Come si deve cominciare a discutere nella Chiesa Cattolica di tematiche LGBTQ
Articolo di Francis DeBernardo pubblicato su Bondings 2.0, blog dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti), l’8 ottobre 2017, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Tre leader cattoliche LGBTQ hanno proposto che quando si parla di sessualità e genere nella chiesa cattolica, ci si basi basata sulle esperienze personali delle persone LGBTQ invece che sul magistero della Chiesa. Nell’articolo firmato da Mary Hunt, Marianne Duddy-Burke e Jamie Manson per il settimanale cattolico National Catholic Reporter (NCR) si auspica una discussione in cui le autorità di riferimento siano le persone LGBTQ e non i prelati cattolici:
“Siamo donne lesbiche/queer cattoliche che godono della loro sessualità e delle loro relazioni. Amiamo ad alta voce. È tempo di ascoltare le esperienze e la vita vissuta di chi parla con integrità invece che con autorità, che non vive nel recinto del clericalismo, libera di essere onesta e trasparente. Abbiamo bisogno dei tanti punti di vista dei cattolici e delle cattoliche e della loro saggezza, senza che il termine ‘cattolico’ venga limitato al magistero della Chiesa istituzionale, su materie nelle quali la grande maggioranza dei cattolici ha lasciato indietro la gerarchia. È tempo di crescere e di dire ‘Io’ voglio dire la mia e non fare finta di essere al di sopra della mischia”.
Hunt è una teologa femminista, cofondatrice e codirettrice della Alleanza delle Donne per la Teologia, l’Etica e il Rituale (WATER); Duddy-Burke è direttrice esecutiva di DignityUSA; Manson è curatrice di libri per il NCR ed è una rinomata commentatrice; uno dei suoi soggetti di ricerca sono i gruppi ai margini della Chiesa Cattolica.
Le tre autrici ci forniscono un’importante motivazione sul perché la Chiesa debba prendere in considerazione il punto di vista delle persone LGBTQ: “Le parole sagge sulla sessualità di solito non si trovano nei documenti, nelle conferenze e nei libri prodotti dalla Chiesa istituzionale e dai suoi impiegati; questo è reso impossibile dalla loro misoginia e dalla loro sudditanza al potere. Quelle fonti sono rese senza valore dal fatto che le donne e molte persone di colore sono escluse dal dibattito e anche dal fatto che le nostre esperienze non hanno alcuna influenza sui loro testi. La ragnatela di razzismo, suprematismo bianco, colonialismo, disprezzo per le persone disabili, etc…,combinati con il sessismo e l’eterosessismo, alla base delle strutture ecclesiastiche, rende impossibile una discussione utile se gli uomini di Chiesa parlano tra di loro a proposito di noi”.
Poi viene l’invito alla Chiesa: “Lasciamo da parte le vecchie strutture ecclesiastiche e tentiamo di ascoltarci a vicenda, portiamo le nostre storie nella preghiera contemplativa e poi discutiamone vigorosamente, una discussione arricchita dalle più recenti scoperte delle scienze sociali e biologiche. Lasciamoci illuminare da autorevoli fonti teologiche, non solo cattoliche. Allora, anche se inevitabilmente non ci troveremo d’accordo su tutti i punti, potremo metterci sulla via di diventare un’utile comunità di fede che si confronta con le urla che vengono dal mondo: l’ecocidio, la violenza contro le donne, la guerra, il razzismo e la povertà, e lo faremo insieme”.
Ai sacerdoti viene chiesto di non parlare di tematiche LGBTQ, ma semplicemente di ascoltare: “Ai consacrati chiediamo con rispetto, ma con fermezza, di tacere, di ascoltare ed imparare alcuni dei problemi che i nostri figli devono affrontare: i molti modi di essere transgender; come vivere in un mondo non binario; come evitare le malattie sessualmente trasmissibili; come avere rapporti sessuali in modo sicuro e soddisfacente; cosa significa innamorarsi inaspettatamente di una persona dello stesso sesso o di una persona transgender; cosa significa essere asessuali; come affrontare la violenza insidiosa che troppo spesso incontriamo nelle relazioni intime”.
