“Alzati, e và”. Tra la ferita dell’eunuco e la strada deserta di Filippo noi dove siamo?
Riflessioni bibliche di don Fausto tenute in apertura dell’incontro sinodale on line di ascolto “Alzati, e va” del 12 dicembre 2021
Un angelo del Signore parlò intanto a Filippo: «Alzati, e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che discende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etiope, un eunuco, funzionario di Candàce, regina di Etiopia, sovrintendente a tutti i suoi tesori, venuto per il culto a Gerusalemme, se ne ritornava, seduto sul suo carro da viaggio, leggendo il profeta Isaia. 29 Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti, e raggiungi quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:
Come una pecora fu condotto al macello
e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa,
così egli non apre la sua bocca.
Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato,
ma la sua posterità chi potrà mai descriverla?
Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita.
E rivoltosi a Filippo l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Filippo, prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù. Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c’era acqua e l’eunuco disse: «Ecco qui c’è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?». Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. Quando furono usciti dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino. Quanto a Filippo, si trovò ad Azoto e, proseguendo, predicava il vangelo a tutte le città, finché giunse a Cesarèa”. (Atti 8, 26-40)
Questo racconto è un testo estremamente ricco di umanità e tenerezza. Emergono l’audacia della fede dell’eunuco che non si rassegna e il coraggio della fede di Filippo, che non si impone limiti, ma segue ciò che lo Spirito gli indica. Entrambi tentano e osano vie nuove. Tutto il brano è intriso dell’azione traboccante dello Spirito, descritta dall’autore come il vero ordito nascosto, ma efficacissimo, di tutta la vicenda e di quanto da essa scaturirà ancora, nella vita della chiesa di allora e di oggi in questo tempo sinodale. Questo testo ci interessa non tanto perché la vicenda dell’eunuco può assomigliare a quella delle persone LGBTQ+, ma perché parla della chiesa di oggi in sinodo e anticipa altre pagine belle e inaspettate, che si stanno scrivendo in questi primi tempi del sinodo dedicati all’ascolto.
La scena
La strada è «deserta»; è possibile immaginare il numeroso seguito dei servi dell’eunuco e viene ribadita la sua solitudine senza soluzione. È «mezzogiorno» e il caldo rende tutto faticoso; è l’ora degli incontri di svolta, come fu per la samaritana al pozzo! La strada è ancora una volta immagine del percorso esistenziale e spirituale; è anche percorso di trasformazione di una chiesa che non intende “possedere” la Parola, ma sa bene che la riceve in modo sempre nuovo da Dio. E la strada è il luogo dove Dio si fa incontrare e si comunica.
Filippo è uno dei sette diaconi; non è nel collegio degli apostoli e questo forse gli dà più libertà. Fa parte degli ambienti ellenisti e forse è meno legato alle usanze ebraiche e più capace di collocarsi tra i due mondi che ancora non riescono a parlarsi. Una bella immagine anche delle relazioni tra chiesa e mondo LGBTQ+.
L’eunuco è segnato da una ferita. È una lacerazione che lo attraversa completamente: ha nelle mani un enorme potere eppure è impotente nel corpo o almeno sterile; nonostante possa provare vergogna si trova socialmente sovraesposto e deriso dai suoi sottoposti; gestisce una favolosa ricchezza eppure non ne può partecipare a pieno; è nel novero dei potenti, ma destinato all’oblio, perché «la sua discendenza chi potrà descriverla»; sceglie di andare fino al tempio di Gerusalemme, ma è escluso per un destino deciso da altri, perché «il giudizio gli è stato negato». È conosciuto da tanti, eppure il senso della sua vita gli è incomprensibile ed è costretto a vivere in una finzione quotidiana. È un “impuro”! Non ha scampo, anche se non ha scelto lui e non ha colpa! Ma questo non importa a nessuno! E resta solo, abbandonato da tutti al suo dramma con la sua vita “deserta”. Non è autorizzato a cercare soluzioni alternative; non ha prospettive di inclusione, perché quelli come lui – come le persone LGBTQ+ – sono una minaccia al sistema, una diversità intollerabile e improduttiva, che non produce figli (meglio maschi) per il lavoro, il patrimonio e la guerra. Egli è escluso anche dal cospetto di Dio e questa è la castrazione più radicale: non è autorizzato a sperare in alcun cambiamento, neppure miracoloso!!!
