Believer. I giovani gay mormoni raccontati dal cantante Dan Reynolds
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Intervista di Hilton Dresden al cantante Dan Reynolds pubblicata sul sito del mensile Out (Stati Uniti) il 21 gennaio 2018, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Negli ultimi 20 anni circa il tasso di suicidio tra gli adolescenti in Utah (lo stato degli Stati uniti a maggioranza mormone) è triplicato: oggi in questo Stato il suicidio è la prima causa di morte tra i giovani. Questo è in gran parte dovuto al rifiuto dell’omosessualità da parte della religione mormone, che porta molti adolescenti omosessuali mormoni a preferire la morte al coming out.
Vi presentiamo Dan Reynolds, frontman della pluripremiata band rock Imagine Dragons, probabilmente il più famoso mormone vivente del pianeta. Sabato ci sarà la prima del suo nuovo documentario, Believer (Il credente) al Sundance Film Festival.
Believer, diretto da Don Argott, cerca di scoprire assieme a Reynolds come la Chiesa Mormone tratta i suoi membri LGBTQ, soprattutto i giovani, e quanto siano dannosi i suoi insegnamenti per chi cerca di conciliare fede e sessualità. Il film analizza l’ultimo anno di Reynolds, in cui la rock star ha organizzato il LoveLoud Music Festival a Orem, nello Utah, un evento a sostegno della comunità LGBTQ. “Sono mormone e voglio stringere le braccia attorno ai miei fratelli e sorelle mormoni e dire ‘Hey ragazzi, possiamo fare di più, dobbiamo fare di più’” dice Reynolds nella nostra intervista esclusiva.
Il film, che sarà trasmesso questa estate su HBO, vede la partecipazione del frontman dei Neon Trees Tyler Glenn, ex mormone e gay, con la colonna sonora di Hans Zimmer e due nuove canzoni di Reynolds.
Senza voler fare lo spoiler, come hai vissuto la giovinezza in un ambiente mormone?
Dan Reynolds: La mia famiglia è in prima linea nella Chiesa Mormone. Siamo una famiglia molto grande, con otto figli e una figlia. Molto conservatrice. Probabilmente sono stato il più ribelle dei figli. Al liceo dovetti nascondere la mia relazione con la mia ragazza cattolica, perché i miei genitori non avrebbero accettato una storia seria con una ragazza non mormone. La tenni nascosta per quattro anni; finito il liceo, feci l’esame di ammissione all’Università Brigham Young [BYU, l’università mormone dello Utah, n.d.t.] e venni accettato, ma prima che potessi mettervi piede dovetti avere un colloquio con il vescovo [il responsabile della parrocchia mormone, n.d.t.] e gli dissi di avere avuto rapporti sessuali con la mia ragazza. Così fui cacciato dalla BYU una settimana prima di iniziare il corso.
Questa esperienza mi isolò in maniera pazzesca: tutti erano mormoni lì dove vivevo, tutti i miei amici erano mormoni e tutti avevano capito che ero un individuo peccaminoso, che non poteva più frequentare l’università. Così rimasi a casa con i miei genitori e dovetti passare attraverso il processo di pentimento messo a punto per i membri della Chiesa.
È un’esperienza devastante per un diciannovenne già pronto ad andare via da casa per cominciare un nuovo capitolo della sua vita. Ogni settimana avevo un incontro con il vescovo, con il quale dovevo concentrarmi sul lato spirituale delle cose. Dopo un anno, potei iscrivermi alla BYU con l’approvazione del vescovo, poi, per due anni, andai in missione.
In cosa consiste esattamente una missione mormone?
Mi mandarono in Nebraska: non puoi scegliere dove andare. Dura due anni ed è un regime severissimo: sveglia ogni giorno alle 6, due ore di studio delle Scritture, e non si deve mai sfuggire all’occhio del compagno. Si può telefonare a casa due volte all’anno, per la festa della mamma e a Natale, e mandare una sola lettera, o email, a settimana.
Non si possono avere fidanzati o fidanzate, bisogna solamente bussare alle porte e parlare del mormonismo, poi fare il lavoro di servizio. Quest’ultimo mi è piaciuto molto perché stavo cercando me stesso, mi sentivo perso nella mia fede.
Ho incontrato molte persone interessanti, ho ascoltato le loro storie, le ho aiutate a combattere la dipendenza da droghe pesanti… nel lavoro di servizio ti puoi perdere.
Poi tornai a casa, ed ecco che cominciai a trovare me stesso, a trovare la mia strada: misi in piedi un gruppo musicale… avevo nuovi amici, che erano queer e mormoni, vedevo quanto fosse infernale la loro vita, le acrobazie mentali che dovevano fare e quanto fosse devastante tutto questo. Dovevano combattere la depressione e l’ansia, a livelli molto più alti di quelli che avevo vissuto io. Molti di loro avevano nascosto la loro omosessualità per molti anni, perché non c’era posto per un coming out nelle loro famiglie.