Ovviamente i cattolici e le cattoliche LGBTQ e i loro alleati raccontano le loro storie e le loro esperienze personali da quasi mezzo secolo; hanno condiviso per molto tempo il succo della loro vita, inclusi gli aspetti sessuali e spirituali, attraverso libri, articoli, video, conferenze, associazioni e laboratori. Ascoltare storie di fede è cosa potenzialmente molto buona ed è proprio così che la Chiesa cristiana è sorta in origine.
Concordo con le autrici quando scrivono che le esperienze di prima mano sono più importanti delle dichiarazioni dottrinali, ma non credo che i consacrati debbano necessariamente tacere perché le nostre discussioni siano produttive: il problema non è che i consacrati parlino di certe tematiche, ma che si rifiutino di ascoltare.
Se continueranno semplicemente a ripetere concetti e categorie che provengono dal Magistero, ma che hanno perso ogni significato, i loro messaggi sono destinati ad essere cestinati. Si condannano da soli, esponendo delle idee che non hanno nulla a che vedere con il punto di vista della gente. Non abbiamo bisogno di farli tacere: con i loro messaggi, si zittiscono da soli.
Ho incontrato e ascoltato molti consacrati che sono fantastici nel sostenere e incoraggiare le persone LGBTQ. Conosco molti sacerdoti che ascoltano e imparano, anche se sono molto pochi i vescovi che sembrano farlo. Una discussione degna di questo nome deve prestare orecchio a tutte le voci e i problemi nella Chiesa.
Penso che l’invito delle autrici a “lasciare da parte le vecchie strutture ecclesiastiche” e a zittire i consacrati sulle tematiche della sessualità e del genere soffocherà la discussione, invece di favorirla. Avere un dialogo significa che tutte le parti possono dire quello che vogliono; significa che ciascuna parte può scegliere i suoi portavoce; non significa che una parte possa dire all’altra di stare zitta o di dire solo determinate cose.
La realtà è che una discussione cattolica sulla sessualità e il genere è per definizione inserita in una “struttura ecclesiastica”, una struttura che non può essere cambiata o alterata, a meno che non cerchiamo di capirla e di ascoltandola. Le nuove idee non potranno rinnovare o cambiare la struttura, a meno che non tocchino le questioni e i problemi inerenti alla struttura. Le vecchie strutture non possono essere spazzate via con la forza, devono essere smantellate con la persuasione. Raccontare le proprie storie può contribuire a cambiarla, ma queste storie devono anche rispondere alle domande della struttura stessa, altrimenti le persone LGBTQ si ritroveranno a parlare ai leader ecclesiastici nello stessa stessa maniera priva di senso con cui questi ultimi parlano alle o sulle persone LGBTQ.
Dobbiamo anche capire che la Chiesa Cattolica è una vasta arena in cui si incontrano molte voci diverse e molti diversi ascoltatori. Per alcuni di costoro, sentire la voce di un consacrato è importante; penso, per esempio, al libro di padre James Martin “Building a Bridge“, che ha fatto parlare molto di sé la scorsa estate. Questo libro non è stato gradito da tutti gli ascoltatori ed è stato criticato sia da destra che da sinistra. Il libro però sta raggiungendo degli ascoltatori importanti, quelli delle curie diocesane, che non hanno mai dedicato un pensiero ai cattolici e alle cattoliche LGBTQ: è triste dirlo, ma è vero. Il libro di padre Martin sta contribuendo a cambiare la struttura.
Nessuna voce è efficace per tutti gli ascoltatori. Nessuna storia, per quanto smuova il cuore, cambierà la Chiesa. Dobbiamo far partire una discussione cattolica con molte voci diverse, senza escludere nessuno. Dobbiamo ascoltare attentamente le persone LGBTQ, o forse sarebbe meglio dire che i consacrati dovrebbero ascoltare attentamente le persone LGBTQ, dato che molti altri nella Chiesa si sono già messi ad ascoltare.
Ascoltiamo queste testimonianze in prima persona. Ascoltiamo le idee della nostra tradizione. Ascoltiamo le voci di una tradizione rinnovata. Solamente quando a tutte le voci sarà permesso parlare e tutte le parti ascolteranno attentamente, saremo in grado di discernere l’opera dello Spirito.
Testo originale: The Power of Speaking and the Power of Listening