André, 72 anni e gay: “Ho avuto solo tre uomini importanti nella mia vita”
Articolo di Emilie Brouze pubblicato sul sito L’Obs avere Rue89 (Francia) il 22 luglio 2018, liberamente tradotto da Angelica Mancini
Spesso vengono scambiati per fratelli o sorelle. Come se fosse impensabile essere anziani e gay, anziane e lesbiche, come se l’omosessualità fosse un fatto di gioventù e dell’esuberanza tipica di quell’età. Da qualche settimana (il sito internet) Rue89 dedica ai nostri anziani LGBT una serie di articoli, inaugurata da P., 70 anni, professore di storia in pensione, la cui vita è stata divisa in due.
Questo mercoledì è stato André, 72 anni, medico, a ospitarci a sua volta nel suo appartamento nella periferia parigina per condividere il suo percorso.
“So di essere frocio – lo dico proprio così – da quando avevo 13 anni. Da adolescente, cercavo sempre la compagnia dei ragazzi. A quel tempo l’omosessualità era un grande punto interrogativo. Ne ho sentito parlare per la prima volta a 17 o 18 anni, perché avevo uno zio svizzero omosessuale. Era il marito di una delle mie zie. È stato un grande dramma: mio zio è diventato ‘persona non grata’ in famiglia, a causa della sua omosessualità.
Bisogna dire che all’epoca era molto difficile fare coming out. Io non l’ho mai propriamente fatto. Mio padre è morto giovane, non ne abbiamo mai parlato. A mia madre non l’ho mai detto apertamente… senza doverlo dire, è diventato evidente quando ho comprato casa con il mio secondo compagno… Anche con mio fratello è avvenuto in modo spontaneo: gli ho detto ‘vengo a cena con il mio compagno’. Mi ha risposto ‘va bene’.
Ho avuto tre compagni nella mia vita. Quattro, se contiamo l’italiano. Da giovane ho avuto qualche avventura con il sesso femminile – per provare. A 20 o 21 anni sono rimasto sei mesi con la ragazza della mia prima volta – un’amica, niente di più.
Verso i 25, 26 anni ho fatto molte nuove conoscenze.
Prima c’erano stati gli studi di medicina. Non ero molto intelligente, per cui per laurearmi ho dovuto studiare molto. Durante quegli anni non avevo tempo per uscire… Non c’erano tutti i mezzi che ci sono oggi per comunicare e conoscere persone nuove. Tutto si svolgeva nei giardini, nei parchi o nelle discoteche. Io frequentavo tutti e tre.
Poi, il 31 dicembre 1976 – a 30 anni – mi sono perdutamente innamorato di un ragazzo che però non era da solo”.
Il primo amore
“Ci trovavamo in una discoteca magica, che purtroppo oggi non esiste più: il Rocambole. Ci andavo due volte a settimana. Amavo ballare, ero fissato. Ci andavano al 90% gay e al 10% ragazze (praticamente non lesbiche). Si tenevano degli spettacoli di travestiti, spettacoli di magia, e alle 6 del mattino il proprietario offriva a tutti cappuccino e cornetto. Quel 31 dicembre ho rubato a qualcuno il ragazzo.
È stato il mio primo amore. Che dire? Avrei troppe cose da dire… È stato magico, folle. Siamo stati insieme un anno e mezzo. Ci vedevamo tutti i finesettimana. Dato che non avevo ancora un appartamento mio, andavamo in albergo e facevamo passeggiate continuamente.
Purtroppo si è trasferito dall’altra parte della Francia per i suoi studi, mettendo fine alla relazione.
Per più di due anni sono stato molto infelice. Un giorno, d’impulso, ho preso l’aereo per raggiungerlo a Tolosa. Non avevo neanche l’indirizzo preciso, solo la via. L’ho ritrovato a mezzanotte e mezza. Quella volta mi sono davvero superato.
Ricordo che lavorava in un hotel e una volta mi aveva detto che il venerdì sera andava in una discoteca a La Grande-Motte. Alle 18 ho staccato dal lavoro a Parigi; alle 23:30 chiudevo la portiera dell’auto nel parcheggio del Casinò di La Grande-Motte. Settecento chilometri in cinque ore e mezza. Oggi non è più possibile! [Risate].
Alla fine ho incontrato un’altra persona che mi ha dato sue notizie, purtroppo non belle. Faceva parte di coloro che se ne sono andati con l’AIDS”.
