Amequohi. Il viaggio per non dimenticare di una figlia strappata al suo padre omosessuale
Dialogo di Katya Parente con Alessandra Maria Starace
Un romanzo dentro ad un romanzo. La storia di una ragazzina sullo sfondo delle vicende degli indiani d’America nell’anno di grazia 1842. Una storia di segregazione, straniamento, lotta per non dimenticare/tradire le proprie radici, una storia d’amore… Il libro di oggi si può leggere su diversi piani.
Ma andiamo per ordine. È con noi Alessandra Maria Starace, frizzante toscana d’adozione che ci parlerà del suo nuovo libro Amequohi edito da Liberty Bell (una piccola casa editrice indipendente che si occupa della storia degli Stati Uniti), un libro che ci proietta nel XIX secolo, negli Stati Uniti.
Un romanzo storico. Come ti sei documentata?
Mi sono documentata presso fonti che considero autorevoli. Va detto che su alcuni argomenti relativi alle tribù o Nazioni dei nativi americani ci si può facilmente imbattere in notizie contrastanti, fuorvianti o usate in modo suggestivo e folkloristico. Pertanto, oltre a quei testi classici e sempre validi come quello della Woodward me ne sono procurata alcuni in lingua inglese, in particolar modo quelli del dottor J. T. Garrett, medico cherokee e naturopata nonché esperto di storia della medicina cherokee dei didahnvwigi (Uomini di medicina, appunto).
Per quanto riguarda le basi dello studio della lingua, invece, ho scaricato un’app resa disponibile dalla Nazione Cherokee stessa su cui mi sono divertita a studiare l’alfabeto di Sequoyah e la grammatica di base insieme a mia figlia (che al tempo aveva 7 anni). Inoltre, per non incappare in errori grossolani, ho chiesto alla mia stessa Casa Editrice, nella persona di Amelia Chierici, della Liberty Bell Edizioni esperta di storia americana di controllare tutte le date, cosa che hanno fatto a titolo gratuito anche Donatella Peluso (la pazienza e la precisione fatte persona) e mia Alpha reader Pino Ricci, Patrizia Ribelli e Antonio Quagliata (un grande esperto di usi e costumi dei nativi americani nonché illustratore) della pagina FB di “Don’t forget” dedicata proprio ai nativi e fonte inesauribile di informazioni dettagliate e precise.
Diciamo che abbiamo cercato, in un romanzo storico che in fondo è una storia d’amore, di azzerare possibili errori relativi al periodo in questione (1842-1851); un lavoro di squadra, insomma. Per la parte inglese, invece, la documentazione è stata più semplice. Non dimenticherò mai i momenti di ricerca intensa, come anche le risate nello scegliere alcuni nomi in uso all’epoca da abbinare ai personaggi e i commenti che ne sortivano. Davvero una bella esperienza.
La storia racconta le vicende di una ragazza Cherokee strappata alla sua gente. Come reagisce allo shock culturale della proiezione nella cultura europea?
Nel caso di Amequohi, la protagonista, lo shock è di chi le sta intorno! La bambina cherokee che viene strappata al padre aveva già vissuto un processo di sradicamento culturale, in quanto lei e Unole vivevano in Georgia nascosti al mondo, non risultando neanche nei registri ufficiali del censimento del 1833. Il carattere di Amequohi è quello di una agiugau (donna della legge e della guerra), forte, fiera e insensatamente coraggiosa. Amequohi rappresenta la radice di un Popolo, e viene nutrita di questa cultura millenaria dal padre senza mai avere contatti con altri membri del Popolo da cui proviene.
Questa scelta ci ha permesso di legare Unole e Amequohi come fossero l’uno il Popolo dell’altra e di proiettare il lettore nello stato d’animo di una Nazione, quella Cherokee, che stava perdendo tutti i suoi punti di riferimento, la sua terra e persino la solidarietà tra i suoi componenti. Unole e Amequohi continuano a vivere l’uno per l’altra anche quando vengono separati e portati in due continenti diversi. Per questo, Amequohi resta una cherokee per tutta la vita, e non si piegherà mai ai costumi degli younega (uomini bianchi).
Il padre di Amequohi è un berdache (due spiriti). Ci spieghi, per sommi capi, chi è questa figura e che valore ha nella tribù?
