una malattia e che va curata.
Poi pubblicamente, visto che sanno di suscitare grandi polemiche, utilizzano l’atteggiamento che loro si occupano solo dei gay che non voglio esser tali. Questa balla è potente, perché in effetti esiste la possibilità che vi siano persone confuse, che pensino di esser omosessuali nascondendosi sofferenze psichiche e psichiatriche profonde.
Ma anche in questo senso le risposte scientifiche sono solide e sostenute da una ricerca che dura da decenni. Provo grande pena per le strutture della Chiesa cattolica che ospitano Nicolosi e soci, per soddisfare il loro furore sessuofobico si affidano a personaggi emarginati dalla società scientifica e di cui risultati concreti sono conosciuti.
Ricordo che a una vecchia trasmissione di Lerner una ragazza del Movimento per la vita disse all’ospite Brett Shapiro che era ormai “scientificamente provato” che l’omosessualità era guaribile (era appena uscito un libro di Aardweg , molto letto presso i cattolici tradizionalisti). Shapiro ribatté con una provocazione: che si poteva guarire anche dall’eterosessualità. In che modo, secondo te, si può “guarire” da etero?
L’unico modo per guarire dalla visione catalogatrice delle sessualità è vivere il proprio percorso di vita con capacità di ascolto del proprio corpo e delle proprie emozioni. Le gerarchie cattoliche hanno poca dimestichezza rispetto al linguaggio delle sessualità, perché hanno speso tanti secoli per rendere questo linguaggio afono.
Gli eunuchi per il regno dei cieli si aggrappano al concetto uomo – donna uguale eterosessualità, perché hanno paura, conoscono il mondo, la varietà delle sessualità, le praticano di nascosto, nella clandestinità interiore, cercando di nascondere a se stessi, ma soprattutto a Dio, le loro azioni.
Come si intuisce di tratta di un atteggiamento che per fortuna oggi proclama per intero il suo fallimento e la sua violenza. Shapiro ha ragione: si può guarire dall’eterosessualità, o meglio, dall’eterosessismo.
Eppure, in quest’Italia dove ancora si parla di guarire i gay, dove alcuni ministri della Repubblica alimentano apertamente l’omofobia, si rielegge a presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, omosessuale dichiarato e fervente cattolico.
Vendola rappresenta un paradigma. Il pensiero che un gay in Italia non possa esser leader politico è stato demolito, allo stesso tempo la possibilità di esser cittadini pari agli altri ci è negata.
Questo cosa ci dice? Che il movimento lgbt è indispensabile per continuare la nostra battaglia per le libertà, allo stesso tempo non possiamo condurla in questa solitudine.
Tutti i movimenti gay del mondo hanno vinto quando hanno saputo suscitare un’ampia alleanza tra differenti movimenti e culture, mettendo al centro le rivendicazioni, dentro un quadro coerente di valori diffusamente condivisi.
A noi italiani manca ancora questo, e nell’attuale fase storica non è certo semplice mettere in campo un lavoro di questo tipo, visto che anche tutti gli altri movimenti sociali e culturali sono in difficoltà.
Però la strada giusta è questa e con pazienza (e penso anche tempo) dobbiamo intraprenderla. Nichi ha saputo con anni di battaglie ed esperienze maturate sul campo coagulare, quello che una volta si denominava un blocco sociale.
Come movimento sappiamo quali sono i diritti e doveri da ottenere, abbiamo saputo fare emergere centinaia di migliaia di gay e lesbiche dalla clandestinità, in alcune fasi siamo persino riusciti a conquistare il consenso popolare necessario, ora dobbiamo fare il salto definitivo: rifuggire dal minoritarismo e conquistare per primi i gay e le lesbiche ad una nuova impresa. Vincere. Per far questo o siamo in grado di esser promotori di una grande movimento popolare trasversale o saremo destinati ancora a lunghi anni di sconfitte.
Va però sottolineato che nella nostra società esiste una schizofrenia per cui l’omosessualità, specie di personaggi pubblici, sembra diventata un must (ma era così anche ai tempi di Proust e come sai anche il primo titolo dei Fiori del male di Baudelarie era Le lesbiche). Mentre poi la realtà del singolo resta difficile.
