“Anders and die Andern” di Richard Oswald (1919)
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Testo di Luciano Ragusa presentato al cineforum del Guado del 12 Maggio 2019
Il cinema LGBT durante la Repubblica di Weimar. Nata sulle ceneri del primo conflitto mondiale, la repubblica di Weimar (1919-1933) – così chiamata dal nome della città in cui fu redatta la nuova costituzione – tenta la difficile impresa di armonizzare l’instabilità economica (provocata dalle durissime condizioni di pace imposte dal trattato di Versailles) con una precarietà politica che solo nel 1923, sotto la guida di governi di coalizione, si avvia ad una fase di maggior equilibrio. Al netto delle guerre civili e dei vari tentativi di ribaltare, sia da destra che da sinistra, gli esiti della costituzione di Weimar (Repubblica presidenziale con parlamento eletto con il sistema proporzionale) i quattordici anni che precedono l’ascesa di Hitler, sono caratterizzati da una effervescenza culturale tale, da indurre il filosofo Ernst Bloch a descriverli come una nuova «età di Pericle».
Le ragioni di tale sviluppo sono difficili da sintetizzare in poche righe: di sicuro, ciò che unisce gli artisti, indipendentemente dal loro campo di competenza, è l’esigenza di esprimere una forma di scetticismo, e di isolamento umano, figli della sconfitta tedesca nel primo conflitto mondiale; molti pittori, architetti, registi, che daranno nuova linfa alla cultura della repubblica di Weimar, sono reduci di guerra, o quantomeno della generazione dappresso. I ritratti di Otto Dix e George Grosz, per esempio, ben incarnano il nucleo del nuovo sentire, in cui, la rappresentazione, si struttura in immagini fredde, contenute, intrise di realismo e lontane da forme di soggettivismo emotivo. Le varie espressioni artistiche convergono sull’idea di configurare la durezza della vita, spesso intrisa di situazioni violente e di aberrazioni di ogni genere, inserita però in un’architettura in cui l’oggettivismo del reale (la Neue Sachlichkeit, ovvero la “Nuova oggettività”) non diventa liberazione, ma si trasforma in alienazione.
Documentare, anche brevemente, i passaggi che hanno caratterizzato i diversi linguaggi, è complesso e impossibile in questa sede, per cui rimando chi fosse interessato ad un approfondimento, alla bibliografia che allego. Quello che mi interessa individuare, però, è come il cinema rientri a pieno titolo nel dibattito sulla creazione di movimenti artistici e culturali, anche se, negli anni venti, rilevare rapporti reciproci tra la “settima arte” e le altre forme espressive, risulta quantomeno complicato. Senza possibilità di essere smentiti possiamo affermare che il cinema di Weimar è una proposta di qualità, capitanata da registi di primissimo piano come Fritz Lang, autore di pellicole come I nibelunghi (1924), Metropolis (1927), M – Il mostro di Dusseldorf (1931); oppure George Wilhelm Pabst, primo cineasta a convincere Greta Garbo a recitare fuori dalla Svezia, nel film Le vie senza gioia (1925, conosciuto anche come L’ammaliatrice), a cui aggiungo L’opera da tre soldi (1931), e Don Chisciotte (1933). A fianco di G. W. Pabst e F. Lang, possiamo annoverare altri colossi del cinema mondiale come Friedrich Wilhelm Murnau (Nosferatu il vampiro del 1922), Robert Weine (Il gabinetto del dottor Caligari del 1920), Josef von Stenberg (artefice del successo di Marlene Dietrich), Walter Ruttmann (Berlino, sinfonia di una grande città del 1927), ed infine Leni Riefenstahl, regista di Olympia (1938), pellicola che, pur ricamando in maniera perfetta l’estetica nazista, si avvale di una tecnica che si era smaliziata nel decennio precedente.
