Benedite! Dalle benedizioni del salmista a quelle delle coppie omosessuali
Riflessioni del pastore valdese Ermanno Genre* tratta dal mensile Diaspora Evangelica dell’ottobre 2010
“Ecco, benedite il SIGNORE, voi tutti, servi del SIGNORE, che state nella casa del SIGNORE durante la notte! Alzate le vostre mani verso il santuario e benedite il SIGNORE! Il SIGNORE ti benedica da Sion, egli che ha fatto il cielo e la terra” (Diodati, salmo 134, 1-3)**.
E’ l’ultimo salmo delle salite, l’ultimo di una raccolta di 15, eco di un più ampio testo liturgico il cui tema è la benedizione che ricorre 3 volte nei 4 versi che lo compongono.
Il salmo apre con l’invito – che è un imperativo – rivolto ai servitori di Dio, agli addetti al tempio: “Benedite il Signore”! Un invito che la chiesa cristiana ha esteso a tutta la comunità celebrante quando ha fatto dei salmi il proprio libro di preghiera.
Lode, benedizione, adorazione, sono presenti in ogni liturgia cristiana e costituiscono, in particolare, il momento di apertura del culto domenicale. La conclusione del salmo riprende, in analogia con le parole di apertura, il tema della benedizione. Benedizione che ora però non ha più Dio come destinatario ma è Dio stesso a rivolgersi, benedicente, verso i suoi figli e figlie: “Da Sion ti benedica il Signore…”.
E’ la benedizione che colui o colei che presiede rivolge alla comunità celebrante e ad ogni suo membro al termine del culto. Vi sono però altri momenti e altre formule di benedizione che pastori e pastore pronunciano in occasione degli atti liturgici al di fuori del culto domenicale (quelle azioni simboliche rituali che i tedeschi chiamano Kasualien, i riti occasionali). E’ precisamente su queste altre forme di benedizioni che vorrei attirare la vostra attenzione questa mattina.
Il fatto che il consiglio di una chiesa locale abbia deciso di affidare al proprio pastore la celebrazione di un culto apposito di benedizione di una coppia omosessuale, interpretando in questo senso un pronunciamento del sinodo 2007 in cui, fra le altre raccomandazioni, si invitano le chiese a evitare ogni forma di discriminazione delle persone omosessuali, ci offre l’occasione per riflettere qualche istante sul significato di queste azioni simboliche di benedizione che pastori e pastore pronunciano in occasione degli atti liturgici. Alcuni pochi pensieri nel tempo che mi è concesso. Che cosa intendiamo con questa azione simbolica di benedizione che la nostra chiesa pronuncia, tramite i suoi ministri, sulla vita delle persone che ne fanno richiesta?
E prima ancora, perché dei genitori chiedono il battesimo o la presentazione dei loro figli e figlie? Perché dei catecumeni chiedono il battesimo o la confermazione? Perché delle coppie di giovani sposi chiedono la benedizione del loro matrimonio? Perché lo chiede una coppia gay, perché lo chiedono degli sposi dopo 50 anni di matrimonio? Perché questo bisogno di rivolgersi alla chiesa per ricevere una parola di benedizione?
Che cosa sta a monte di questo bisogno rituale? E’ per abitudine, per tradizione, per convenienza, per paura di un futuro incerto e minaccioso? O vi è un qualcosa che sfugge alla comprensione umana, difficile da verbalizzare e che non è dell’ordine della pura razionalità, una dimensione dell’esistenza umana che rinvia al mistero della vita e della morte e che nessuno può padroneggiare? Chi può dire di avere la risposta a questi interrogativi?
Fra le nuove generazioni, molte persone, anche fra i membri delle nostre chiese, decidono di fare la loro strada nella vita senza domandare nulla, né alla chiesa né alla società civile: è il caso di molte coppie che creano una famiglia senza contrarre matrimonio.
La richiesta di un’azione simbolica di benedizione rivolta alla chiesa si situa, nel tempo di postmodernità in cui viviamo, in controtendenza rispetto a questo fai da te – privato e non pubblico – che nelle nostre società moderne si diffonde a ragnatela.
E in che cosa consiste l’offerta della chiesa a questa domanda di benedizione che costituisce il cuore stesso dell’atto liturgico? Una cosa è certa: la sorgente della benedizione è in Dio soltanto e non nella chiesa. Proprio per questo motivo la chiesa, se è fedele alla sua missione, non ha facoltà di poter fare economia a suo piacere di ciò che essa stessa riceve e su cui si fonda.
