Ammettere la diversità. La dottrina sessuale cattolica e il dibattito sull’omosessualità
Riflessioni del teologo cattolico Stephan Goertz* pubblicate sulla rivista teologica Herder Korrespondenz (Germania), n.6 del giugno 2019,pp.47-49, libera traduzione di A. De Caro
Il tema dell’omosessualità polarizza le religioni, non meno della comunità internazionale. Dentro e fra le confessioni cristiane vi sono opinioni ampiamente divergenti su come trattare il comportamento e le unioni omosessuali sul piano morale, giuridico e pastorale. Il dibattito, acceso ed aperto, sulla valutazione dell’omosessualità adesso ha raggiunto, sia pure con ritardo a paragone con altre confessioni cristiane, anche la Chiesa Cattolica, come risulta evidente – a livello di Chiesa globale – dai due sinodi dei vescovi sulla famiglia (2014 e 2015).
Eppure il tema divide non solo le Chiese locali, come dimostrano diverse dichiarazioni dei vescovi tedeschi negli ultimi tempi. Mentre alcuni sostengono l’idea di confrontarsi criticamente con i pregiudizi e le condanne del passato, altri mettono energicamente in guardia contro un abbandono della posizione tradizionale. Una parte dei vescovi registra il progressivo indebolimento della dottrina morale della Chiesa in questo campo e auspica un’evoluzione della dottrina, un’altra parte collega strettamente l’identità cattolica con la ferma adesione alle norme di etica sessuale fissate soprattutto sotto Giovanni Paolo II.
Le differenze, latenti probabilmente già da lungo tempo, sono venute alla luce nel corso del prevedibile processo di revisione sugli abusi sessuali nella Chiesa Cattolica. Nel così detto “Studio MHG” (una ricerca sugli abusi sessuali nella Chiesa condotta da 3 istituti a Mannheim, Heidelberg e Gießen) si avanza l’ipotesi che vi siano, nella Chiesa Cattolica, specifiche “strutture e regole che hanno un alto potenziale di attrazione per persone con una immatura tendenza omosessuale”. Il tabu sull’orientamento omosessuale in un ambiente non di rado omofobico ostacolerebbe la possibilità di accettarlo in modo positivo e in questo modo potrebbe aver favorito sia gli abusi sia la loro successiva negazione e copertura.
Ecco perché lo studio consiglia di rivedere l’atteggiamento verso l’omosessualità, specialmente verso i sacerdoti omosessuali. Ma a ciò si contrappone la convinzione per cui l’omosessualità sarebbe “incompatibile con la vocazione sacerdotale” (Benedetto XVI, Luce del mondo, 181). Si continua a sostenere la tesi per cui il problema degli abusi sarebbe in verità un problema provocato da clerici omosessuali. L’omosessuale maschio viene percepito come potenziale abusatore di minori. A me sembra che nel clero, a tutti i livelli, cresca lo sdegno morale contro questo vièto pregiudizio e promuova un approccio diverso.
Una norma etica eccessiva
La vacillante credibilità della morale sessuale cattolica fa sì che numerosi vescovi siano disponibili a mostrarsi (finalmente) ricettivi verso le discussioni teologiche e delle scienze umane sul tema dell’omosessualità. La paralisi (durata decenni) della ricezione degli odierni dati scientifici inizia a indebolirsi. Il principio che ogni azione sessuale al di fuori del matrimonio e senza “l’apertura alla procreazione” valga incondizionatamente come peccato costituisce per molti una norma etica eccessiva. Il criterio primario della sessualità vissuta “secondo natura” cede rispetto all’esigenza di rispettarsi vicendevolmente, nella sessualità, con impegno e fedeltà, da persone libere ed eguali.
Una sessualità vissuta in modo degno degli esseri umani non può essere misurata, in prima istanza, solo a condizione che venga rispettato lo scopo riproduttivo: in tal modo, infatti, rimangono in ombra le altre preziose dimensioni della sessualità. Inoltre si percepisce l’intenzione di considerare, con maggiore serietà che in passato, le esperienze delle persone coinvolte. Ciò corrisponde alla tradizione della teologia morale, che riconosce diverse fonti della convinzione morale: la Sacra Scrittura, la Tradizione della Chiesa come anche l’esperienza e la ragione umana. Infine, non deve essere trascurata la dinamica che viene avviata dalla decisione di papa Francesco, cioè quella di attenuare la visione negativa sull’omosessualità e di manifestare un pubblico e autentico rispetto per le persone omosessuali, anche se la dottrina rimane ancora intatta.
