Anche i genitori fanno coming out
Articolo di Rick Brentlinger (Florida, USA) tratto dal sito gaychristian101, 4 novembre 2011, liberamente tradotto da Marta
No, i miei genitori non erano gay, ma anche chi ha figli gay deve uscire allo scoperto, deve ammettere l’omosessualità del proprio figlio. E, per alcuni, dire di avere un figlio gay è traumatico quanto lo è per il figlio dire di essere gay.
Ho fatto coming out con i miei genitori nell’agosto 1989. Il mio coming out li ha obbligati, in larga parte controvoglia, a cominciare il loro processo di coming out come genitori di un figlio gay. Hanno combattuto per capire e scendere a patti con il fatto di avere un figlio gay.
Mamma mi chiese di non dirlo al resto della famiglia e io, senza pensarci, accolsi la richiesta. Accettando di non dirlo agli altri parenti, prolungai il percorso del mio coming out. Avrei dovuto dire ‘pregherò per questo’ oppure ‘ci penserò sopra, invece di limitarmi a concordare con l’idea di non dirlo ai miei fratelli.
Sono grato del fatto che mamma e papà fossero dei lettori voraci: mi procurai dei libri riguardo l’omosessualità che loro potessero leggere, incluso Longtime Companion1 e i libri di Sylvia Pennington, membro di una congregazione di pastori di Dio, una dei primi difensori della comunità LGBT di San Francisco.
A mamma NON piaceva lo stile schietto di Sylvia Pennington, ma lesse i libri perché mi amava e voleva sapere di più su quel che significa essere gay. Mamma lesse anche Breaking the Surface: the Story of Greg Louganis2. Quest’ultimo libro in particolare l’aiutò a venire a patti con la comprensione del suo figlio omosessuale.
Papà e mamma lottavano con il pensiero che potessi portare uno strano uomo gay a casa per incontrarli.
Il giardino sul retro di casa loro aveva uno steccato di legno alto quasi due metri. Nel tentativo di prevenire quel che sarebbe potuto accadere qualora i vicini mi avessero visto in atteggiamenti romantici con un uomo, papà mi chiese di non tenere per mano né baciare un uomo in pubblico, dove i vicini avrebbero potuto vedermi: se avessimo voluto prenderci per mano, o baciarci, mi chiese di farlo nel giardino sul retro, al riparo dello steccato.
Io e mia madre eravamo sempre stati molto vicini eppure lei faceva fatica a parlare con me di argomenti che riguardavano l’omosessualità.
Trovavo il suo disagio un po’ strano, dal momento che ammetteva liberamente di aver ‘sempre capito che eri gay’ e che aveva lavorato per anni in uno studio medico con suoi amici gay e lesbiche.
Mi diceva di essere ben disposta ad ascoltare, anche se poi quando lo faceva non si sentiva a proprio agio. Disse che avrebbe preferito non parlare della mia omosessualità, sebbene, qualora avessi avuto bisogno di parlare, sarebbe stata disposta ad ascoltarmi.
Provenendo da un ambiente conservatore dal punto di vista religioso, mamma e papà dovettero lottare con gli insegnamenti ricevuti e cercare di conciliare ciò che pensavano che dicesse la Bibbia con quello che io stavo dicendo loro riguardo me stesso.
A quel tempo frequentavo la Chiesa della Comunità Metropolitana della Santa Croce di Pensacola, Florida. Li invitai ad accompagnarmi in chiesa, ma non furono interessati a venire in una chiesa gay.
Frequentai e partecipai alle attività della Chiesa della Santa Croce per nove anni, pregando e sperando di incontrare l’uomo che sarebbe divenuto il mio compagno.
Dopo nove anni la abbandonai, perché era molto più liberale dal punto di vista teologico di quanto lo fossi io e mi era difficile instaurare amicizie durature.
Alcuni anni dopo aver fatto coming out con mia madre, lei iniziò la sua ultima lotta contro il cancro al seno. I nostri scambi incentrati su questioni che riguardavano l’omosessualità divennero d’importanza secondaria mentre la sua vita si spegneva.
Passai il suo ultimo anno di vita andando a trovarla ogni giorno, portando mamma e papà fuori a pranzo, quando lei si sentiva di uscire di casa.