I posti per rimorchiare
“Negli anni ’70 a Parigi c’era una piccola guida blu: un elenco dei luoghi frequentati da omosessuali. La prima volta che l’ho acquistata, mi prese la smania. Mi sono detto: ‘Almeno una volta a settimana voglio scoprire un posto nuovo’ [Risate].
C’erano giardini, locali, discoteche. Ho più o meno tenuto il ritmo. Non avevo bisogno di muovere un dito per incontrare qualcuno. Lo dico in tutta umilità : con il mio fisico potevo permettermelo. Ora le faccio vedere [va a prendere una grande foto che lo ritrae a 20 anni, NDR].
Per me è stato uno shock. Mi ricordo dei giardini del Trocadero. C’erano degli enormi cespugli che nascondevano immense ammucchiate all’aria aperta. La prima volta che si vede una cosa del genere un pò ti sconvolge.
Il secondo shock è stato la rue Sainte-Anne [1° e 2° arrondissement a Parigi]. Un tempo, lì c’erano locali, discoteche… Quando sono entrato nel Bronx (una discoteca gay) per la prima volta c’era una coltre di fumo incredibile e ho visto uomini avere rapporti sessuali davanti a tutti. A quanto pare, era una cosa normale. Questo è stato il secondo shock, soprattutto considerando che parliamo di 40 anni fa …”
L’epidemia
“All’inizio dell’epidemia di AIDS in Francia, nel 1983, ho cambiato stile di vita. Mi ricordo che se ne parlava tantissimo. Ho messo fine alle possibili avventure, ero molto drastico, molto selettivo con le nuove amicizie. Al minimo dubbio troncavo subito…
Nel 1984 ho conosciuto il mio secondo compagno, in una piazza vicino casa mia. A partire da quel momento sentivo che l’epidemia non mi riguardava più. Abbiamo acquistato un’attività, siamo andati a vivere insieme per qualche anno… Ma il mio secondo compagno è morto di AIDS, nel 1992. Dove o quando sia stato contagiato, non ne ho idea.
Un pomeriggio del 1989 ha avuto un malore. Polmone collassato. Gli dissi che non poteva fare altro che andare al pronto soccorso e farsi ricoverare in ospedale. Dopo aver ritirato e aperto la posta, il sabato al ristorante, in fondo alla seconda pagina leggo : ‘scoperta sieropositività’. Avevamo avuto un rapporto non protetto qualche giorno prima, perché non sapeva di essere sieropositivo, e io nemmeno … Avevo mille pensieri per la testa.
Ho dovuto aspettare il lunedì successivo per poter andare al centro di analisi. A quel tempo, si faceva un prelievo del sangue e si dovevano aspettare quindici giorni per il responso. Poi se ne faceva un altro 87 giorni dopo. Nel frattempo, non c’era modo di sapere se si era infetti… I due test sono risultati negativi: non potevo essere stato io a contagiarlo.
Il mio compagno è deceduto nel 1992, prima dell’inizio della triterapia. Se l’avesse fatta, forse sarebbe ancora vivo. Magari non starebbe ancora con me, ma sarebbe vivo. Sì invece, starebbe ancora con me, perché non lo avrei lasciato: siamo rimasti insieme fino alla fine.
Quando è morto, ho dovuto fare ordine tra le sue cose ed è stato così, trovando lettere che teneva nascoste, che ho scoperto che conduceva una vita parallela. C’era anche un orologio Cartier d’oro che il tizio aveva dimenticato. Ricordo di aver avuto dei dubbi : quando rientrava, il pomeriggio, per riposarsi, usava il Minitel e avevo chiamato dei numeri… Ma non ne sapevo assolutamente nulla. Ti sconvolge. Ti stupisce.
In seguito, la sua famiglia mi ha accusato di averlo contagiato. Non ho lasciato correre: ho inviato loro una lettera con ricevuta di ritorno con una copia delle lettere che avevo trovato e dei miei test negativi. Da allora non li ho più sentiti.
Solo un amico si è salvato dall’epidemia di AIDS. Solo uno. Tutti gli altri sono stati risucchiati nel buco. Tutti, tutti, tutti, tutti”.
Il Pride
“Non ho mai subito atteggiamenti omofobi quando dicevo di essere gay. Se ne parla molto e potrebbe accadermi domani, ma fin’ora non è mai successo. Non mi sforzo particolarmente di essere discreto, ma non mi metto neanche in mostra. Ritengo di non dover mettere in mostra la mia sessualità, è una cosa privata. Nella mia palazzina forse qualcuno lo sa, qualcuno non lo sa. Come direbbe un amico, ‘me ne frego’. Vivo la mia vita.