Cosa dice esattamente la Chiesa Mormone sull’omosessualità?
Dunque, ora dicono che non c’è nulla di sbagliato nell’essere gay, ma che non si deve agire di conseguenza. Sono acrobazie mentali. Pretendono che le persone omosessuali rimangano celibi per tutta la vita, oppure che facciano un matrimonio misto, che sappiamo essere estremamente pericoloso perché può portare alla depressione e all’ansia, fino al suicidio. Numerosi studi hanno dimostrato quanto sia pericoloso.
Un matrimonio misto: intendi una persona omosessuale che sposa una persona eterosessuale?
Sì, sposarsi al di fuori del proprio orientamento. Un uomo gay che sposa una donna. Hanno un sito Web, che si chiama MormonGay, che pubblica storie di uomini gay e del loro matrimonio felice con una donna. Poi c’è la storia di una ragazza queer che scrive “Ormai ci ho rinunciato e mi sto concentrando sullo sport, anziché sull’amore”. È una cosa devastante ed enormemente dannosa.
Il mio obiettivo è mostrare questa realtà in piena luce, far vedere cosa devono passare questi giovani che vogliono disperatamente conservare la loro fede. Molta gente, cresciuta al di fuori del mormonismo, che guarda tutto questo dall’esterno, dirà: “Be’, è facile. Andate a dire ai giovani mormoni di andarsene dalla Chiesa”.
In realtà sarebbe una cosa molto pericolosa da dire, perché in pratica significherebbe consigliare loro di abbandonare la famiglia. Molti di loro verrebbero cacciati di casa, il che sarebbe ancora più pericoloso. Non è così semplice. Anche se non avessero fede, se non credessero nel mormonismo, sarebbe comunque una questione molto complessa e delicata. Molti studi hanno dimostrato che un giovane che non viene accettato dalla sua famiglia o dalla sua comunità ha una probabilità otto volte maggiore di commettere suicidio.
Cosa speri che ricavino gli spettatori da questo documentario?
Il mio obiettivo è far riflettere la Chiesa e altre religioni ortodosse, perché non è un problema solo mormone (e il mormonismo rimane tutt’ora la mia fede, perché ci sono tanti aspetti di questa fede che amo e a cui non posso rinunciare), e credo che il cambiamento possa arrivare solo dall’interno. Ci sono molti mormoni che aspettano disperatamente questo cambiamento, che vogliono che i nostri giovani vengano accettati e considerati puri, degni e amati agli occhi di Dio.
Tutte le religioni ortodosse insegnano cose pericolose come questa. Voglio assolutamente creare un ambiente più sano per i nostri giovani, ecco perché ho creato il festival musicale LoveLoud. È un festival che parla di diritti gay nello Utah, un posto dove non c’è nulla di simile, e la Chiesa Mormone è stata d’accordo, un fatto senza precedenti.
Non avevano mai scritto da nessuna parte l’acronimo LGBT; nella loro dichiarazione, invece, hanno scritto “LoveLoud, un festival LGBT”: è la prima volta che li vedo usare questo acronimo, di solito dicono “attrazione omosessuale”. Sono piccoli passi.
Il cambiamento che auspichi potrebbe trovarsi nelle Scritture mormoni, o queste sono intangibili?
La parte figa del mormonismo è che la rivelazione può darsi avvenga anche oggi. Se nella nostra epoca c’è un profeta, Dio gli può apparire, quindi il profeta può dire “Hey, Dio mi è apparso. Avevate torto, essere gay va bene. A dire il vero è una cosa approvata da Dio, pura, perfetta e accettabile”. La Chiesa ha già agito in questo modo. I mormoni praticavano la poligamia, poi il governo ha cominciato a far loro sentire il fiato sul collo e ha detto “Hey, questo non ci piace per nulla”. Così, improvvisamente, Dio è apparso a un profeta di quell’epoca e ha detto “Hey, basta poligamia”.
La stessa cosa è accaduta con il sacerdozio. Solo agli uomini bianchi era concesso essere sacerdoti, poi la Chiesa cominciò a ricevere sempre più pressioni, così Dio rivelò “Ora anche i neri possono essere sacerdoti”. La mia Chiesa è abituata al cambiamento.
Quindi la Chiesa può davvero cambiare, se le facciamo le giuste pressioni.