Il 30 gennaio 1933 Hindenburg, presidente del consiglio dell’ormai defunta repubblica di Weimar, nomina cancelliere Adolf Hitler, il quale, comincia un’opera di epurazione culturale che culmina il 10 maggio 1933, con il grande rogo dei libri ad opera degli studenti berlinesi. La cultura di Weimar viene così “troncata” in tutte le sue espressioni artistiche e ad essa viene sostituita un’arte “più consona allo spirito tedesco”, che per il regima di allora non era altro che l’ideologia nazista. La pietra tombale viene posta nel 1937 in occasione di una mostra aperta a Monaco intitolata Arte degenerata, nella quale il nuovo regime fissa i canoni inderogabili della nuova arte, scagliando anatemi contro tutto il resto. Anche il cinema (e d’altra parte non poteva essere altrimenti) è stato costretto a sottostare alla nuova causa, costringendo all’esilio molti registi importanti, come Lang (che morirà Beverly Hills nel 1976 da cittadino statunitense) e Leontine Sagan (che si trasferisce a Londra nel 1932).
Ad ogni modo, gli anni di Weimar, sono stati davvero un crogiolo di creatività artistica, all’interno dei quali anche il cinema LGBT ha trovato uno spazio che è impossibile trascurare. Il cinema tedesco è il primo al mondo – ad esclusione di Vingarne, film svedese diretto da Mauritz Stiller nel 1916, il cui soggetto è identico a Mikael – Desiderio del cuore – che si è preoccupato di rappresentare su celluloide amori lesbici e gay. E lo ha fatto con dei codici narrativi sorprendentemente moderni, che possiamo ritrovare, decenni dopo Weimar, in un cinema nelle cui trame principali è usuale trovare protagonisti consapevoli della propria omosessualità.
Il primo a capire l’importanza del nuovo strumento tecnico fu Magnus Hirschfeld, sessuologo militante, direttore dell’Istituto per la ricerca sessuale di Berlino. Oltre all’immensa mole di libri sul tema del sesso, l’istituto ha prodotto decine di documentari e cortometraggi, il cui scopo, è quello di combattere l’odio, il disprezzo, il pregiudizio, rivolto al movimento di liberazione omosessuale tedesco, concentrato in quegli anni nel tentativo di derubricare il “Paragrafo 175”, in vigore dal 1871.
La quasi totalità dell’archivio, sia librario che filmico, è stato distrutto negli incendi di Berlino del 1933, al quale Hirschfeld, impegnato in una serie di conferenze all’estero, fortunatamente non era presente (sarebbe poi morto a Nizza nel 1935, senza rimettere più piede in Germania). Ciò che ci interessa in questo contesto è la pellicola Anders als die Andern (“Diversi dagli altri”), diretta da Richard Oswald nel 1919 e interpretato da Conrad Veidt, che registra la partecipazione dello stesso dottor Hirschfeld.
La trama è semplice: un musicista di successo viene ricattato senza scrupoli da un suo vecchio amante; per uscire dall’empasse il musicista dichiara la propria omosessualità e deve fare ci conti con la fine della sua carriera, distrutta dall’ignoranza e dai pregiudizi sociali, in un crescendo di solitudine e di isolamento che lo portano al suicidio. Purtroppo, di questo film, documento fondamentale del cinema LGBT ai suoi albori, che rivendica rispetto e tolleranza nei confronti del “Terzo Sesso” (così l’istituto fondato da Hirschfeld indicava i gay) è rimasta solo una copia frammentata di soli 39 minuti; e nulla è rimasto del remake girato nel 1927 dagli stessi Oswald e Hirschfeld.
Del 1928 è Geschlecht in Fesseln: die Sexualnot der Gefangenen (Sesso incatenato), di Wilhelm Dieterle, lungometraggio coraggioso che si propone di descrivere l’assurda condizione dei detenuti nelle carceri tedesche. Malgrado il tema centrale orbiti intorno all’incomunicabilità che si genera tra un marito, in galera per omicidio colposo, e la moglie, la questione dei rapporti omosessuali che si generano nelle carceri viene trattata con delicatezza.