Grazie per questa domanda, è uno dei punti più delicati che abbiamo dovuto affrontare. La parola due spiriti non era usata all’epoca, è successiva al periodo in questione. Al tempo si utilizzava la parola berdache o, più ancora, sodomita, in modo quasi universale. La nostra scelta, anche per consentire al lettore di respirare l’atmosfera del tempo, è stata di usare solo questi due termini.
Per quel che ho potuto racimolare nel mio percorso di documentazione, i cherokee del periodo affrontato nel romanzo avevano fatto propri molti costumi occidentali (erano molto simili ai bianchi, laboriosi, colti e aristocratici nei gusti; possedevano e coltivavano le loro terre e avevano persino gli schiavi). In quest’ottica, è probabile che, sempre dalle notizie in nostro possesso, una grande fetta della popolazione non nutrisse simpatia per l’omosessualità.
Che io sappia, non esisteva neanche una parola per definire la loro inclinazione nell’amore, e questo mi sembra abbastanza indicativo. Nei tempi antichi, quelli precedenti al contatto e all’influenza con i coloni, non abbiamo trovato notizie sicure su come l’omosessualità poteva essere considerata. Tornando al periodo del romanzo Amequohi, va detto che con tutti i guai che avevano tra di loro, con le malattie e con i bianchi, la maggior parte dei cherokee non sprecava certo tempo a giudicare l’amore che poteva nascere tra persone dello stesso sesso.
Qualche osservatore di allora ha ipotizzato che in occasione della Festa dell’Amicizia, una delle feste sacre dei cherokee, i giovani e le giovani che si amavano segretamente si scambiavano abiti e promesse d’amore pubblicamente senza che però tutti gli altri sapessero. Una sorta di cerimonia pubblica, i cui veri intenti erano noti solo ai diretti interessati. Venendo a Unole, il nostro taciturno terzo protagonista, le sue inclinazioni sono evidenti e la famiglia non le vede di buon occhio. Ma non tutti i membri del clan lo ripudiano.
Potresti definire il tuo romanzo un bildungsroman? In senso lato, potrebbe definirsi LGBT?
Mi sembra una grande responsabilità. L’idea è stata quella di scrivere un romanzo d’amore con toni drammatici ma anche ironici e con una serie di indicazioni storiche e culturali precise; in questo modo, questa parte poco nota della storia americana è più appetibile e quindi può essere divulgata a un pubblico non di nicchia.
Mi sento di dire che il personaggio che potrebbe accompagnare il lettore al percorso di cambiamento/formazione è Arthur, il co-protagonista maschile, instradato in questo suo cammino da un personaggio secondario ma molto importante: Laurent Fabre, il precettore di Amequohi. Arthur compie un’evoluzione di sé attraverso un vero e proprio travaglio interiore, che lo riporta al punto di partenza, ma in modo completamente capovolto: non rinnega nulla, rifarebbe tutto nello stesso modo, ma per ragioni completamente diverse.
Il tema del libro è l’amore: l’amore per la Terra, per le Origini, per la Medicina, per un padre, per un maestro, un amico. Addirittura per un nemico. Tutto quello che avviene, avviene perché Unole, il berdache, ha lasciato ad Amequohi l’unica eredità che non gli è stata strappata, l’unico patrimonio in suo possesso: l’amore, appunto.
Tutta la storia viene costruita sulle solide fondamenta dell’amore che un uomo di medicina berdache nutre per una bambina che gli è figlia perché Colui che fa le cose (Dio) gliela affida. Quindi, con un gergo moderno, potremmo dire che il romanzo affronta molte tematiche estremamente dibattute sulla questione LGBT; la storia tra Amequohi, Arthur e Unole segue il principio secondo il quale nell’amore non c’è timore. Questa citazione biblica l’ho conosciuta grazie al lavoro della Tenda di Gionata (associazione di cristiani LGBTQ+ e loro famiglie) dopo aver scritto il romanzo, e mi sono subito accorta che parlavamo la stessa lingua.
Stai scrivendo il seguito ideale di Amequohi. Di che cosa parla?
Se mi chiedi di cosa parla posso risponderti che è una storia sul perdono (ma certamente non solo su quello). Se poi mi chiedi di chi parla penso che tutti coloro che hanno già letto Amequohi abbiano indovinato le mie intenzioni: il prossimo libro è su Unole.
Un tuffo in un contesto totalmente “altro”, diverso da quello che siamo abituati a conoscere. Un esercizio molto utile per allargare i nostri orizzonti ed evitare che diventino un po’ troppo asfittici. Ricordandoci che, in qualunque lingua e tempo, l’amore é amore.