Non mi sento molto a mio agio in questo mondo gay che a mio avviso pretende fin troppo. Ho avuto la fortuna – o la disgrazia – di scrivere sui forum che non capivo perchè si utilizzasse ancora l’espressione ‘gay pride’. Perchè essere orgogliosi di essere gay? Io sono fiero della mia vita, di ciò che faccio, ma non della mia sessualità.
Quarantacinque anni fa, forse, ma ora non più. All’epoca, non era accettato né riconosciuto, ma ormai è un’abitudine… I giovani ne parlano come se niente fosse. Sui forum ho proposto di cambiare nome : la marcia delle diversità, piuttosto che la marcia dell’orgoglio”.
“Open relationship”
“Nel 1993 o 1994 ho conosciuto in una discoteca il mio terzo compagno. Aveva 30 anni in meno di me. Siamo rimasti insieme per vent’anni. Cinque anni fa ha conosciuto qualcun altro, su Internet. Dopo tutto il tempo passato insieme, non è stato facile. Mi ha detto che voleva una persona più giovane e meno grassa… Era solo un pretesto.
A quel tempo pesavo 50 chili in più. Due anni e mezzo fa mi sono fatto operare. La mia vita è cambiata radicalmente: prima, dopo 50 metri dovevo riposarmi perchè ero già senza fiato, mi faceva male la schiena… Una rampa di scale, stessa cosa. Oggi, posso fare a piedi anche sei piani. I viaggi che faccio oggi, prima, non avrei mai potuto farli.
Ho detto al chirurgo : ‘ho guadagnato dieci anni di vita’. Mi ha risposto : ‘se farà attenzione, anche venti’. Sì, la mia vita è cambiata. L’unico svantaggio è che non posso mangiare tutto ciò che vorrei.
Quando il mio terzo compagno mi ha lasciato, mi sono iscritto a dei siti d’incontri (da cui Silver Daddy). Incontro solo giovani. È impossibile per me trovare gente della mia età. Non provo il minimo entusiasmo.
È su questo sito d’incontri che due anni fa ho ritrovato un amico. Abita nel Nord Italia. Durerà finché durerà. Ha 36 anni, ne dimostra 25. Bello come il sole. Ho una sua foto [indica la cornice vicino a un mobile in salone, e ce ne porta un’altra, NDR].
Provo qualcosa per lui, certo. Lo vedo più o meno una volta al mese. Quando viene lui, rimane quattro giorni, e quando io vado da lui, in treno, rimango cinque o sei giorni. Mi accontento… meglio di niente. Siamo in ‘open relationship’, una relazione aperta – di tanto in tanto, mi vedo con altre persone”.
“Non penso alla vecchiaia”
«Come immaginare la fine della propria vita ? Mi faccio il segno della croce. Spero di non finire in una casa di riposo, soprattutto non in una casa di riposo per gay. Quando sarò messo male o in coma spero che qualcuno mi farà una bella iniezione e che non mi lasceranno in agonia per diciannove giorni, come è successo a mia madre.
L’unica cosa che chiedo, è di essere il più autonomo possibile… Quando ci si ritrova soli – e io sono solo – è fondamentale. Mio fratello maggiore teoricamente dovrebbe andarsene prima di me. Il mio compagno che sta in Italia mi ha detto che si prenderebbe cura di me… Ma io sono come San Tommaso, se non vedo non credo. Per ora, sono in forma. Inoltre, non mi piace parlare dei problemi di salute: il problema delle persone della mia età è che non pensano ad altro. È stancante.
Nella mia testa non ho 72 anni, ma 50. Non sono affatto a mio agio con le persone della mia età, mi annoio a morte. [Risate]
Non penso alla vecchiaia. Non dico di vivere alla giornata – faccio la spesa regolarmente e ho una tabella Excel dove programmo i miei viaggi – ma non faccio più piani per il futuro. Non penso a cosa farò tra dieci anni, ma piuttosto a cosa farò fra sei mesi. A febbraio ho in programma un viaggio in Siberia. Farò Mosca-Pechino in Transiberiana. Non mi dispiacerebbe fare anche trekking a Capo Verde… Ho delle idee bizzarre [Risate]”.
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Testo originale: André, 72 ans: “J’ai eu trois hommes dans ma vie”