Che cosa intende dunque significare l’azione simbolica di benedizione che la chiesa pronuncia durante la celebrazione di un atto liturgico? Proporrei questa risposta alla vostra meditazione: nell’azione simbolica di benedizione lo sguardo su se stessi e sulle proprie prestazioni si sposta di 180 gradi nella direzione di una relazione che si propone come totale offerta di grazia e, di conseguenza, tutto è posto sotto la luce di una vita ricevuta e una vita donata.
E’ chiaro che nessuno di noi è in grado di sapere fin dove la domanda di benedizione sia un’autentica domanda di fede e dove sia invece un miscuglio di convinzioni, di dubbi e incertezze, un portato della tradizione o altro ancora, come già ho ricordato.
In ogni caso l’accompagnamento pastorale che ha luogo in occasione degli atti liturgici non è un’indagine alla Maigret; in ogni colloquio pastorale è sempre questione di fare spazio a Dio e alla sua volontà, alla sua buona volontà verso ogni creatura umana, al di là di tutte le distinzioni che gli esseri umani possono far valere.
In ogni colloquio pastorale siamo confrontati con dei volti, delle storie di vita, delle biografie, dei percorsi umani spesso segnati dalla sofferenza. Sono questi volti con le loro storie che ci interrogano, non sono solo le Scritture che ci interrogano; e non siamo autorizzati a separare le Scritture dai volti umani che stanno davanti a noi. Dirò di più: l’ermeneutica della Scrittura comincia proprio da quei volti che mi stanno davanti.
L’interrogazione è duplice: soltanto da questa doppia interrogazione, da questo doppio ascolto può nascere un autentico accompagnamento pastorale. E questi volti non chiedono di modificare la nostra confessione di fede né di fare violenza alle nostre discipline. Chi avanza questa richiesta chiede di aver parte alla comunione della chiesa di Gesù Cristo che è una comunione di peccatori perdonati e graziati.
Nella chiesa di Gesù Cristo c’è spazio per la diversità e la diversità non spezza la comunione quando sa guardare a Cristo e alla sua sequela. Come il colloquio pastorale anche la liturgia deve saper guardare ai volti delle persone. Io credo che la liturgia debba calarsi concretamente dentro le situazioni esistenziali delle persone e non restarne fuori.
Anche una liturgia di benedizione può diventare uno strumento di liberazione e di annuncio della grazia di Dio, capace di ri-orientare gli sguardi sulle persone, difendendone la dignità, soprattutto là dove una legislazione umana crea discriminazione.
Nella nostra tradizione riformata abbiamo sempre prestato scarsa attenzione ai riti e alle liturgie e oggi ancora vi è chi pensa che siano poco più che un residuo di cattolicesimo inconscio. E’ un fatto però che in tutte le chiese riformate si è fatta strada una profonda rivalutazione della ritualità e del valore della liturgia.
E ciò non avviene a danno dell’annuncio dell’evangelo, al contrario: permette alla parola predicata di trovare una relazione più stretta ed efficace con la vita delle persone, con le loro biografie, le loro sofferenze, le loro ferite, le loro speranze.
E’ in questo orizzonte che si iscrivono oggi numerose domande di benedizione che vengono rivolte alle chiese cristiane e che la teologia pastorale protestante contemporanea considera una opportunità per l’annuncio del vangelo nel tempo della postmodernità.
Negli atti liturgici vi è una domanda e un’offerta che richiedono attenzione e discernimento da parte di tutta la chiesa, non solo dei pastori e pastore. Nella liturgia sono in gioco questioni legate alla pratica della giustizia, all’esercizio del potere nella chiesa di Gesù Cristo, al rispetto della dignità di ogni persona. In altre parole la liturgia mostra sempre anche il volto umano di una chiesa cristiana… “Da Sion ti benedica il Signore, egli che ha fatto il cielo e la terra”, amen.
* Il pastore Ermanno Genre è professore di teologia pratica alla Facoltà valdese di teologia. Questo è il testo della sua predicazione tenuta il 24 agosto 2010 durante il culto di apertura della giornata sinodale.
** Il salmo 134 nella versione CEI della bibbia corrisponde al salmo 133