Amadou, Ismael e Marie, tre ragazzi in fuga dall’omofobia
Testimonianza di Simon Bentolila e Abdallah Soidri pubblicata sul sito del settimanale Marianne (Francia) il 27 febbraio 2016, liberamente tradotta da Marco Galvagno
Amadou, Ismael e Marie* hanno narrato al settimanale Marianne le loro storie comuni di perseguitati nel loro Paese come omosessuali rifugiatisi in Francia.
Ci raccontano tutto, a partire dall’odio omofobico subito nei loro Paesi alle dure prove vissute durante la richiesta di asilo politico. Non vengono dallo stesso Paese, non parlano la stessa lingua, ma le loro storie coincidono nei lati oscuri: sono dovuti fuggire dal loro Paese d’origine, nel quale erano perseguitati per il loro orientamento sessuale, e hanno chiesto asilo politico in Francia.
Sono il ventisettenne Amadou del Mali, Ismael, 35 anni, del Burkina Faso e Marie, nigeriana diciannovenne. I tre intervistati rivelano tutto l’odio omofobico subito nei loro Paesi e le dure prove vissute in attesa dell’asilo politico. È difficile dare un’età a Amadou: fisico slanciato, ampio sorriso e sguardo vivace, nulla lascia presagire l’orrore che ha vissuto. Ismael e Marie sono più riservati, non traspaiono emozioni dai loro racconti, ma sembra che qualcosa si sia spento per sempre negli occhi di Marie mentre narra la sua vicenda terribile.
L’orrore della persecuzione
Orfano dall’età di due anni, Amadou non ha conosciuto il rifiuto da parte dei genitori che hanno provato i suoi compagni di sfortuna. Ismael ha solo quindici anni quando viene cacciato di casa. È nato a Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, in una famiglia musulmana molto devota, in cui vivere la propria omosessualità era impensabile. I suoi genitori avevano dei sospetti su di lui, fino al giorno in cui nel 1995 sua cugina lo trova a letto con un ragazzo. In quattro e quattr’otto si ritrova per strada.
Marie è la figlia maggiore di una famiglia rispettata e benestante della Nigeria, era la “cocchina” dei suoi genitori fino al giorno in cui hanno scoperto che aveva una storia con una sua compagna di scuola. L’amore dei genitori si muta presto in odio, viene immediatamente cacciata di casa. La vita errabonda era una sofferenza quotidiana, si rammenta Ismael evocando gli stupri subiti e la vita di prostituzione nelle discoteche frequentate dai ricchi occidentali. Marie credeva di poter vivere la propria sessualità liberamente, ma i suoi famigliari continuavano a spiarla e a raccontare al padre quello che faceva. Furioso, il padre prende una decisione impensabile: ingaggia due sicari per far uccidere la figlia. Il giorno X lei supplica gli assassini di risparmiarle la vita: lo fanno, ma lasciano sul suo corpo segni tremendi delle violenze e torture subite. In punto di morte Marie viene soccorsa da un ragazzo che la porta all’ospedale, dove rimarrà un mese in coma.
Nel 2015 Amadou, che si prostituisce come Ismael per sopravvivere, si riunisce regolarmente a casa sua con gli amici “per divertirsi”, spiega pudico. Ma nel quartiere circolano voci sui suoi incontri notturni. I vicini gli danno occhiatacce e lo insultano dicendogli “Brutto frocio”, le loro minacce si fanno ogni giorno più serie. Un giorno, dopo essere stato aggredito, va al commissariato per sporgere denuncia, ma i poliziotti si rifiutano di trascriverla e lo apostrofano così “Perché non ti comporti come gli altri uomini?”. In Mali l’omosessualità è un reato punibile con l’incarcerazione. Ismael è stato davvero in prigione per due mesi, viveva da qualche tempo con un francese quando la polizia ha fatto irruzione nella casa, ha espulso il suo compagno e l’ha arrestato: in Burkina Faso la legge vieta a due uomini di convivere sotto lo stesso tetto. All’uscita di prigione non gli restava altro che tornare per strada a battere.