Nel momento in cui si affievolisce, all’interno del mondo cattolico, la pressione di una retorica uniforme e di una disciplina rigorista, le differenze diventano più visibili. Alcuni vescovi iniziano a riflettere con coraggio e libertà su possibili cambiamenti e non si lasciano più bollare dai difensori della dottrina tradizionale come deviazionisti e basta. Sanno che la loro lealtà verso una dottrina fatta di rigidi divieti richiede un costo sempre più alto, fino all’aperto allontanamento di molti fedeli dalla morale sessuale cattolica, il cui contesto culturale è ampiamente naufragato –almeno per quanto riguarda il piano dell’osservanza delle nome concrete (mentre i principi di amore, impegno, responsabilità trovano ampio consenso come in passato).
Da ogni forma di morale sessuale ci si aspetta oggi che essa rispetti l’integrità (autodeterminazione) sessuale di ciascun essere umano indipendentemente dal suo sesso, dall’identità di genere e dall’orientamento sessuale. Sembra urgente un riconoscimento di questa esigenza, che riguarda i diritti umani, da parte della Chiesa Cattolica che si presenta come garante della dignità umana.
Anche in futuro ci saranno notevoli tensioni, all’interno del mondo cattolico, nell’intero campo della sessualità e delle questioni di genere. L’estensione universale del diritto all’autodeterminazione non trova il consenso di tutti e dovunque. Vi è una notevole resistenza contro l’idea che gli omosessuali avrebbero gli stessi diritti degli altri esseri umani: “dal punto di vista della morale tradizionale l’omosessualità è un vizio sociale e un peccato” (Dennis Altman/Jonathan Symons, Queer Wars, Bonn 2018, 105), che va bandito, sanzionato e in nessun caso riconosciuto come variante naturale della capacità umana di relazione. Qui si scontrano diverse convinzioni etiche: il concetto “moderno” del riconoscimento dell’autodeterminazione e della molteplicità sessuale contrasta con il concetto “tradizionale” del riconoscimento di un ordine tradizionale della sessualità e dei suoi valori, che però adesso ha cominciato a vacillare.
L’atteggiamento verso l’omosessualità ha, in questa discussione, un grande significato simbolico e identitario, in campo politico così come religioso. I redivivi fondamentalismi religiosi degli ultimi decenni sono contraddistinti in tutto il mondo da un atteggiamento espressamente contrario all’omosessualità. E in campo politico l’omofobia viene strumentalizzata per confinare un “Occidente” inteso come moralmente decadente.
Le dichiarazioni della Chiesa Cattolica, locale e universale, dipendono di volta in volta dal contesto e hanno diversi effetti evolutivi nelle diverse parti del mondo. In ogni caso la Chiesa prende posizione in un mondo in cui la regolazione della sessualità sta complessivamente cambiando. Un consenso teologico sembra molto lontano: lo dimostrano le esperienze di altre confessioni. Finora il consenso cattolico è stato imposto dall’alto ed è quindi frutto di disciplina più che di comprensione. C’è stata riduzione ad unità, non unità.
Questa strategia ha fallito perché non era fondata sulla verità. Essa vedeva la vertà esclusivamente dalla prospettiva dei valori tradizionali. L’accordo su una questione che investe le convinzioni morali non può essere, per così dire, estorto per mezzo di atti di forza dell’ortodossia. La morale non può essere imposta a forza, perché il soggetto si deve appropriare di essa interiormente. È possibile imporre coattivamente solo i comportamenti dettati dalla legge.
È evidente: le linee di faglia sul tema dell’omosessualità procedono fra e attraverso le diverse confessioni. Le tensioni che attualmente diventano sempre più palesi nella Chiesa Cattolica sono una norma e non un’eccezione in campo confessionale. Nello stesso tempo ciò comporta la possibilità di poter sfruttare le riflessioni che vengono fatte da parecchio tempo su questo tema in altre confessioni e nel dialogo ecumenico.
Come una comunità di fede possa e debba trovare una soluzione al dato di fatto delle divergenze etiche non è affatto un problema nuovo. Il pensiero dell’unità viene messo alla prova nel modo più drastico quando -come nel caso dell’omosessualità- la vita reale di alcune persone viene giudicata incompatibile con la volontà di Dio. Ciò che per alcuni rappresenta una lesione immotivata di eguali diritti e dignità voluti da Dio, vale per gli altri come inaccettabile indulgenza o persino approvazione di un comportamento peccaminoso.