Io ti confesso che, contrariamente a quanto accadeva negli anni ’70, di fronte a personaggi televisivi spesso provo fastidio per la superficialità e il modello iperconsumistico dell'(omo)sessualità da essi proposto, e che diviene facilmente bersaglio degli omofobi, i quali hanno buon gioco a difendere la “normalità” contro quelle che appaiono come colpevoli stravaganze.
Intanto dovremmo avere la capacità di parlare di persone omosessuali, quindi per conseguenza di pluralità delle omosessualità. Una cosa sono i gay una ben diversa le lesbiche, e dentro questi maxi definizioni c’è un mondo.
Quando riusciremo a far comprende sul piano culturale e sociale che come esistono “gli” etero così esistono “i” gay. Nessun etero verrebbe in mente di andare in Tv in rappresentanza di tutta la “categoria”.
Voglio dire, è giusto andare sui media a proporre le nostre istanze, ma chiarendo sempre che la richiesta di diritti e di doveri ci accomuna, l’esperienza personale è unica e preziosamente da salvaguardare.
La Tv propone cliché e caricature perché sono consolatorie, è un meccanismo tipico delle maggioranze che tentano di esorcizzare il conflitto di incertezza che gli viene posto dalla stessa esistenza di una minoranza. Queste angherie sono state subite dagli ebrei, dai neri e da tante altre minoranze. Siamo noi che non dobbiamo cadere nel tranello dell’omologazione.
Mi è però sembrato che, in alcuni casi, il movimento lgbt stesso pretendesse a tutti i costi per forza un coming out, o volesse intromettersi nella vita privata degli artisti pop, senza tener conto, o magari ignorando, il percorso artistico e umano di alcuni di loro (penso a Renato Zero, a Roberto Bolle…), o estremizzando polemiche, come nel caso di Povia: un cantante con poco seguito che presentava un pezzo palesemente provocatorio. Non gli si è data troppa importanza? Ignorandolo, forse, non avrebbe conquistato il secondo posto a Sanremo…
La vicenda di Povia è stata letta in forma superficiale dal movimento lgbt italiano. Non era e non è solamente un’operazione commerciale, sta dentro un percorso di una parte della chiesa cattolica (la settocrazia) che da prima del Family Day ha ingaggiato la sua battaglia su diversi fronti.
Luca era gay è la popolarizzazione delle teorie di Nicolosi, di cui giustamente contrastiamo l’azione e le idee. Povia naturalmente non è un genio, ma si è prestato a questa operazione, e continua a lavorare su questo terreno.
Se un errore vi è stato lo si deve ricercare nella nostra inadeguatezza nel rispondere davvero sul piano culturale. Anche se devo ricordare che mai come in questo caso un ampio schieramento di persone della cultura e dello spettacolo hanno aderito al nostro appello contro quella canzone, diverse radio si sono rifiutate di trasmetterla.
Il rischio di renderlo più popolare di quanto meritasse era enorme, ma calcolato. Se fossimo stati zitti oggi saremmo qui a discutere del perché. Sull’arte, lo spettacolo e cultura voglio solo dire che paghiamo ritardi storici e consuetudini sbagliate. Siamo noi a dover sapere come dialogare con questi mondi.
Sincerità per sincerità: se Povia avesse parlato di un etero che diventava gay, l’avreste sostenuto anche se il brano fosse stato mediocre…
Beh sì certo…. Anche se bisogna dire che non sarebbe stato molto dirompente: tante persone che si credono etero si scoprono o bisessuali o gay. Insomma avrebbe parlato della vita, non di un artificio.
Alcuni amici vogliono sapere se, per te, conta di più il messaggio lasciato da un artista piuttosto che un clamoroso coming out.
Rispetto al rivelarsi o meno gay, ti risponderò con chiarezza: sì è utile che tanti artisti escano dalla clandestinità e rivelino la loro omosessualità. Aiuta non me, non i tanti gay già attrezzati, ma diventa un modo per sentirsi non soli per tanti giovani e giovanissimi, in balia dell’esclusione e della discriminazione.