La sua situazione ricorda il “primo tempo” della vita delle persone credenti LGBTQ+, dei genitori e anche degli operatori pastorali: quando i modelli prestabiliti sono percepiti come imposti, introiettati, normativi fino a nascondere il volto più vero di sé e delle persone care. Come se la vita funzionasse solo se spinta dentro uno stampo preciso, a costo di amputazioni e castrazioni. E tutto avviene col “sigillo divino”, come accadde per l’eunuco impuro e straniero, che probabilmente al tempio non era stato ammesso! Talvolta lo stesso “sigillo” sembra apposto sulle “ferite” che persone e parole della Chiesa hanno inflitto come un marchio su tante e tanti!
Ma lo Spirito lavora e fa accadere un incontro non casuale con Filippo, spinto da un angelo a recarsi lungo quella strada. Anche per molti ci sarà stato un “angelo” che ha tenuto legati alla fede, ha detto parole nuove, è stato accanto. Su quali volti è possibile oggi riconoscere il “messaggero” di Dio? Oggi nella chiesa in chi è possibile riconoscerlo ancora?
La “forza” del racconto
C’è bisogno di rivivere l’esperienza di quel racconto, che si muove tra la “strada” e la Parola: la “strada” è …
… la speranza di giustizia e di “normalità” dell’eunuco;
… il luogo dove si lascia qualcosa, che è di peso e si accoglie il nuovo che viene;
… il luogo dello spirito quando ci si apre all’altro e ci si lascia trasformare;
… è l’obbedienza allo Spirito, come quella di Filippo che non sceglie i suoi compagni di viaggio: li riconosce!
La Parola, che qui è nei versetti di Isaia, è di Dio e mantiene il suo primato rispetto alle tradizioni, la sua centralità nelle vicende, la sua capacità creativa e liberante nelle vite delle persone.
Questa Parola ha toccato il cuore dell’eunuco! Racconta di lui, perché lo conosce da sempre nel suo intimo. Il personaggio descritto da Isaia gli assomiglia clamorosamente: anch’egli è stato «condotto al macello» come lui; la scelta sulla vita «gli è stata negata»; non avrà «discendenza», perché «la sua vita è stata recisa dalla terra», come “reciso” dalle relazioni era l’eunuco e oggi le persone LGBTQ+, i genitori, gli operatori pastorali e tanti tanti altri. Per questo egli sente forte il bisogno di entrare in relazione diretta con il personaggio descritto da Isaia, perché finalmente ha trovato uno che squarcia la sua solitudine, uno come lui, un “compagno”.
E quando Filippo gli racconta di Gesù…
… accade una vera epifania di Dio; si svela il suo volto, che gli appare nuovo: non più irraggiungibile e impassibile davanti alla sua sventura. È il volto di “uno ferito come me”; “ferito” da modelli, tradizioni e paure degli uomini; sfigurato dalle condanne; estromesso per la sua inguaribile e inammissibile viscerale misericordia per ogni creatura; incapace di escludere altri, neppure per autodifesa. Conosce finalmente un Dio solidale nella fatica di vivere e di amare. Le “ferite” guariscono insieme, quelle dell’eunuco e quelle di Dio, non più gelido controllore, ma compagno nella sofferenza inflitta da altri e per giunta a suo nome!!!
Anche Filippo è costretto a fare i suoi cambiamenti e fa gesti non canonici: è salito e si è seduto accanto ad un uomo “impuro” e straniero. Anche lui rischia, come è toccato a tanti, perché talvolta “chi tocca muore”; e chi bazzica certi personaggi è visto con sospetto e non riceve credito. Filippo non fa da lasciapassare per l’eunuco; non dà autorizzazioni: semplicemente “sale e si siede accanto” facendo strada insieme1. Se c’è un di più che egli mette a disposizione è la sua esperienza pregressa di Dio. Prodigiosamente egli è immagine di chi aiuta a nascere esercitando un’arte maieutica, che coinvolge allo stesso tempo chi la agisce.
Anch’egli è costretto a ripensare la sua immagine di Dio e le “regole” della pratica religiosa vissute fino a quel giorno. L’apertura ad uno straniero, pure eunuco, restava un fatto nuovo nella prima comunità. Filippo forse con stupore e fatica, “prendendo il largo” da convinzioni e pratiche precedenti si lascia trasformare dall’esperienza di Dio che fa con l’eunuco, arrivando ad una nuova lettura della Scrittura: e anch’egli rinasce!
