Anno settimo del pontificato. Francesco tra solitudine e opposizione
Articolo di Giancarla Codrignani* pubblicato sul sito della rete Viandanti il 28 maggio 2020
L’opposizione a papa Francesco è ormai di assoluta evidenza e anche i media hanno abbandonato il tradizionale riserbo, sui fatti interni alla Curia romana, mentre le preoccupazioni sanitarie non hanno messo in ombra il lavorio non più nemmeno sotterraneo di screditare papa Francesco.
Un simbolo e, ad un tempo, un segnale
L’immagine della veste bianca nel deserto di piazza san Pietro in una sera scura e bagnata è rimasta impressa come simbolo della nostra infelice precarietà. Ma è leggibile anche come segnale della solitudine di un papa nella sua Chiesa, bisognosa di unità, ma divisa secondo interpretazioni dell’appartenenza cristiana non più limitata alle scuole teologiche, ma affidata ai credenti nell’applicazione del mandato di un Concilio, evidentemente ancora scomodo anche se garantito alla presenza dello Spirito.
Il rovesciamento gerarchico dalla Gerarchia al Popolo di Dio, convalidato dall’autonomia riconosciuta al laicato, ha investito e diviso una Gerarchia timorosa della perdita di valore sacrale del dogma e determinata a mantenere il potere e il controllo sulla cristianità.
Appare ancora rivelatrice della sua capacità politica la decisione di Giovanni XXIII di dare l’annuncio del Vaticano II prima alla stampa che alla curia. Paolo VI lo guidò a definizione, ma gli oppositori ebbero poi partita vinta sulla libertà di imparare a leggere meglio il Vangelo alla luce della modernità. Infatti il Popolo di Dio – come la società civile – cattolico, “naturalmente” plurale, rimasto ignorante nell’approfondimento dei valori, è stato consegnato acriticamente sia a Camillo Ruini sia a qualunque predicatore con il rosario in mano.
Un papa non deve “piacere”
Stando ai colpi di like sui social in un ipotetico referendum interno non si sa se ai cattolici “piacerebbe” più Woytjla o Bergoglio. A prescindere dal fatto che il papato ha bisogno di inverarsi nell’ elezione di una persona che non deve tanto “piacere”, ma essere seguita per la qualità del magistero, forse in Vaticano la sorpresa dell’omaggio reso da Francesco a Woytjla nella celebrazione per il centenario con l’invito ai poveri di Roma a sedere ai posti d’onore prima dei cardinali e dei diplomatici deve ancora una volta avere lasciato i curiali interdetti.
Anche Sergio Paronetto, presidente del Centro Studi di Pax Christi italiana, denuncia la sottovalutazione della “galassia molto varia contenente posizioni iniziali spesso opposte ma convergenti verso un solo obiettivo: bloccare il papa, sbarazzarsi di lui, screditarlo e, in prospettiva, operare perché non venga eletto un Francesco II”. Anche se la Storia insegna che i poteri forti (e reazionari), come nelle elezioni del 1948 inventarono l’anticomunismo europeo, poi ebbero paura del Concilio e oggi si oppongono a Francesco “che chiede sviluppo sostenibile e giustizia sociale (dando) fastidio a chi è interessato solo ai soldi”, secondo le parole del card. Maradiaga (Repubblica 22.10.2019).
Un pastore che cerca
Alcune personalità, pur favorevoli a Francesco, lo danno per sconfitto, spesso esprimendo la propria delusione per le riforme mancate. È certamente vero che non ha impugnato le forbici correttive sul “Nuovo” Catechismo di Giovanni Paolo II o sul codice di diritto canonico; né, come donna, posso certo rallegrarmi delle dissolvenze che fanno seguito a sue incoraggianti dichiarazioni e che nemmeno le superiore degli Ordini religiosi femminili riescono a bloccare. Tuttavia non credo che un’attenzione realistica alla politica della sempre potente curia romana trovi in Francesco un papa “incerto”: il “felicemente regnante” deve opporsi alle false certezze, anche dottrinali, che lo contestano fino ad accusarlo di eresia.
Un domenicano che stimo, Timothy Radcliffe lo definisce “un pastore che cerca”. Se spinge la chiesa all’uscita e condanna a ogni piè sospinto il peccato ecclesiastico del clericalismo, nella metafora dell’estrema solitudine sulla piazza vuota non si vedevano le ombre sospette, ma era sospesa la minaccia di una sfida (che non va assolutamente raccolta) per dividere la Chiesa.
È tempo, infatti, di pensare al futuro e salvare una Chiesa destinata a confermarsi seriamente cristiana.
I laici debbono aiutare il papa
Se invece la Chiesa guardasse indietro senza rendere irreversibili i contenuti del Vaticano II – oggi pressoché sconosciuto poichè gli attuali sessantenni andavano alle elementari quando lo si celebrava – percezione dei segni dei tempi, sarebbe un fallimento, perché mentre la generazione dei cristiani critici era stata allieva dei profeti del Concilio – Chenu, Haering, Congar, Rahner, Schillebeeckx… – e aveva chiara coscienza dei segni dei tempi, un domani, anche in presenza di spiriti magni e coraggiosi, non ci sarebbero più cattolici impegnati: per i giovani (i nostri figli, i nipoti) la religione forse resta un problema, ma non suscita interesse e anche nella società civile percepiscono i valori democratici oscurati da nazionalismi e violenze.
Per questo mi sembra che ci sia molto da fare per aiutare il papa da parte di un laicato che, pur reso adulto, è tornato a ricevere passivamente la particola come il bambino.
La “chiesa in uscita” è minoritaria: per far uscire le parrocchie sarebbero necessari parrocchiani coraggiosi, a meno che non ci si aspetti che esca il parroco. Massimo Faggioli, con cui sono quasi sempre d’accordo (e che da anni insegna in una facoltà gesuitica americana), vorrebbe più forte e deciso il contributo di Francesco al rinnovamento: vorrei suggerirgli di rivolgere gli inviti ai rappresentanti della Conferenza episcopale americana, che fu potenza di fuoco contro il Concilio e oggi è posizionata contro Francesco.
Lo Spirito Santo e noi…
Il 31 maggio torna la Pentecoste. La discesa dello Spirito Santo arrivò cinquanta giorni dopo la resurrezione, cosa che, detta così, non significa molto, se non si fa memoria dei seguaci di Gesù che se ne stavano chiusi in casa per paura di essere arrestati. L’evento suona la sveglia ai timorosi, che capiranno, affronteranno il martirio e solo così la Chiesa avrà storia.
I sacrifici odierni che ci riguardano sono di altro genere: non sappiamo quanti assisteranno alla condivisione distanziata di comunità in cui forse qualcuno è scomparso, anche se è sembrato giusto tornare a celebrare dopo il poco cordiale messaggio al governo italiano orientato a mantenere il divieto. Il sacrificio del digiuno eucaristico “per non contagiare il prossimo” non sarebbe stato diverso da quello imposto al nonno che non può abbracciare i nipotini.
Comunque la Pentecoste, se ci interroghiamo sul suo senso, ci dice che l’intenzione innovativa proposta dal papa venuto dalla fine del mondo – necessaria, a mio avviso, dopo i ventisette anni di pontificato wojtyliano e i sette di papa Benedetto – aspetta forza dalle nostre mani.
* Giancarla Codrignani è giornalista, socia fondatrice e membro del Consiglio direttivo di Viandanti. L’articolo è stato ripreso dal blog www.cercosolodicapire.it