“Benedire coloro che ci perseguitano”. Ma quanti preti dovremmo benedire!
Riflessioni di Massimo Battaglio
Oggi, la mia bacheca di facebook, da una certa ora in avanti, ha cominciato a essere monotematica. Tutti post sull’intervento dell’ex Sant’Uffizio in cui si conferma che non si possono benedire le unioni tra persone dello stesso sesso.
Post di vario genere: da quelli disperati a quelli che esibiscono un totale disinteresse sull’argomento (ma allora, cosa posti a fare?). Poi ci sono quelli che si domandano come mai certi gay continuino a credere “nella Chiesa” e quelli che “libera Chiesa in libero Stato” (che c’entra lo Stato?). Infine ci sono quelli che gongolano, da una parte e dall’altra: perché la Chiesa è stata chiara una volta per tutte o perché loro l’avevano sempre detto, che, della Chiesa, non c’era da fidarsi. Curiosamente, gli Adinolfi e gli attivisti LGBT duri e puri, oggi, si trovano d’accordo nel ridacchiare.
Più avanti cercherò di dire qualcosa sulla materia del comunicato. Per adesso voglio soffermarmi alle prime parole:
“AL QUESITO PROPOSTO: La Chiesa dispone del potere di impartire la benedizione a unioni di persone dello stesso sesso? SI RISPONDE Negativamente”.
Il documento si presenta come risposta a un “dubium” presentato da qualcuno, al quale si sente il bisogno di dare un’articolata spiegazione. La Congregazione per la Dottrina della Fede si comporta esattamente come una Consulta o come l’ufficio relazioni col pubblico di un Ministero che risponde alle “FAQ” dei cittadini: esposizione sintetica e successiva argomentazione giuridica.
Non mi sembra un bel modo di fare e, soprattutto, non lo trovo granché “pastorale”, granchè evangelico. Non mi risulta che Gesù, quando veniva interpellato su questioni spinose, rispondesse a colpi di articoli del diritto canonico. Anzi, se devo dirla tutta, non credo che Gesù sarebbe tanto contento di essere imbrigliato nei codicilli dei monsignori. Forse chiederebbe di essere dispensato dal rispettarli.
Ma ciò che in questo momento vorrei sapere è chi abbia formulato il quesito. Per tanto che abbia cercato, non sono riuscito a capirlo. E’ stato qualche prelato germanico in vista del sinodo dei vescovi tedeschi? Qualcuno che ci vuole male? O qualcuno che ci vuole bene ma la tattica non è il suo forte? Oppure la domanda viene dall’interno dello stesso ex Sant’Uffizio e porta una firma di comodo?
Sembrano domandine da primi della classe ma, secondo me, hanno importanza. Perché ciò che è successo ieri riporta il dibattito sull’omosessualità indietro di diversi anni. E penso che sia legittimo sapere a chi dare la responsabilità.
Se il “dubium” nasce in ambiente tedesco, bisogna ammettere che i rappresentanti della Chiesa tedesca si stanno muovendo in modo un po’ troppo disinvolto. Se sono uomini di chiesa, dovrebbero sapere benissimo che la risposta non poteva essere diversa da quella fornita.
Lo scopo della Congregazione per la Dottrina della Fede è di preservare la dottrina, non di scantirarla per avallare nuove prassi. E la dottrina non lascia molti spazi all’immaginazione. Perché dunque tirare così tanto la corda per una loro questione di dibattito interno?
Se invece nasce in ambienti conservatori extra-tedeschi, mi domando: a che pro? In queste ore, tra le mille critiche che si accavallano, una delle più potenti riguarda l’incoerenza che la Chiesa mostra nel non voler benedire un’unione d’amore mentre continua a distribuire benedizioni ad armi, banche, dittatori e ville di mafiosi. E i maggiori esperti di benedizioni stravaganti non sono certo i “cattocomunisti”. Verrebbe quasi da dire (e qualcuno lo fa): qualcuno vuole benedire anche noi? Dio ce ne scampi!
Che la richiesta di un parere apostolico provenga da qualche gruppo lgbt cattolico o da qualche prete amico, tenderei a escluderlo. Alcuni di noi, certo, sarebbero sinceramente felici di poter vedere la propria unione benedetta ufficialmente da un sacerdote. Certe mamme stanno già ricamando i fazzoletti per l’occasione.
Ma sappiamo che non è cosa e che, se anche quello è uno dei nostri obiettivi (tra gli altri più urgenti), siamo consapevoli che va perseguito con prudenza. Non penso che sia disonorevole agire ancora per un po’ a livello locale.
Temo proprio che la formula del “dubium” sia solo un artificio letterario, nato in Vaticano e risolto tra le stesse mura leononine. E se è così, è una roba brutta: un autentico scherzo da preti. Significa che qualcuno, dopo le “aperture” papali dei mesi scorsi sui nostri temi, ha sentito il bisogno di inserire la retromarcia. E non è da escludere che questo qualcuno sia molto vicino al Papa, se non è il Papa stesso, anche se è da dire che l’autorizzazione papale significa solo che il documento è formalmente e tecnicamente corretto, non che il Papa ne condivida i contenuti.
Altrimenti verrebbe da chiedersi che coerenza c’è tra questo “quasi divieto” a benedire, autorizzato da quello stesso Papa che ha benedetto in prima persona, seppure informalmente, più di una coppia omosessuale, per giunta con figli.
Certo che, ancora una volta, dagli uffici che condannarono Galilei e Giordano Bruno, escono messaggi arcigni e non esenti da cattiveria. Altro che misericordia!
“non è lecito impartire una benedizione a relazioni, o a partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio (…), come è il caso delle unioni fra persone dello stesso sesso”.
Praticamente, mettono le nostre famiglie sullo stesso piano di relazioni adulterine (ignorando che una relazione adulterina si fonda sulle corna mentre le nostre, quando le corna si presentano, tutt’al più vanno in crisi).
“La benedizione manifesterebbe l’intenzione non di affidare alla protezione e all’aiuto di Dio alcune singole persone (…) ma di approvare e incoraggiare una scelta ed una prassi di vita che non possono essere riconosciute come oggettivamente ordinate ai disegni rivelati di Dio”.
E naturalmente, Dio si è rivelato solo alla curia romana. La quale curia non è affatto appassionata alla questione omosessuale. Il suo problema non è benedire o non benedire, E’ solo che sentiva il bisogno di un documento omofobo dopo tanto tempo che se ne registrava la mancanza. Per loro, dire male di noi (altro che benedire) è una questione vitale, come una medicina che periodicamente bisogna prendere.
Personalmente, il tema della benedizione non affascina neanche me. O almeno: non mi affascinerà finché verrà presentata come una concessione. Finché non sarà normale che un sacerdote, insieme alla sua comunità, senta davvero il piacere (non solo l’obbligo morale) di supportare una coppia lgbt attraverso il proprio aiuto e la propria preghiera, fino allora non avrà senso giocare a chi è più forte. E’ dunque questa la nostra missione attuale: seminare cultura e, per dirla con una parola alla moda giò cara a Edith Stein, creare empatia.
In alternativa, i contabili della religione (definizione di papa Francesco) dovranno mettersi l’anima in pace quanto noi. Molti di noi hanno infatti imparato a vivere la loro spiritualità indipendentemente dalle loro opinioni. Il che non significa necessariamente abbandonare la fede ma, spesso, restare cristiani nonostante i loro rifiuti.