La rinascita a cui Filippo è costretto in modo inatteso assomiglia molto a quella dei genitori, anch’essi di fronte alle stesse domande delle figlie e dei figli sul “perché” e sul “come”, sui propri presunti “errori”. È la vera “strada” sotto il sole di «mezzogiorno». È un processo di rinascita verso una nuova conoscenza dei figli, di se stessi e anche di Dio: all’inizio il disorientamento, i sogni infranti, la lacerazione tra affetti e vecchie visioni; poi si sono accolti nuovi sogni non stereotipati, ma aderenti all’identità dei figli; si è imparata la libertà davanti alla loro differenza da sé; si è presa posizione al loro fianco, come veri “compagni di strada”. E ci si è lasciati provocare dalle esperienze dei figli anche a ripensare con finezza la propria relazione di coppia.
La stessa rinascita è accaduta e accade a preti, suore, religiosi fianco a fianco su questa “strada”.
Il pane delle relazioni
Il personaggio descritto da Isaia diventa il “compagno di strada” sia per l’eunuco, sia per Filippo ed entrambi diventano reciprocamente compagni l’uno e l’altro: reciprocamente volti concreti di Dio, sacramento reale l’uno per l’altro! Quali sono le compagne e i compagni incontrati per i quali ringraziare il Signore? Come farsi compagna/o di strada per altri? Per altri esclusi e per altri escludenti?
L’esperienza del sinodo è riscoprire e riappropriarci dell’esperienza che sta alla base della vita della chiesa e farne metodo dentro la dinamica delle relazioni suscitate dallo Spirito. Cosa dice alla chiesa di oggi questo incontro tra l’eunuco e Filippo?
L’eunuco, tornando a casa escluso dal tempio rischiava di buttare la sua fede incipiente. Ha bisogno di Filippo, affinché l’esperienza del personaggio di Isaia, quella di Gesù e la propria si sovrappongano, mostrando la somiglianza. Tutti hanno bisogno sempre di confrontare i propri passi, le nuove consapevolezze con tutta la comunità per non ritagliarsi un Dio o una chiesa di parte; per non abbandonare una chiesa che con i limiti suoi e di tutti ha racconta del Gesù riconosciuto compagno di vita!
Al tempo stesso Filippo e la Chiesa hanno bisogno di riconoscere sul volto di tanti “eunuchi” estromessi il volto stesso di Gesù, che “fuori” è nato ed è stato crocifisso e che si fa incontrare proprio “fuori”, lungo la “strada”, nelle vite concrete di ogni persona.
Lungo quella “strada” spirituale, che si snoda mediante il dialogo sul carro, tutti escono trasformati e trasfigurati: l’eunuco, Filippo e anche Dio. Ognuno restituito più luminoso e illuminante agli altri. È il pane delle relazioni che sostiene la vita. Dio ne manifesta il bisogno più di tutti; egli che non respinge nessuna delle sue creature, perché «non fa preferenza di persone» (10,34). I credenti LGBTQ+, i genitori e gli operatori pastorali già condividono un cammino comune. Così la provvidenza nutre col “pane delle relazioni”, affinché tutti possano riconoscersi nati e rinati dalle relazioni; capaci tutti di relazioni e amori autentici.
In più se un tempo qualcuno si trovava a stilare l’elenco senza fine di ferite ricevute o autoinflitte, nella fede ora si è chiamati alla “custodia dei segni”, riconoscendo dopo tanta fatica l’azione di Dio in alcuni accadimenti, incontri, parole e volti. Sono i “segni” da custodire; le pietre miliari dell’esistenza. Questo esercizio della custodia è doveroso: è il pozzo al quale tornare a riattingere sempre per sé e per farne dono speciale alla comunità tutta. Raccontare cosa si è vissuto significa proclamare le meraviglie che Dio compie ancora oggi; è motivo per benedire Dio insieme con la comunità nella liturgia. Quanto è preziosa la condivisione dei “segni” di Dio; quanto feconda sarà “spezzare” insieme questo “pane”, affinché altri possano riconoscere queste peculiari “meraviglie” di Dio oggi. E forse così sarà capitato a Filippo, quando raccontava ciò che aveva vissuto co l’eunuco!
L’eunuco tornò a casa «pieno di gioia».
La “gioia” a cui il testo fa un veloce cenno, si concretizza nella soddisfazione per la conquista di sé, maturata attraverso fatiche e sofferenze, nella resistenza che ha tenacemente tenuto accesa la “luce interiore”; in quella punta di orgoglio positivo che rende fieri della propria storia. È la forza per mantenersi fedeli a se stessi.