Marie, anche se non ha conosciuto la detenzione, ha avuto ugualmente brutte esperienze con la polizia. Uscita dal coma vuole sporgere denuncia, ma i poliziotti sapendo che è lesbica non la prendono sul serio. È allora che Marie decide di lasciare il Paese. Amadou ricorda che il giorno in cui è partito per andare in Francia, rischiando il linciaggio: “Quella sera ero andato a un concerto con un amico: un’altra mia amica, che è anche la mia vicina di casa, mi ha chiamato per dirmi che c’erano delle persone armate di machete, che avevano anche catene di bicicletta, che mi cercavano. Le hanno chiesto: «Dov’è Dudù? (soprannome di Amadou)» poi hanno aggiunto che mi avrebbero ucciso, perché ero solo un “brutto frocio”, non degno di vivere, secondo loro. Hanno forzato la mia porta di casa e se ne sono andati urlando che di lì a poco sarebbero tornati per farmi la pelle. Da quel giorno non ho più rivisto casa mia”
Il calvario della fuga
Con tutti i suoi risparmi Amadou parte sul bus diretto al nord del paese, dove trova un passaggio per l’Algeria, poi giunge in Italia su una carretta del mare. Poi fa l’autostop fino a Parigi dove chiede asilo politico alla prefettura. Alla fine un conoscente lo porta a ARDHIS, associazione che aiuta i richiedenti asilo che abbiano subito persecuzioni nel loro Paese a causa dell’orientamento sessuale. L’associazione dei rifugiati Bienvenu si occupa di trovargli un alloggio. Viene accolto da una coppia con la quale instaura eccellenti rapporti. Da allora vive nell’attesa del verdetto dell’ufficio francese di protezione dei rifugiati e degli apolidi (OFPRA) incaricato di esaminare la sua domanda.
È nel 2014 che Ismael ha vissuto il peggio. Ha subito aggressioni violente che comportavano anche mutilazioni a livello dei genitali, tutte aggressioni a sfondo omofobico. Recatosi in Francia in aereo, un suo conoscente lo manda alla prefettura per richiedere l’asilo politico come perseguitato nel Paese d’origine. Nell’attesa che il suo dossier venga esaminato, il giovane vivrà tre mesi tra le stazioni dei bus e i centri d’accoglienza per i senzatetto.
La lunga attesa per richiedere asilo
In Francia i passi di Marie la conducono fino a una stazione della metro, dove dormirà per qualche tempo e farà un incontro determinante: una congolese ascolta la sua storia e la indirizza verso una piccola associazione, dove incontra Ariane, che diventerà la sua assistente sociale. Poi Marie, a sua volta scopre ARDHIS. Dei volontari l’aiutano nelle procedure di richiesta dell’asilo politico, è ancora in attesa.
Nei centri d’accoglienza per i senza tetto Ismael si sente discriminato: quando passa le persone si scansano e lo guardano male. Decide di chiamare il 115 e di spiegare loro che si sente in pericolo, avendo saputo di aggressioni omofobiche in quei centri. La risposta dell’operatore lo lascia basito: “Lei può sempre travestirsi e andare in un centro per donne per mettersi al riparo dalle aggressioni”. Un amico del Burkina, rivisto in Francia, finirà per orientarlo verso ARDHIS, dove trova un aiuto prezioso: volontari e assistenza per le procedure amministrative gli propongono uscite, incontri con altri gay rifugiati che hanno storie simili alla sua, con i quali fa amicizia. Lo preparano anche alle domande dei funzionari dell’OFPRA, gli fanno fare interviste fittizie in cui deve raccontare con la coerenza maggiore possibile le ragioni che l’hanno spinto a lasciare il suo Paese, dato che per lui, come per Marie e Amadou, il percorso di combattente non è ancora finito. Devono ancora convincere il Paese dei diritti dell’uomo ad accordare loro protezione.
*Il nome è stato cambiato.
Testo originale: “On va te tuer, sale PD”: trois migrants homos témoignent