Atti o relazioni. Nella chiesa è tempo di ripensare la sessualità delle coppie omosessuali
Brano tratto dal libro di Carolina del Río Mena*, ¿Quién soy yo para juzgar? Testimonios de homosexuales católicos, Editorial Uqbar, Santiago (Cile), anno 2015, pp.291-294, liberamente tradotto da Dino
Da una critica sana e costruttiva alla Tradizione del Magistero, come possiamo arrivare ad una migliore comprensione della persona omosessuale e dei suoi atti d’amore? Se tenere distinta la persona dagli atti che le sono propri per la sua natura, comporta che [gli omosessuali] si vengano a trovare in una situazione insostenibile e angustiante, come facciamo affinché la Tradizione e il Magistero collaborino con la Vita, e la vita sia buona e in pienezza?
Per fornire qualche via da percorrere seguo Margaret Farley, teologa, che ha messo il dito nella piaga del problema: la Chiesa continua ad essere ancorata ad una morale sessuale incentrata sull’atto e non sulla relazione. Il bene e il male per la morale sessuale cattolica consistono in un atto, come ad esempio assumere o no i contraccettivi, avere o no relazioni sessuali omosessuali. Farley propone di spostare l’attenzione dagli atti e di concentrarsi sulle relazioni della coppia. Questo sia per le coppie etero, che omosessuali. Nella sua opera “Just Love” (editrice Continuum, 2008) suggerisce alcuni criteri che potrebbero aprirci ad una comprensione che tenga conto delle esistenze e dell’autocoscienza delle coppie omosessuali.
Come primo passo propone di abbandonare l’approccio al problema fatto in termini dicotomici del permesso/proibito e di adottare criteri validi per qualunque relazione amorosa, sia essa tra uomo e donna o tra persone dello stesso sesso.
Di questi criteri il primo e più evidente è il libero consenso dei soggetti impegnati nella relazione. Tutto ciò che contravviene ad esso, da parte di un membro della coppia, costituisce una violenza o un abuso di potere. Vi sono comprese forme non violente di coercizione, come la manipolazione, la seduzione di persone che non hanno adeguata maturità per stabilire una relazione sessuale e affettiva, l’inganno, ecc..
L’impegno reciproco è un altro elemento importante: la relazione amorosa stabile permette di conoscere e di essere conosciuti, di amare ed essere amati, di crescere e di aiutare a crescere. L’impegno, afferma Farley, deve essere un mezzo che consenta un avanzamento verso la pienezza umana, che consenta di arrivare ad essere una persona migliore. E questo vale per qualsiasi coppia, qualunque possa essere l’orientamento sessuale dei suoi componenti.
Un relazione di coppia, affettiva e sessuale, deve sempre procurare il bene dell’altro. Il bene non solo in termini fisici, ma anche spirituali, psicologici, economici, professionali, sociali, ecc. Trasgredisce questo criterio tutto ciò che non protegga, aiuti o appoggi ciascun membro della relazione. La valorizzazione della diversità e la singolarità di ciascuno, senza che ciò implichi disuguaglianza, è fondamentale nel legame. Da questa accettazione della singolarità nasce la mutualità o reciprocità, il darsi e il ricevere.
Nella morale sessuale tradizionale non si suole parlare di mutualità o reciprocità, ma di complementarietà. Il termine è molto sospetto, a mio giudizio, dal momento che il “complementare maschile” è stato identificato con la ragione, il potere, lo stato, lo spazio pubblico, ecc. e il “complementare femminile” con l’emozione, la sottomissione, la famiglia e lo spazio privato. Credo perciò che parlare di mutualità o reciprocità – per lo meno finché lo status delle donne non sia pienamente riconosciuto e apprezzato- comporti meno errori.
La fecondità e la giustizia sono anch’esse criteri proposti da Farley. La prima non è stata intesa, nemmeno dal Magistero, come limitata alla fecondità biologica, sarebbe un’assurdità. La fecondità non riproduttiva che si chiede alle coppie implica rapporti di ospitalità e di apertura agli altri, un amore interpersonale che non si chiuda in se stesso e che dia frutti abbondanti di sostegno e amicizia verso gli altri. E da qui, necessariamente, prende origine la giustizia sociale che dev’essere assicurata in qualsiasi comunità a tutti i suoi membri.
A prescindere dalla condizione sessuale, tutti hanno diritto di essere parte attiva della comunità, di vedere riconosciuti i propri diritti alla sicurezza e al benessere, necessitano della stessa cooperazione e integrazione sociale come qualsiasi altro membro della comunità. Le coppie sessuali, a loro volta, debbono aver cura del benessere degli altri e non devono danneggiare terzi.
In sintesi, ripensare la sessualità, compresa l’omosessualità, rifacendosi alla relazione che stabiliscono le coppie che si amano e non all’atto sessuale, può contribuire all’inclusione delle coppie omosessuali e ad una migliore comprensione della loro realtà da parte del mondo eterosessuale. Perciò i criteri di libertà e reciproca approvazione, impegno, bene dell’altro, mutualità, fecondità e giustizia possono essere criteri importanti per far luce su questo complesso argomento.
Basterebbero l’apertura e l’accoglienza, basterebbe ascoltare le persone omosessuali in una relazione amorosa seria, impegnata e stabile per scoprire che l’amore non fa discriminazione tra persone etero e omosessuali. Questo è qualcosa che deve essere fatto, non solo dalla Chiesa cattolica, ma da tutte le persone di buona volontà che hanno dei dubbi sullo status delle relazioni delle coppie omosessuali.
* Carolina del Río Mena è una teologa cattolica e giornalista cilena, madre di quattro figli. Ha conseguito un master in Teologia Fondamentale presso la Pontificia Università Cattolica del Cile ed è docente presso il Centro de Espiritualidad Santa María, inoltre collabora col Centro Teológico Manuel Larraín del “Círculo de estudio de sexualidad y Evangelio”. E’ autrice del libro “¿Quién soy yo para juzgar? Testimonios de homosexuales católicos” pubblicato nel 2015, ed è co-autrice di “La irrupción de los laicos: Iglesia en crisis” edito nel 2011.