Aiuta anche l’opinione pubblica a comprendere che la presenza omosessuale non è rinchiusa nell’azione dei movimenti, ma che è dentro la società. Questo significa che tutti devono fare coming out? No. Ho sempre sostenuto che bisogna avere rispetto dei percorsi personali.
Non mi piacciono i militanti esaltati che a ogni piè sospinto fanno outing di questo o quel personaggio, questo crea solo danno non empatia. Direi di più, che tanti personaggi pubblicamente gay, per la necessità di esser “accettati” dal circo mediatico eterosessista, si trasformano in dannose macchiette.
La sessualità come già detto è un fattore complesso, non è un timbro definitivo sulla pelle, né un elemento indifferente della persona. Per questo è importante non proclamare, ma ascoltare e imparare a vivere in un mondo non bicromatico.
Roberto Bolle è uno dei più grandi ballerini di tutti i tempi.
E nessuno lo nega. Il ballerino aveva rilasciato molti mesi prima della polemica italiana, una lunga intervista a un giornale francese. Noi l’abbiamo scoperta per caso e ci siamo complimentati con lui. Nessun outing, nessuno sgambetto.
Poi Bolle ha smentito l’intervista e si è scagliato contro di noi. In questo caso, con una certa durezza, ribadisco che all’ipocrisia non si può dare sostegno. Ribadisco, sono contrario agli outing, allo stesso tempo questi personaggi dovrebbero non far finta di vivere su Marte.
A Renato Zero sono state attribuite dichiarazioni mai rilasciate e, malgrado le smentite anche in due libri, taluni lo hanno trattato come un criminale (circola ancor oggi un video, realizzato da una certa Simplytaly, che lo presenta come un nazista e a distanza di oltre cinque anni diversi siti omosex insistono con questa polemica lunare, arrivando a ingiuriare gli stessi fans del cantante). Tu stesso, in seguito, hai riconosciuto che “a Renato Zero si poteva perdonare un po’ di più”…
Con Renato ci siamo incontrati per caso in un ristorante di Roma gestito da amiche comuni. Il dialogo è stato amabile e sincero. Lui mi ha fortemente rimproverato rispetto alla nostra presa di posizione, spiegando dal suo punto di vista cosa aveva dichiarato, e io gli ho spiegato perché quelle sue dichiarazioni avessero suscitato la nostra protesta.
Alla fine non ci siamo dati ragione a vicenda, ma abbiamo discusso con franchezza i nostri punti di vista. Certamente quell’incontro mi ha fatto comprendere che il suo pensiero non voleva esser offensivo. Ci siamo detti che in caso di possibili nuovi fraintendimenti ci saremmo contattati.
Le esagerazioni e gli insulti non mi sono mai piaciuti, e chi continua a pubblicare video offensivi su Zero è un imbecille. Nell’incontro con Renato lui ha rivendicato il fatto che la sua carriera artistica ha permesso l’apertura mentale di molte persone.
Credo sia vero, ho in questo senso un ricordo personale ancora vivo di quando ero giovanissimo di Triangolo, diffusa in un juke box in un bar Arci, dove tanti “compagni” prendevano in giro chi l’aveva messa, dandogli bonariamente del frocio.
Non ho detto nulla, anche perché quasi spaventato da quella compagnia che prendeva in giro questo ragazzo. Poi però ho preso coraggio e l’ho rimessa. A quel punto c’è stato il silenzio, nessuno mi guardava in faccia, ma si capiva che Zero era una sfida troppo grande per quei birbanti di sinistra.
Ti ho raccontato questo per far capire che da parte mia non vi è mai stato un atteggiamento di contrarietà nei suoi confronti, anzi.
Di cosa ti occuperai in un prossimo futuro?
Per adesso scrivo, leggo, rifletto, ho intenzione di immergermi in un’azione di ampliamento culturale e sociale. Ritengo ci sia una vasta prateria inesplorata dove troppi gay e troppe lesbiche continuano a essere smarriti e anche distratti. Ampliare, rafforzare, rendere più forte il movimento lgbt italiano, significa anche sollecitarlo a volgere lo sguardo in territori inediti.