Basare tutto sull’esperienza personale non svela la Verità
Riflessioni di Irene Agovino
E’ tempo di Gay Pride, stucchevole carnevalata di un’orgogliosa felicità che, in realtà, sembra essere tanto meno reale quanto più ci si sforza di esibirla. Lo rivela un’altra testimonianza super-partes: «Nel corso degli anni ho controllato la divergenza tra i miei amici eterosessuali ed i miei amici gay. Mentre la prima metà della mia cerchia sociale è impegnata in relazioni, bambini e famiglia, l’altra è immersa nella solitudine, nell’ansia e nelle droghe pesanti». A riferirlo è il giornalista omosessuale Michael Hobbes, 34 anni e redattore dell’Huffington Post.
Hobbes non attribuisce affatto la colpa dello stile di vita dei suoi amici gay alla fantomatica omofobia sociale, lui stesso si definisce così: «Non ho mai conosciuto nessuno che sia morto di AIDS, non ho mai subito discriminazioni dirette e ho fatto coming out in un mondo in cui il matrimonio, non erano solo fattibile, ma erano previsto per legge». E di tutte le persone gay di cui parla, nessuno di loro «è cresciuto nel bullismo o è stato rifiutato dalla sua famiglia. Nessuno ricorda mai essere stato chiamato “frocio”».
Alcuni sono cresciuti con un genitore omosessuale e nel periodo in cui «la comunità gay ha fatto più progressi in accettazione legale e sociale rispetto a qualsiasi altro gruppo demografico nella storia». Ieri «il matrimonio gay era un’aspirazione lontana, qualcosa che i giornali mettevano tra virgolette. Oggi è stato sancito dalla legge grazie alla Corte Suprema». Eppure, ha proseguito, «anche mentre celebriamo la velocità di questo cambiamento, i tassi di depressione, solitudine e abuso di sostanze nella comunità gay rimangono bloccati nello stesso posto dove sono stati per decenni».
Queste non sono parole mie, ma di un autore omosessuale, un certo Michel Hobbes, di 34 anni, il quale, mettendo insieme anche l’esperienza di Daniel Mattson afferma lapidario: “Ho conosciuto tanti etero sposati e felici, nessun gay che sia felice e l’omofobia non c’entra”. Bene, io invece di etero felici ne ho conosciuti ben pochi. Anzi, molti sposati in Chiesa e con tutti i sacramenti. Allora le coppie etero sono peggio di quelle gay? l’eterosessualità è come l’omosessualità? Se dovessimo pensarla come Arino, basandoci sulla nostra esperienza, dovremmo dire si. Si salvano giusto i preti, le suore, gli asex e chi ha scelto la continenza. Ma sarebbe una bella menzogna.
Basterebbe solo ricordare che per esperienza personale, fornita da dati, Lombroso definiva i meridionali più inclini al crimine. O sempre per esperienza personale, Tommaso d’Aquino considerava la donna come tentatrice e ricettacolo di vizi.
Io credo a Mattson, come credo ad Hobbes. Nella loro vita hanno sperimentato la sofferenza, non perché gay però. Ma perché non hanno ancora fatto esperienza di Amore. E l’Amore può essere con un compagno, una compagna, senza nessuno. Basta solo allargare le braccia, come ha fatto Gesù Cristo e provare a donarsi. Non è facile, ma possiamo farcela, come Jean Micheal della Communion Bethanie o come tanti, mariti, compagni, padri, madri, preti etc.
Sarà su questo e non sulle nostre tendenze e nemmeno sullo stile di vita lgbt o solo e che saremo giudicati.