Tornato “pieno di gioia” l’eunuco dovrà prendere altre misure in tutte le relazioni preesistenti, perché il cambiamento lo ha reso una persona nuova. Come ogni persona intimamente rinata, egli sente la necessità e la volontà di cambiare le relazioni tossiche, perché desidera per sé un nuovo clima nelle relazioni, più corrispondente al sentire profondo sostanzialmente riconciliato. Per i credenti LGBTQ+, i genitori e gli operatori pastorali significherà riprendere le fila dei discorsi interrotti con l’impegno di dialogo con tutti in questo tempo di sinodo, ricordando queste parole di Papa Francesco: «Perdonare non vuol dire permettere che continuino a calpestare la dignità propria e altrui […] Chi patisce ingiustizia deve difendere con forza i diritti suoi e della famiglia.»2
«Che cosa impedisce che io sia battezzato?»… come te!
Al di là di riferimenti alle nostre questioni attuali, una sola è la cosa che conta: il gesto di Filippo che battezza! Egli riconosce nell’eunuco un vero fratello, anzi di più: un gemello!!! Infatti «scesero tutti e due nell’acqua», perché entrambi stavano rinascendo nello Spirito; insieme sono rinati conoscendo Dio in modo nuovo. Il battesimo ribadisce il senso della fraternità: entrambi figli di Dio, entrambi affascinati e discepoli di quel Gesù che avevano “ri-conosciuto”, in quella gioia che diventa propulsore della missione. Fare sinodo è «scendere nell’acqua» dello Spirito con tutta la chiesa in un bagno di umiltà e rinascita, che permetta di accogliere la Parola vivificata dallo Spirito nelle vicende degli eunuchi di oggi.
La regia misteriosa dello Spirito ha operato ieri, opera tra noi oggi e ancora opererà nella Chiesa
Lo Spirito è il protagonista di questo racconto e di quanto seguirà. Nel racconto dell’eunuco e nei brani che riguardano la vicenda di Cornelio per 9 volte si parla dell’azione dello Spirito (come del resto tutta la narrazione degli Atti ne è piena); 4 volte si dice che un angelo di Dio è intervenuto; e 5 volte si racconta di visioni3. E occorre inoltrarsi ancora in questo brano, per comprendere come proprio da quell’incontro sia scaturito tanto per la vita della chiesa. Infatti tra le vicende dell’eunuco di Cornelio ci sono molti richiami, delle fila che legano tutto.
La strada: il racconto degli Atti fa vedere Filippo “sulla strada che da Gerusalemme scende a Gaza” lungo la quale avviene l’incontro; poi è detto che egli “si trovò ad Azoto… e giunse a Cesarea”: proprio la città di Cornelio!!! Filippo risale probabilmente la costa della Palestina lungo la quale si trova Giaffa e poco all’interno Lidda. Gli Atti al capitolo 9 ci raccontano di Pietro, che si trova a Lidda dove da alcuni discepoli viene invitato a Giaffa, dove risuscita una discepola di nome Tabità; lì Pietro avrà la visione degli animali impuri e riceverà l’invito a recarsi a Cesarea
Chissà che Pietro e Filippo non si siano incrociati e abbiano condiviso le “meraviglie”, che Dio operava attraverso loro? O forse saranno stati i discepoli delle comunità a fare da tramite. Chissà che la visione degli “animali impuri” non sia provocata dal racconto di Filippo a Pietro? Solo congetture, ma stimolanti! Interessantissimo è un “cambio di marcia” che si trova al v. 10,28, nel quale Pietro confessa le sue difficoltà culturali e religiose sui contatti con gli stranieri e sull’impurità. Si descrive che Pietro ha la visione degli animali impuri (10,10ss), ma poi lungo il racconto cambia oggetto e Pietro davanti a Cornelio dichiara che Dio gli «ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo» (10,28). La mente vola all’eunuco, considerato impuro per la sua condizione!!! Possibile che non si siano davvero parlati Pietro e Filippo? Ciò che interessa oggi alla chiesa non è l’azione degli uomini, ma la regia dello Spirito! Le parole di invio: un angelo dice a Filippo «Alzati e va’ verso mezzogiorno…» (8,26) e a Pietro lo Spirito dice:
«Alzati, scendi e va’… » (10,19). Quanta somiglianza! Sembra un espediente letterario che aiuta a riconoscere ancora la regia misteriosa dello Spirito, che unisce gli eventi in una sapiente sequenza. Luca, con le sue strategie narrative a cerchi concentrici, sembra dirci che l’incontro tra Filippo e l’eunuco è l’azione dello Spirito, che prepara quello più ufficiale e clamoroso in casa di Cornelio.