Come si vuole, in questa situazione, presentare o riconoscere l’atteggiamento opposto come una interpretazione del Vangelo moralmente responsabile? Quale misura di rispetto reciproco e di comprensione è qui possibile? Proprio quando si arriva al punto di comprendere le differenze, tenendo conto del loro sfondo storico e culturale, si potranno anche tollerare, quando si tratta di idee fondamentali come giustizia e umanità? I compromessi qui non falliscono di fronte al giudizio morale della coscienza? Da quando si perde la cittadinanza morale in una comunità? Quando di sceglie la possibilità di andarsene? Non sono domande retoriche.
Lasciar perdere le illusioni
Lo scandalo degli abusi sessuali ha mostrato (ma non è stata la prima volta) che molti non sono più disposti a tollerare una comunità di fede in letargo morale. Innanzitutto non sanno più cosa farsene dell’idea che “l’unità della Chiesa” sarebbe compromessa se, su problemi di condotta morale, si riflettesse su posizioni ancorate nelle esperienze di fede personali. Non ammettere la diversità ha impedito il dialogo con il contesto culturale a danno delle Chiese locali e spinto non pochi fedeli a gravi problemi di coscienza. Il modo in cui negli ultimi decenni l’unità della Chiesa è stata intesa e realizzata si è rivelato autodistruttivo.
Papa Francesco ammette il dissenso e la divergenza in misura prima inimmaginabile. E in tal modo è passato il tempo in cui sulla questione dell’omosessualità vi era solo un’unica legittima risposta cattolica -vale a dire quella di una determinata tradizione recepita nel Magistero. Di conseguenza è compito delle Chiese locali assumersi la responsabilità di formulare la loro risposta. Ma senza un’ampia e vincolante partecipazione del popolo di Dio questo non sarà possibile. Occorre ammettere la diversità dentro e fra le chiese locali. Per essere chiari: questo è il prezzo della libertà cristiana. il consenso che precede la diversità è pura costrizione, il consenso nonostante la diversità è un artificio per il quale non vi è ovviamente alcuna garanzia.
Forse il Catechismo (CCC), che per buone ragioni viene molto biasimato sul tema dell’omosessualità, offre i primi spunti per un’intesa. Se la severa condanna morale dell’omosessualità e delle relazioni omosessuali (CCC 2357) lasciasse in futuro il posto al silenzio e se non venisse più sostenuta (CCC 2358) alcuna specifica teoria sull’omosessualità (“inclinazione”, “prova”), se invece venissero accentuati il rispetto dovuto agli omosessuali come esseri umani e il rifiuto della discriminazione (CCC 2358), si farebbe spazio per diverse interpretazioni, a livello di Chiese locali, su che cosa richiedano concretamente questo rispetto e questa dignità.
In alcune zone del mondo sarebbe già una grande conquista se la decriminalizzazione dell’omosessualità coincidesse con uno sviluppo culturale in direzione della tolleranza e gli omosessuali non fossero più vittime di violenza ed emarginazione. In altre zone, in cui le tradizioni religiose hanno affrontato un illuminato processo di autocritica, si affermerà una concezione dell’uguaglianza e della libertà nell’espressione del genere e della sessualità che accetterà sempre meno le asimmetrie morali e giuridiche fra uomini e donne, fra etero- ed omosessuali.
La Chiesa Cattolica qui è tenuta a fornire espressione al rispetto della dignità dei suoi fedeli omosessuali, uomini e donne, come richiesto dal Vangelo (per esempio, benedicendo le loro unioni o modificando il diritto del lavoro), in un modo credibile e teologicamente fondato nel nostro contesto cristiano e culturale. Chi vuole mantenere lo status quo ante, mette in pericolo la capacità della Chiesa Cattolica di fornire risposte soddisfacenti sul piano intellettuale e morale.
Cambiare la dottrina e la prassi pastorale non fermerà semplicemente la perdita di rilevanza del cristianesimo normato dalla Chiesa. Aspettarsi una rapida trasformazione di tendenze di lunga durata potrebbe essere una speranza ingannevole. Il rapporto della Chiesa Cattolica rispetto ai moderni cambiamenti radicali nel campo delle relazioni intime riguarda la risposta a questioni morali che chiarisce a quale legge divina si crede: a quella della liberazione, dell’autodeterminazione nella storia e del rispetto incondizionato per l’autentico amore umano, oppure a quella della sottomissione ad un ordine immutabile, dato una volta per tutte.
*Stephan Goertz, nato nel 1964, è professore di Teologia Morale alla Facoltà di Teologia Cattolica dell’Università “J. Gutenberg” (Magonza, Germania). In precedenza (2004-2010) è stato professore di Etica sociale e Teologia pratica all’Università di Saarland.
Testo originale: Katholische Sexuallehre nach dem Ende verordneter Einheitlichkeit: Diversität zulassen