Il 1929 ci riserva un capolavoro assoluto del già citato G. W. Pabst, Lulu – Die Buchse der Pandora, che in italiano suona “Lulù – Il vaso di Pandora“: l’attrice belga Alice Robert interpreta il ruolo della Contessa Geschwitz, forse il primo personaggio cinematografico lesbico della storia che, innamorata di Lulù, femme fatale dal fascino irresistibile, si ritrova in balia dei disegni di un uomo malvagio.
Infine Ragazze in uniforme, di Leontine Sagan, datato 1931. In un collegio di Postdam, dominato da un clima autoritario di taglio quasi militare, giunge Manuela, sensibile ragazzina che trova in Fraulein von Bernburg, una bella educatrice più conciliante rispetto al clima della scuola, il proprio riferimento. Il passare dei giorni inducono Manuela alla consapevolezza di amare la giovane educatrice, la quale, dopo la pubblica ammissione della ragazzina sui sentimenti che prova per lei, la aiuterà fino a schierarsi contro l’intero sistema educativo del collegio, con il beneplacito di tutte le collegiali.
Si tratta di un lungometraggio è estremamente importante, perché può essere considerato il primo film lesbico della storia del cinema: innanzitutto è stato scritto, diretto, prodotto, in ambito quasi interamente femminile; la stessa sceneggiatrice, Christa Winsloe, lesbica dichiarata, è famosa per la sua relazione con la giornalista Dorothy Thompson. L’omosessualità, nel film, è espressa come normale condizione di possibilità, senza che ciò provochi, nelle coetanee di Manuela, pregiudizi di sorta.
Per saperne di più:
Gay P., La cultura di Weimar, Dedalo libri, Bari, 1978.
Laqueur W., La repubblica di Weimar, Rizzoli, Milano, 2002.
Schultze H., La repubblica di Weimar. La Germania dal 1917 al 1933, il Mulino, Bologna, 1987.
Willett J., Gli anni di Weimar. Una cultura troncata, Garzanti, Milano, 1984.
Anders and die Ander
Come già scritto Magnus Hirschfeld è tra i primi a comprendere la portata rivoluzionaria di uno strumento tecnico come il cinema. Siamo nel 1919 e il sessuologo si chiede quale sia la strada migliore per formare una massa critica capace di portare a un’accelerazione del percorso parlamentare che doveva portare alla cancellazione, dal codice penale tedesco, del “Paragrafo 175”.
Tra le sue intuizioni c’è quella delle potezialità del cinema, Capisce infatti che la “settima arte” possiede il propellente ideale per spostare l’opinione pubblica e decide così, insieme al regista Richard Oswald, di girare Anders als die Ander (“Diversi dagli altri”), un film muto di carattere divulgativo in cui, come tesi, si propone l’assurdità di una punizione penale nei confronti delle persone omosessuali.
La pellicola, purtroppo, non è visibile per intero, perché come già scritto, i roghi berlinesi del 1933, hanno distrutto tutte le copie integrali, compreso il remake che gli stessi Oswald e Hirschfeld confezionano nel 1927. Quella che viene proposta, quindi, è una ricostruzione organica dei frammenti del lungometraggio del 1919, per un minutaggio che, comprendendo i titoli di testa, arriva a 45 minuti.
Scheda
Regia: Richard Oswald.
Sceneggiatura: Magnus Hirschfeld, Richard Oswald.
Fotografia: Max
Fassbender.
Musiche: Joachim Barenz
Scenografia: Emil Linke.
Casa di produzione:
Richard Oswald Produktion.
Produttore: Richard Oswald.
Interpreti: Conrad Veidt
nel ruolo di Paul Corner; Magnus Hirschfeld nei panni di se stesso;
Fritz Schultz interpreta Kurt Sivers; Reinhold Schunzel nel ruolo di
Franz Bollek.
Genere: drammatico.
Anno: 1919
Dati tecnici: film muto.
Durata: 45 minuti.