Sì, certo. Ho ricevuto centinaia di lettere dopo il festival. Una madre mi ha scritto che suo figlio ha fatto coming out con lei dopo il festival, perché si sentiva ormai sicuro per farlo. Alcuni hanno detto che, nella loro comunità, dopo il festival cinque persone sono uscite allo scoperto con le loro famiglie. Questo vuol dire creare un cambiamento, anche se lento. Oggi, negli ultimi vent’anni, più o meno, il tasso di suicidio nello Utah è triplicato, ed è la prima causa di morte per gli adolescenti. È un problema serio, devastante. Il mio obiettivo è fare luce su questo, anche se c’è gente che ha cominciato a farlo prima di me, persone credenti che combattono questa battaglia.
Ma la Chiesa Mormone mi conosce bene perché sono probabilmente il più famoso mormone del mondo dopo Donnie e Marie Osmond. Mi hanno appena riferito che il capo degli affari pubblici della Chiesa sarà presente alla prima e sono piuttosto nervoso, perché questo dimostra la cruda realtà della Chiesa.
I giovani non sono felici, molti soffrono di ansia, il tasso di suicidio è devastante e gran parte di tutto questo ha a che fare con la guerra della Chiesa contro la comunità LGBT. Questa battaglia è superimportante e decisiva. Sono mormone e voglio stringere le braccia attorno ai miei fratelli e sorelle mormoni e dire “Hey ragazzi, possiamo fare di più, dobbiamo fare di più”.
Come è nata l’idea del film, è stato il regista a rivolgersi a te?
È stata una faccenda davvero bizzarra. Volevo girare un documentario su Fremont Street, il viale di Las Vegas da cui provengo, sulla gente che ci vive. Ho incontrato numerosi registi ma non andavano mai bene, non sapevo bene cosa fare, volevo solo fare un documentario che descrivesse la vita a Las Vegas. A un certo punto ho incontrato Don Argott, il regista di Believer: ci siamo sentiti connessi a un livello profondo, ha voluto venire a stare da me per capire chi fossi, perché io, perché mi volessi occupare di queste cose. È stato un viaggio, mi ha intervistato per ore, mi ha permesso di aprirmi in un modo inedito per me, mi ha fatto parlare della mia fede e di cose di cui non parlavo da anni. Siamo andati al cuore dell’ansia che c’è nella mia vita, molta della quale è causata dalla mia fede. Ho avuto spesso a che fare con la depressione, che è cominciata in pratica quando sono stato espulso dalla BYU. Abbiamo seguito quella scia di ferite spirituali e il risultato è il nostro film. Come ho già detto, molti dei miei vecchi amici sono gay.
Qualcuno di loro ha fatto coming out?
Uno dei miei compagni delle medie era gay e mormone: lo sapevamo, lo sapevamo tutti, ma non volevamo riconoscerlo. Andava a ballare con le ragazze e la sua famiglia era molto mormone. Una mattina sua mamma è entrata nella sua stanza, aveva sedici anni, e ha detto “Ho fatto un incubo, eri gay. Non potevo crederci. Era terribile”.
Mi ha confidato questa cosa e mi ha detto quanto fosse stato devastante sentire una cosa simile. È una storia comune a molti giovani queer. Essere omosessuale è quasi come essere un omicida. Questo è quello che i mormoni insegnano.
Tyler Glenn, il cantante dei Neon Trees, è apertamente gay. Fa parte anche lui del progetto?
Sì, siamo andati in missione insieme in Nebraska. Quando finalmente ha fatto coming out voleva essere un mormone gay, voleva che questo binomio funzionasse, voleva che la Chiesa cambiasse la sua posizione sui gay (ovvero, che non possono essere battezzati e che al compiere dei 18 anni devono essere segnalati alla Chiesa), e quindi ha poi abbandonato la Chiesa.
L’intera comunità mormone ce l’aveva a morte con lui perché in un suo album ha criticato la Chiesa. Il documentario lo spiega meglio di quanto sappia fare io: per farla breve, il regista ci ha spinti a seguire la scia, a esprimere cose che erano sempre state difficili da esprimere, e questo è il risultato.
Pensi che i mormoni, o almeno alcuni tra loro, abbiano un’opinione dei gay diversa da quella della Chiesa?
Sì, penso che i mormoni bigotti siano pochi, ma anche che siano moltissimi quelli che stanno in silenzio, che sono confusi o pensano “Questa cosa non mi riguarda direttamente”. Questo è il problema che mi ha portato qui, perché anch’io me ne stavo in silenzio. Oggi provo molti sensi di colpa per tutti questi anni di silenzio, perché sotto molti aspetti sono il volto della Chiesa Mormone nel mondo della musica.
Ci sono pochi mormoni famosi, non solo nella musica. Stare in silenzio avrebbe voluto dire fare attivismo bigotto. Oggi sento il bisogno di cambiamento, il bisogno di parlare, di essere un attivista. I mormoni sono brave persone, vanno per il mondo ad aiutare gli altri. Amo la mia missione, perché è servizio.
Testo originale: Mormon Superstar Dan Reynolds’ New Film Shows Why the Church Must Embrace Its LGBT Members