Alterità o narcisismo. Il magistero cattolico davanti alla relazione omosessuale
Brano tratto dal libro di Carolina del Río Mena*, ¿Quién soy yo para juzgar? Testimonios de homosexuales católicos, Editorial Uqbar, Santiago (Cile), anno 2015, pp.294-297, liberamente tradotto da Dino
Un’altra delle ragioni impugnate dal Magistero della Chiesa cattolica per opporsi agli atti omosessuali ha che vedere con il concetto di alterità, che include le nozioni di complementarietà e di unione dei due partecipanti in una relazione sessuale di amore.
La dottrina sessuale matrimoniale classica propone la necessità della complementarietà uomo-donna in vista della procreazione. Solo in questa complementarietà o reciprocità potrebbe realizzarsi una vera alterità, un uscire da se stessi verso l’incontro con questo altro o altra che consenta la pienezza dei membri della coppia.
In questo contesto allora “è evidente che gli atti omosessuali mancano della complementarietà che caratterizza la pienezza dell’amore erotico. Dato che queste relazioni [omosessuali] avvengono tra simili, l’altro non è un altro complementare, ma un ‘simile’, cosa che rende questo incontro privo della ricchezza insita nell’alterità. Così la relazione omosessuale è necessariamente (‘per natura’) chiusa alla vita“.
A giudizio degli autori, “questi due motivi fanno sì che la relazione omosessuale sia sterile, banale per definizione, e che in pratica il suo senso si riduca principalmente al piacere che procura. Il bene ulteriore della sessualità, che è il figlio, rimane di per sè escluso da questa relazione” (cit. tratta da Chomalì, Fernando, Mons et altri, Algunas consideraciones para el debate actual acerca de la homosexualidad. Antecedente cientificos, antropologico, etico y juridicos en torno a las personas y las relaciones homosexuales, Centro de Bioetica – Facultas de Medicina, Pontificia Universidad Catòlica, 2008, p.44-45).
Se si intende che la complementarietà debba realizzarsi grazie a quello che di diverso i due sessi apportano, ovviamente è possibile sostenere tale argomentazione. Essa però traballa irrimediabilmente, se la complementarietà è intesa come l’apporto reciproco tra due persone. Vediamo.
Cosa significa alterità? Che cos’è altro? Secondo la Reale Accademia Spagnola alterità è la “condizione di essere altro“. Deriva dal latino alter, “altro”, ciò che non sono io. E’ il principio filosofico di “scambiare” cioè scambiare la propria prospettiva con quella dell’altro, facendo proprio il punto di vista dell’altro.
Il suo impiego attuale è in gran parte dovuto a Emmanuel Levinas, filosofo lettone-francese.
Secondo Levinas la propria soggettività -la mia, quella di ciascuno- ha inizio nel momento in cui l’io si apre intenzionalmente all’esterno mediante il riconoscimento dell’altro -qualsiasi altro- come il proprio ospite.
Accogliere l’altro come ospite e riconoscerlo nella sua dignità e valore sarebbero, semplificando, i criteri basilari della relazione con un altro, cioè dell’alterità: “La verità sorge“, aggiunge Levinas, “là dove un essere distinto dall’altro non si sprofonda in esso, ma gli parla… e – aggiunge – l’epifania del volto è etica” (cit. tratta da Lavinas Emmanuel, Totalidad e Infinito. Ensayo sobre la exterioridad, Ed. Sigueme, 1997, p.85 e p.235). Non viene affermato nulla riguardo alla diversità dei sessi affinché l’altro sia realmente un altro legittimo, cioè affinchè ci sia alterità.
Di più ancora di Levinas afferma Marta Palacio, filosofa argentina, “il volto dell’altro/a è carne singolare e unica che contiene una legge in sè. Una legge eteronoma che mi obbliga attraverso un ordine che mi dice ‘non ucciderai’. Il volto non può essere sottomesso allo Stesso, cioè all’io, perché sempre lo trascende” (cit. tratta da Palacio Marta, Los derechos de los rostro. Derechos umano, liberalismo y exclusion, in Anatrelle 17, rivista del Centro de Studios Filosoficos y Teologicos, Argentina, 2007, pp.51-62).
Ecco perché la relazione tra due persone omosessuali può essere vera alterità e non dovrebbe essere classificata come puro e semplice narcisismo. Per lo meno non più di una qualsiasi relazione eterosessuale.
Infine, è vero che i figli sono un dono concepibile soltanto nella coppia eterosessuale. Ma sappiamo anche che l’aiuto reciproco, la compagnia e il piacere condiviso, sono aspetti necessari in qualsiasi relazione amorosa, anche tra quelle coppie eterosessuali che non possono concepire figli. Non sono soltanto i figli a far sì che una relazione sia una vera relazione amorosa. La Chiesa non ha fatto tale affermazione, piuttosto, la nostra tradizione cattolica ha conosciuto gli abbondanti frutti della maternità e della paternità spirituale.
La dottrina agostiniana riguardo ai beni del matrimonio, con la procreazione al primo posto, è stata messa in secondo piano dal Concilio Vaticano II. Non perché i figli non siano importanti, al contrario. Proprio perché lo sono, il Vaticano II incoraggia l’amore di coppia e il reciproco aiuto per generare la prole, quando la coppia può avere figli biologici.
In caso contrario, i battezzati sono chiamati alla maternità e alla paternità spirituale, seguendo i passi di Maria: “La Vergine nella sua vita fu esempio di quell’amore di madre che deve animare tutti quelli che collaborano nella missione apostolica della Chiesa per formare gli uomini a una vita nuova” (LG 65).
Oggi, in occasione di un riesame della dottrina nel sinodo della famiglia, non tutto sembra essere molto chiaro. Infatti ci sono voci che si alzano per condannare, ancora una volta, le relazioni omosessuali e voci che parlano in favore di un maggior riconoscimento, come quella del vescovo di Anversa Johan Bonny che ha affermato: “Dobbiamo cercare in seno alla Chiesa un riconoscimento formale della relazione che è presente anche in numerose coppie bisessuali e omosessuali“. La discussione comincia ora.
* Carolina del Río Mena è una teologa cattolica e giornalista cilena, madre di quattro figli. Ha conseguito un master in Teologia Fondamentale presso la Pontificia Università Cattolica del Cile ed è docente presso il Centro de Espiritualidad Santa María, inoltre collabora col Centro Teológico Manuel Larraín del “Círculo de estudio de sexualidad y Evangelio”. E’ autrice del libro “¿Quién soy yo para juzgar? Testimonios de homosexuales católicos” pubblicato nel 2015, ed è co-autrice di “La irrupción de los laicos: Iglesia en crisis” edito nel 2011.