Le visioni di angeli: Filippo è invitato da un angelo ad inoltrarsi sulla strada e Cornelio stesso per tre volte ribadisce di aver ricevuto da un angelo l’invito a chiamare Pietro (10,3.22;11,13). Senza forzare il testo, immaginando, è possibile pensare che le visioni e gli angeli siano il modo dell’autore di descrivere l’azione dello Spirito attraverso le parole e i gesti di uomini precisi, protagonisti della prima evangelizzazione. Filippo si ritrova a Cesarea: chissà se non sia stato lui stesso a proporre a Cornelio di invitare Pietro, magari con l’intenzione di provocare un passo avanti della comunità nell’accoglienza dei pagani.
Riconosciuti dall’amore: l’autore degli Atti dice che Tabità, la discepola di Giaffa, «abbondava in opere buone e faceva molte elemosine» (9,36); per Cornelio usa parole molto simili: «faceva molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio» (10,2). Queste piccole note narrative mostrano una comunione che scavalca l’appartenenza etnica – una è ebrea e l’altro pagano – e pure quella rituale – una è battezzata, l’altro non ancora. Tabità e Cornelio sono conosciuti per la loro carità. Questo il segno di una vita cristiana genuina e capace di parlare pure oggi: la qualità dell’amore che fa stare nella chiesa, dell’amore tra genitori e figli, dell’amore nelle relazioni omoaffettive. Una qualità dell’amore capace di tenere insieme l’amore ai figli e alle figlie omosessuali con l’amore alla chiesa tutta; capace di “benedire” quando altri lo impediscono o addirittura “maledicono”; capace di sollecitudine per la chiesa nonostante qualche bastonata.
Lo stile di Filippo
Filippo col suo stile di ascolto che fa sua la condizione dell’altro è un apripista. Ma sul fronte della chiesa egli pratica una grande mitezza e pazienza. È possibile immaginarlo raccontare, raccontare, raccontare pur di “costruire ponti”, raccontare delle vie aperte dallo Spirito a tutti gli uomini “senza preferenza di persone” (10,34);
Oggi in tempo di sinodo il suo stile narra della tessitura di una profonda comunione nella comunità: non è un lavoro di sottobosco, ma un lavoro nella normalità del quotidiano della vita delle comunità, degli amici e delle amiche, delle sorelle e dei fratelli.
E poi la pazienza dei passi possibili: alla fine del cap. 15 nella lettera ai cristiani di Antiochia non si proibiscono più animali impuri, ma restano altre proibizioni che cadranno solo un po’ alla volta per motivi di carità. Filippo aveva già compiuto un gesto significativo, battezzando l’eunuco, ma il vero strappo lo farà lo Spirito che scenderà su Cornelio di sua libera iniziativa allo stesso modo nel quale era sceso sugli apostoli (10,47; 11,15). Centrale la fiducia nei tempi dello Spirito.
“una nuvola all’orizzonte”: i segni dei tempi
I gruppi di credenti LGBTQ+ e di genitori in questi lunghi anni hanno svolto un poderoso lavoro talvolta sotterraneo, talvolta rifiutato, altre volte solo silenziosamente accettato e promosso. Qualche segnale però arriva! Anche una piccola nube all’orizzonte è capace di trasformarsi in pioggia di benedizioni. L’incontro tra Filippo e l’eunuco ha preparato un po’ alla volta quanto poi accadrà a Cesarea in casa di Cornelio. Ora questi decenni di cammino delle realtà dei credenti LGBTQ+ appaiono come il kairòs che precede, che prepara, che apre la strada ai passi successivi, attesi con la fiducia nello Spirito che ha operato meraviglie nella propria vita. L’incontro dell’eunuco con Filippo racconta dell’esperienza dei credenti LGBTQ+, dei genitori e degli operatori pastorale: gli corrisponde. Occorre tenere sempre fresca la consapevolezza di vivere questo kairòs che è affidato a ciascuna e ciascuno oggi, nel quale si avanza con quel Signore, che è stato riscoperto “alleato”. Pietro arriverà secondo i tempi dello Spirito e quando non se lo aspetta. Egli avrà il grande compito di trovare gli equilibri col resto della comunità ostile, ieri come oggi a novità e allargamenti o forse soltanto ancora ignara. Questo è il “tempo opportuno” per raccontare con la mitezza e la resistenza di Filippo.