Durante le ultime sei settimane aiutai le infermiere della casa di cura ad assisterla e prendersi cura di lei, visto che i farmaci per il dolore la rendevano troppo aggressiva. Mamma è morta il 3 gennaio 2002.
Una delle sue ultime richieste fu chiedermi di trasferirmi da papà, per prendermi cura di lui non appena lei se ne fosse andata. Lo feci.
Papà e io abbiamo condiviso molti bei momenti insieme e negli ultimi due anni lui cominciò a fare amicizia con l’idea che non ci fosse nulla di male nel mio essere un cristiano omosessuale.
Nell’agosto del 2004 papà s’era alzato presto per supervisionare un uomo che avevamo assunto per aiutarci ad allestire il giardino. Mentre lavorava accanto al giardiniere, papà inciampò sopra un arbusto che cresceva basso sul terreno e cadde sul marciapiede, fratturandosi l’anca.
Papà insistette affinché io pagassi al giardiniere il salario dell’intera giornata e lo mandassi a casa. Nel frattempo io avevo già chiamato un’ambulanza per trasportare papà all’ospedale.
I risultati dell’anca fratturata furono un intervento chirurgico per la sostituzione dell’anca, tre mesi di riabilitazione e assistenza in ospedale, prima che papà stesse abbastanza bene per ritornare a casa. Nonostante tutti i progressi che faceva, papà non fu più in grado di riprendere a guidare.
Papà, mia sorella, suo marito ed io pregammo, chiedendo che cosa avremmo potuto fare per assicurarci che papà ricevesse le migliori cure. Decidemmo insieme che la cosa migliore per papà sarebbe stata lasciare la Florida e tornare in Ohio, per vivere con mia sorella.
Il mio fratello più grande, John, venne fino in Florida per accompagnare papà nel suo volo per l’Ohio e assicurarsi che passasse per l’aeroporto in tutta sicurezza.
Dopo molti anni passati da mia sorella, la salute di papà era progressivamente peggiorata al punto che aveva ormai bisogno di più cure di quante lei ne potesse dare.
Dio ci guidò nella decisione di trasferire papà in una stanza privata in una meravigliosa casa di cura gestita da una chiesa, a Pandora, nell’Ohio.
Negli ultimi giorni di vita, papà rimase in stato di coma. Mia sorella passò la maggior parte dei venerdì seduta vicino a lui, perché sapeva che lui era allo stadio finale della propria vita.
Verso le 9.30 di sera venne a casa, si fece la doccia e iniziò a prepararsi per andare a dormire. Disse a Steve, suo marito, di non avere sonno e che sarebbe tornata alla casa di cura per sedere accanto a papà per un po’. In coma, papà era completamente immobile. Dormiva pacifico, senza alcun dolore. Chris disse che alle 3.51 del mattino che papà alzò la testa, aprì gli occhi, guardò il soffitto e un grande sorriso gli illuminò il viso. Poi appoggiò la testa sul cuscino e spirò.
Avevamo pregato che Dio lo portasse a casa ed è una benedizione sapere che lui ora è in ciel assieme a mamma, i miei due fratelli David e Dan, che morirono diversi anni fa, e tante altre persone che conosceva e che l’hanno preceduto in paradiso. Per la prima volta nella sua vita papà sta vedendo di persona quel Gesù che l’ha salvato e che lui ha servito fedelmente sulla terra.
Papà disse a mia sorella, svariati mesi prima di morire, di voler chiudere gli occhi sulla terra e aprirli in paradiso ed è esattamente quel che ha fatto. […]
1 In realtà Longtime Companion è un film americano del 1990, distribuito in Italia con il titolo “Che mi dici di Willy?”, e che affronta il tema dell’AIDS.
2 Il libro (pubblicato nel 1996 e da cui è stato tratto anche un film, nel 1997) è l’autobiografia del tuffatore Greg Louganis, che dichiarò la propria omosessualità nel 1994.
3 Aimee Semple McPherson (1890-1944) fu una predicatrice americano-canadese e una celebrità giornalistica e radiofonica, fondatrice, nel 1927, della Chiesa Internazionale Quadrangolare, una denominazione evangelica pentecostale.
Testo originale: My mom and dad come out