Le “cose necessarie”
Tutti questi movimenti dello Spirito porteranno alla decisione di scrivere ai cristiani di Antiochia per precisare un criterio decisivo: non imporre altri obblighi «che neppure noi siamo stati in grado di portare» (15,10) e raccomandare solo le «cose necessarie» (15,28). Questo criterio ha lasciato libero il vangelo di correre, generando una molteplicità di stili e aprendo una pluralità di percorsi, capaci di con-vivere dell’unico Spirito. Ritornare alle sole “cose necessarie” è un criterio anche per raccontarsi alla chiesa. E lo è anche per la chiesa tutta chiamata alla sfida della credibilità. E questa si gioca sulla libertà di catalizzare l’incontro tra il vangelo e ogni persona; un credibilità che non soggioga a modelli prestabiliti, ma gratuitamente dona nella libertà, affinché tutte e tutti crescano «fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).
La “nuova ricchezza dell’eunuco”: un dono “specifico” da condividere
Innanzitutto la “strada”: nel cammino personale, nel gruppo, in famiglia si è sperimentato come il Signore si faccia trovare dov’è la vita vera spesso ai margini. Con lo stile di Filippo è possibile riscoprire come costruire la comunità e partecipare alla missione a partire dalla condivisione della gioia del vangelo.
In alcuni tempi o momenti si è fatta esperienza di un Dio “buono”: occorre raccontarlo. Si è riconosciuto come Dio ami la dignità di ogni persona: anche questa una gioiosa scoperta da raccontare.
Si era fatta esperienza di chiesa e poi si è conosciuto un “nuovo mondo”: come Filippo si è non solo abilitati, ma anche “mandati” a tessere un dialogo che manca o è soltanto agli inizi.
Si è imparata e si sperimenta la pluralità nel mondo LGBTQ+ e costantemente se ne deve fare esercizio: questa abilità va portata in dono alla chiesa, chiamata ad essere sempre più pienamente cattolica.
Si è appreso il gusto per una morale fatta di coordinate, prima fra tutte la carità da vivere in ogni ambito della vita: questo orizzonte di libertà evangelica si è chiamati a percorrerlo con altri. Il tempo della pandemia è stato l’occasione per “fare rete” più di prima: una ricchezza da portare nel quotidiano delle comunità.
Tutto è da portare dentro la normalità della vita delle comunità e vivendo una piena corresponsabilità per esse: la partecipazione! «Celebrare un Sinodo è sempre bello e importante, ma è veramente proficuo se diventa espressione viva dell’essere Chiesa, di un agire caratterizzato da una partecipazione vera. E questo non per esigenze di stile, ma di fede. La partecipazione è un’esigenza della fede battesimale».4
_____
1 A proposito della figura di Filippo e del suo “metodo” di approccio all’eunuco sembra interessante la lettura che ne offre F. Mosconi. In questo primo tempo del sinodo dedicato all’ascolto il “metodo” di Filippo sembra assolutamente attuale ed urgente. «Filippo è passivo, non parla, si limita ad avvicinarsi, ad ascoltare, cioè a entrare in una vera relazione. Un silenzio accogliente La prima parola di evangelizzazione è il silenzio, un silenzio accogliente dell’altro, non è incominciare a spiegare le cose. L’unica parola sua è una domanda, uno stimolo: «Capisci quello che leggi?», che provocano nella persona una presa di coscienza. […] E’ in fondo questa “pedagogia del dialogo” quella che il cammino di Filippo con l’eunuco ci suggerisce. Mai farla da padroni, sentirci noi chissà che cosa.» F. MOSCONI, Filippo e l’eunuco, http://www.rosabianca.org/wp-content/uploads/FrancoMosconi_Filippo-e-leunuco.pdf
2 FRANCESCO, Fratelli tutti, 241.
3 Nei capitoli 8;10-11;15 si trovano citazioni dello Spirito: 8,29; 10,19.38.44; 11,12.15.16; 15,8.28; citazioni di un angelo: 8,26; 10,3.22; 11,13; citazioni di visioni: 10,3.10-16.19; 11,5.13-14.
4 FRANCESCO, Riflessione per l’inizio del percorso sinodale, 9 ottobre 2021